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Peppe Barra racconta Napoli con Conchita Sannino

È bello che un sogno che sembra una catastrofe, una volta interpretato, diventi nella realtà un paesaggio meraviglioso

Concetta Barra

In questo libro, ogni cosa ha due volti. Anzi, almeno due. A partire dalla sua struttura, perché a scriverlo sono in due: da un lato c’è Conchita Sannino, dall’altro Peppe Barra. Lei fa le domande, perché il tutto è costruito come un’intervista, lui risponde, o ci prova, o non ci prova, e sono quelle le parti più interessanti. Peppe Barra è un fiume di parole, di ricordi, di gestualità – anche di storia del teatro, e spero non mi si fraintenda: non è vecchio, ma ha già fatto la storia –, e nei rari momenti in cui non vuole rispondere a una domanda o a una provocazione, be’, lì mostra il suo secondo volto. Quello che va oltre l’arte e il personaggio e torna uomo. Sono momenti rari, ma tra le loro pieghe c’è tutto.

Poi c’è il titolo, Peppe Barra racconta Napoli, che non ha due volti, ma potrebbe averli: potrebbe anche essere, se si potessero mescolare le lettere come a Scarabeo, Napoli racconta Peppe Barra. Non ci sarebbe nulla di strano, credetemi – leggete il libro e mi darete ragione – perché a raccontare, lì, è la città, che poi è un modo di stare nel mondo. Negli spazi che si prende l’autrice per descrivere i movimenti di Barra, le sue espressioni, il contesto, si vede Napoli: dalla vista dell’appartamento che dà sul golfo e sul Vesuvio, alle imitazioni divertite e divertenti dell’attore che ricorda qualche amico o aneddoto. Napoli parla attraverso di lui, si racconta. Non serve dirmi che Barra è nato a Procida e quella è la sua isola: non è una genealogia quella a cui mi riferisco. È invece il fenomeno inusuale, ma che accade ad alcuni quando si trovano in stato di grazia, di un luogo che si incarna in una persona, rendendola – qui si sconfina nel misticismo, ma non trovo parole più adeguate – il proprio verbo.

Racconta Napoli
Racconta Napoli Di Beppe Barra;Conchita Sannino;

Napoli attraverso gli occhi di chi ne è uno dei maggiori interpreti: teatro, canzone, danza, imitazione. Una vita passata sul palcoscenico, portando la propria città in giro per il mondo con un piglio autentico, divertente ed eccezionale.

Ho sempre cercato, nonostante tutto, quella cosa che piaceva tanto anche a mia madre Concetta, la luce. Insieme alla follia

Peppe Barra

E, ancora, c’è il teatro. Il palcoscenico dove si canta, si recita, si miagola – un brano esilarante ricorda di un rimprovero fatto da Concetta al figlio durante l’esibizione in Duetto buffo di due gatti di Rossini. La madre di Peppe era donna di spettacolo sin da giovane, sin da quando cantava insieme a due amiche sulle barche della Mergellina: un’immagine malinconica e romantica di un coro di madonne che intona un canto tra le onde del golfo napoletano, ’a varca che canta. Poi sono arrivati i figli, la loro educazione, una casa da governare, ed è finito tutto fino ai suoi 54 anni. E anche qui sembra una favola, un po’ una Cenerentola partenopea: mentre Barra prova insieme alla sua compagnia a casa sua, Roberto De Simone la sente canticchiare ’O sole mio. E si innamora di quella voce e le dice: «Concetta, tu devi cantare!» E così ricomincia.

E se ogni cosa ha due volti, in questo libro, non poteva non averceli anche il teatro di Barra. I Barra, infatti, sono due: Peppe e Concetta. Il legame tra madre e figlio è talmente forte e indissolubile che le pagine in cui lo si racconta – e non lo si racconta – sono le più commoventi e umane. Lei era un’artista, lui lo è ancora, e questa connessione rendeva quella genitoriale meno impostata e dolorosa, più complice. Sul palcoscenico ci sono rimasti insieme fino alla scomparsa di Concetta, ma il suo volto rimane il doppio di Peppe. La sua voce e la sua arte rimangono nel Peppe artista e personaggio, il suo entusiasmo e il suo amore per la vita, invece, nel Peppe uomo e figlio. Un altro duo, l’ultimo di questa recensione: malinconia e gioia. Due volti di Peppe Barra, di questo libro, e di Napoli, a ben guardare.

Mi riferisco esattamente al governo del caos, alla tessitura tra le ferite. All’equilibrio anche nel disordine, nel rumore, nel gioco un po’ azzardato. La chiamo eleganza, ma è in fondo un sinonimo dell’arte di stare in equilibrio

Peppe Barra

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