Consapevolezza e conoscenza sono le competenze di cui abbiamo bisogno per non finire del tutto “deumanizzati” e privati della nostra personalità nel mondo social. A tutti è capitato di leggere centinaia di commenti d’odio, a qualcuno sarà capitato anche di scriverne, e chi invece non ha mai avuto la sensazione di saperne di più di un esperto su una determinata materia?
L’ultimo libro di Vera Gheno dal titolo L’antidoto - 15 comportamenti che avvelenano la nostra vita in rete e come evitarli, edito da Longanesi, può davvero aiutarci a comprendere cosa avviene ogni giorno su quello schermo, tra profili, post e reel.
Narcisismo, incompetenza, impulsività, invidia, noia. No, non è un elenco di peccati capitali 2.0, ma un assaggio di «veleni della rete» che troppo spesso accompagnano la nostra vita online. In questo piccolo e prezioso prontuario, la sociolinguista Vera Gheno mette la competenza delle parole al servizio della comunicazione digitale e offre al lettore un manuale di istruzioni che è al tempo stesso anche una grammatica social prêt-à-porter.
Vera Gheno è una sociolinguista, divulgatrice e traduttrice dall’ungherese, insegna ed è ricercatrice all’Università di Firenze e ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca. Molti però la conoscono principalmente tramite i social, dimensione mediatica attraverso i cui canali tratta in maniera divulgativa e approfondita tematiche quali l’inclusione e le questioni di genere, soffermandosi sull’attualità, la comunicazione, il linguaggio e le dinamiche stesse di questi mezzi comunicativi che fanno parte della nostra vita in maniera a tratti prepotente.
Talvolta, nel vedere la quantità di persone che fotografa il cibo al ristorante prima di mangiarlo, o che filma il concerto al quale sta partecipando, o, ancora, scatta decine e decine di foto del punto panoramico sul quale si è arrampicata, sembra quasi che per loro quello che non viene registrato online, sui social, nei post, nei reels, nelle stories, non esista
Il saggio cattura il lettore che si sente subito chiamato in causa dai vari meccanismi che si attivano nelle nostre quotidiane interazioni con mezzi quali Instagram, Facebook, TikTok e via discorrendo. Non si fa alcuna fatica nel riconoscere quali comportamenti si mettono in pratica in maniera quasi automatica o quali meccanismi si attivano ed è possibile ritrovarli sotto ogni video, foto o “carosello” che possiamo scorrere sullo schermo del nostro smartphone.
L’autrice individua quindici veleni, e l’impostazione del libro è molto ben concepita anche graficamente: ogni veleno apre il capitolo all'interno di una cornice grafica e da lì si snocciolano le considerazioni, teorie ed esempi:
Spesso, soprattutto online, alla nostra aggressività non serve alcuna scusa: aggredire è più facile che cercare di spiegarsi
Alla fine del capitolo stesso, dopo aver snocciolato il tema, segue l’antidoto, un vero e proprio consiglio pratico da mettere in atto per migliorare la nostra esperienza – e quella delle persone con cui interagiamo – sui social:
L’odio esiste in ogni persona; impara a gestirlo in maniera da non fare e non farti male
Nel corso dell’evoluzione di questi canali, app e piattaforme da una parte si sono persi di vista alcuni dei punti saldi di una sana relazione tra persone, dall’altra si sono sommati e creati una serie di effetti collaterali che hanno generato catene di saccenza, violenza verbale, estremizzazione e pessimo uso della lingua italiana stessa!
È qui che il saggio di Vera Gheno tocca corde che non sono solo tecniche o di analisi – un’antropologia della rete che riflette la società stessa – ma che ci mostrano la perdita di vista dell’anima della comunicazione tra individui.
L’effetto vetrina, ovvero il postare e mostrare a tutti cosa stiamo facendo e con chi, in ogni momento, ci priva del goderci ciò che sta avvenendo sul momento; la velocità frenetica del mettere un like o scrivere la nostra opinione il prima possibile non ci permette di riflettere sia su ciò che vogliamo esprimere ma a volte nemmeno su ciò che abbiamo letto. Ci dimentichiamo che dietro ai profili ci sono persone, e abbiamo quasi del tutto perso il senso delle sfumature, in un vortice da tifoserie, in cui esistono solo il bianco e nero e non si può più avere opinioni grigie o valutare che entrambe le teorie sono valide.
Il fraintendimento della lingua scritta non andrebbe mai dimenticato, e nell’online l’uso delle emoji e di modi di dire può ulteriormente complicare le cose. Si usano concetti banali perché non ci si dà il tempo di essere originali e di trovare una maniera personale di esprimersi e abbiamo fatto della possibilità di essere in contatto con tutto e con tutti, dunque con molteplici diversità, un ulteriore motivo di odio e non una risorsa per crescere.
Questi sono solo alcuni dei temi trattati nel libro, quindici spunti per riflettere, quindici antidoti necessari per sopravvivere a quei veleni.
Il «profilo», quella specie di avamposto di noi che ci rappresenta sulle varie piattaforme social, viene disconnesso dalla persona fisica, e questo fa sì che sia più facile odiarlo.
Odiare un quadratino con la foto, odiare un nome, odiare un nomignolo messo nero su bianco
a corredo di un post o di un commento, è deresponsabilizzante.
Si insultano il quadratino, il nomecognome, e non si ha piena consapevolezza
dell’essere umano che anima quel profilo.
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