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L'uomo forte di Ian Kershaw

Negli eventi storici i cosiddetti grandi uomini sono le etichette che danno il nome a un dato evento, e che, proprio come le etichette, meno di ogni altra cosa hanno un preciso rapporto con l’evento. Ogni azione compiuta da costoro, e che ad essi sembra un atto di libero arbitrio, in senso storico è tutt’altro che arbitraria, ma viene a trovarsi in connessione con tutto il corso della storia ed è predestinata ab aeterno

Guerra e pace, Lev Tolstoj

Poche righe che riassumono il pensiero del grande scrittore russo in merito al ruolo delle personalità individuali nella determinazione della storia: Tolstoj nega ai cosiddetti “grandi uomini” un ruolo fondamentale nello svolgimento degli eventi, mettendo l’accento sul destino. Tale linea di pensiero si contrappone a una concezione della storia caratterizzata da “uomini forti”, personalità dirompenti e risolute, che si ritiene abbiano impresso la loro insostituibile traccia al corso delle vicende storiche. Che cosa determina il cambiamento storico? La grandezza del singolo o le incontrollabili correnti economiche, sociali, culturali?

Ian Kershaw, professore universitario e tra i più autorevoli storici del fascismo, delinea i ritratti di dodici forti personalità dell’Europa novecentesca, da Stalin a Mussolini, da De Gaulle a Helmut Kohl, da Winston Churchill a Margaret Thatcher (unica donna presente). Per ciascuno leader politico, tratteggia un accurato affresco della personalità, delle condizioni che l’hanno portato al potere, di come questo sia stato gestito, mantenuto, inevitabilmente tramontato e di quale eredità storica e morale abbia lasciato. Pur essendo dodici ricostruzioni assolutamente interessanti, lo scopo di Kershaw non è quello di riunire dodici biografie, ma provare a rispondere alla domanda che, tra i tanti prima di lui, si era posto Tolstoj: sono i tempi a forgiare gli uomini o gli uomini a determinare i tempi in cui vivono?

L'uomo forte. Costruttori e distruttori da Lenin a oggi

Da Hitler a Mussolini, da Stalin a Churchill, da de Gaulle alla Thatcher, ‘l’uomo forte’ ha dominato la scena politica del Novecento in Europa. Ma furono veramente questi leader, con la loro personalità, a determinare il corso del Ventesimo secolo?

L’uomo forte. Personalità e potere nell’Europa contemporanea è dunque un testo che indaga la leadership storica del Ventesimo secolo cercando di capire quanto i singoli individui abbiano inciso sulla storia e quanto siano invece stati “creati” da essa.

Mettendo da parte il vago concetto di “grandezza“ attribuito a determinate personalità, che implica necessariamente una personalizzazione della storia e un’interpretazione soggettiva, Kershaw si concentra sull’influenza e sull’eredità storica del leader di volta in volta in questione, arrivando però a constatare la difficoltà nel definire quale tipo di personalità sia efficace nella leadership politica. Se può essere più o meno possibile specificare le qualità ideali di un leader d’azienda, lo stesso non vale per un leader politico: le esigenze mutano al variare le condizioni, ciò che funziona in democrazia può non valere in dittatura, sono dunque le condizioni a determinare in larga misura l’influenza di uno specifico tipo di personalità.

Se si prendono in esame le personalità dei dodici leader indiscutibilmente più potenti dell’Europa del Novecento, è naturale domandarsi: che cosa ebbero in comune? Meglio rinunciare a spiegazioni psicologiche, presunte radici del loro operato che risiedono nella storia familiare o nell’infanzia, e concentrarsi piuttosto sui tratti caratteriali che li accumunavano, quali straordinaria determinazione, risolutezza, volontà, egocentrismo, predisposizione al comando. Tutte queste caratteristiche, però, osserva l’autore, non sarebbero state determinanti in mancanza di precise condizioni storiche.

Kershaw cerca di dimostrare come certi tipi di personalità trovino lo spazio per affermarsi in condizioni di crisi e, in tal senso, il fattore più cruciale è sicuramente la guerra. Lenin emerse dalla crisi dell’autocrazia zarista, Mussolini e Hitler beneficiarono della crisi del primo dopoguerra, Churchill divenne primo ministro in un momento di forte crisi della Gran Bretagna, mentre Hitler conquistava l’Europa, Franco era il vincitore della guerra civile, de Gaulle prendeva il potere in una Francia sconfitta e occupata, Thatcher spiccò nella crisi economica e culturale della Gran Bretagna degli anni Settanta e così via. Il potere dipende dunque dalle circostanze in cui viene conquistato, ci dice Kershaw. La personalità conta, ma è poca cosa rispetto alla capacità di sfruttare determinate condizioni. Sembra pazzesco pensare che Churchill, per esempio, in un altro periodo storico e con altre condizioni, non sarebbe diventato il leader che è stato, ma ci sono buone probabilità che sia così. Ciò non significa che, date specifiche circostanze, la personalità del leader non conti. Conta eccome, anzi, gioca un ruolo importantissimo - personalità diverse avrebbero infatti dato vita a una storia diversa - semplicemente non è determinante di per sé. Per arrivare al potere si tratta, in sostanza, di essere “l’uomo giusto al momento giusto”.

Fu proprio nelle condizioni eccezionali in cui si ritrovò la democrazia britannica durante la guerra che la personalità di Churchill giocò un ruolo fondamentale. Le qualità personali che prima del conflitto si erano spesso rilevate inefficaci, e che dopo la guerra furono soggette a fattori economici e geopolitici che Churchill stesso non era in grado di controllare, sembravano invece fatte su misura per le condizioni di emergenza del periodo di guerra

Al contempo, è innegabile che la personalità di Churchill abbia giocato un ruolo importantissimo nel destino della Gran Bretagna: se nel 1940 il ministro fosse stato Halifax, molto probabilmente avrebbe optato per una negoziazione con la Germania, e gli esiti sarebbero stati estremamente diversi.

La stessa analisi vale per ciascuno dei leader analizzati minuziosamente: furono gli artefici del Ventesimo secolo?In parte sicuramente sì, ma furono altresì creati da esso, cioè dalle condizioni specifiche che permisero loro di esercitare il potere. La panoramica è estremamente interessante, Kershaw mette in evidenzia gli aspetti più gloriosi e al contempo controversi e spesso inquietanti di queste dodici personalità, come queste siano combaciate con i tempi che si trovavano a vivere e come abbiano influenzato, nel bene e nel male (spesso in modo catastrofico), il presente e il futuro.

In che modo tutto questo ci riguarda oggi? Innanzitutto, i tratti caratteriali dei leader che hanno caratterizzato il Ventesimo secolo si rivedono in molti politici attuali, e non si può fare a meno di pensare, in linea con l’analisi di Kershaw, al periodo storico che stiamo vivendo, non certo immune da profonde crisi e che vede ora anche una triste guerra che non accenna a finire. Secondariamente, non possiamo sapere in che misura questi leader influenzeranno il futuro, è una questione di incroci con i cambiamenti che via via apporteranno le correnti socio-economiche e culturali, oltre che ambientali, ma di certo la loro personalità condizionerà, positivamente o negativamente, parte della vita di milioni di persone. Pertanto, anche se il temperamento del capo non è determinante, è di certo rilevante, e dobbiamo sempre tenerne conto quando ci rechiamo alle urne. Siamo davvero sicuri di volere un “uomo forte” al comando?

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Ian Kershaw, figlio di un tecnico della Royal Air Force, ha insegnato Storia moderna a Manchester ed è professore all’Università di Sheffield. È considerato uno dei massimi esperti di Hitler e del nazismo. Tra i suoi libri: Che cos’è il nazismo (1995), Hitler e l’enigma del consenso (1997), Il mito di Hitler (1998), i due volumi della monumentale biografia di Hitler pubblicati da Bompiani (Hubris, 1889-1936 e Nemesis, 1936-1945), Operazione valchiria (2016) Il «mito di Hitler» (Bollati Boringhieri, 2019).

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