A scuola ridevamo del suo nome: Massimo De Gaudio. Per uno che è il ritratto della tristezza, ci sembrava uno scherzo del destino
Niente Bastardi di Pizzofalcone, niente commissario Ricciardi. Non c’è un movente, non c’è un corpo del reato. Non ci sono piste da seguire e, curiosamente, non c’è nemmeno un omicidio da risolvere. Quello che c’è, però, è una storia che aveva un bisogno viscerale di essere scritta. Una storia in cui le passioni travolgenti e la tensione del racconto vengono sostituiti da un sentimento di affetto imbarazzato, che a tratti non sa come comportarsi nei confronti della propria famiglia, quei “legami di sangue a cui bisogna pagare un dazio”. Per non più di dieci giorni, però.
Questo è il pensiero di Massimo, il protagonista introverso e ripiegato su se stesso che tanto si distacca dai personaggi a cui ci ha abituati de Giovanni. Massimo non è triste: ritiene, piuttosto, che il sorriso sia uno sforzo inutile. Uno sforzo inutile come quello di provare a riavvicinarsi alla figlia Cristina, che ha messo radici al Nord, quel Nord così distante dalla sua Procida. Provare a passare qualche giorno insieme, durante le feste obbligate, sembra anche quello uno sforzo che proprio non rientra nella formula perfetta che è la sua quotidianità. Massimo è un insegnante di matematica in pensione, il suo ragionar per formule non è solo deformazione professionale, ma un modo per andare avanti, una cifra dopo l’altra, dopo la morte della moglie.
Dopo la morte della moglie, Massimo, professore di matematica in pensione, vive, introverso e taciturno, in una casa appartata su un'isola del golfo di Napoli. Pesca con metodo e maestria e si limita a scambiare rare e convenzionali telefonate con la figlia Cristina, che vive in una piccola città della ricca provincia padana. A interrompere il ritmo di tanto abitudinaria esistenza la notizia di un grave incidente stradale: la figlia e il genero sono morti, il piccolo Checco è in coma.
Si chiese per quale motivo non provasse dolore. Si chiese perché non fosse straziato, distrutto. Si chiese perché l'emozione più chiara che sentiva dentro fosse il fastidio di dover andare dove stava andando, di separarsi dalla sua quotidianità blindata
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L'esistenza ciclica che aveva riportato equilibrio nella vita di Massimo viene interrotta da una nuova perdita: la figlia Cristina e il genero Luca sono morti in un incidente stradale. Sui sedili posteriori, miracolosamente vivo, ma in coma, il piccolo Francesco.
Se ti chiami Petrini Francesco, detto Checco, a un certo punto dovrai fare i conti con la matematica e con un nonno burbero e solitario. Se ti chiami Francesco Petrini, detto Checco, la scienza più pura ed essenziale, quella che cerca e trova senza sforzo “i numeri e le grandezze nel cielo e nel mare e nei gabbiani e perfino nelle orate” sarà la tua compagna più fidata, il tuo legame con la vita e con il tentativo doloroso di un ritorno alla normalità. Se ti chiami Petrini Francesco, detto Checco, a soli undici anni troverai il tuo mondo stravolto da una tragedia.
Se invece ti chiami Massimo De Gaudio, inizierai a sentirti addosso gli occhi di tutti, vigili e pronti a giudicare ogni tua mossa. Ti farai carico di una variabile che non era prevista nella tua equazione e dovrai fare ricorso a ogni formula che conosci per fare ciò che gli altri si aspettano da te. Niente sarà come prima, ma andrai avanti, una formula dopo l'altra.
Perché ciò che ti insegna la matematica è che si deve andare fino in fondo, e ogni valore ha il peso che ha, né un millesimo di più né un millesimo di meno
Quello che ci consegna de Giovanni è un romanzo dolce e doloroso, mai stucchevole o platealmente tragico. La risoluzione catartica del crimine viene sostituita con un percorso di crescita emotiva che emerge con delicatezza dai dialoghi interiori del protagonista, il cui spaesamento di fronte a un sistema nuovo non può che farci empatizzare immediatamente con lui. Il suo mettersi costantemente alla prova, farsi domande, sbagliare, il suo affrontare la vita con metodo scientifico: ogni descrizione è esattamente dove dovrebbe essere, senza essere ridondante, per poterci permettere di seguire il filo di pensieri di Massimo e di risolvere l'equazione insieme a lui.
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