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La danza dei lebbrosi di Leonard Cohen

Stasera siamo gloriosi e degradati, cavallereschi e invaghiti, belli e disgustosi

C’è una poesia al cui fascino non si riesce a resistere, nella bruttura del mondo. Non tutti sono capaci di trovarla, soprattutto quando la violenza e l’orrore superano di gran lunga la bellezza che può derivare da quella poesia: Leonard Cohen, però, questa poesia l’ha vista, e ne ha scritto. Prima della sua fama, prima di girare il mondo raccontando storie con la sua musica, quando voleva essere scrittore, poeta e romanziere. Prima di questa gloria, Cohen ha scandagliato l’animo umano con una penna affilata e profonda, capace di scovare ogni pur flebile fiammella di vita.

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Il romanzo che dà il titolo a questa raccolta, La danza dei lebbrosi, ci accoglie con una boria da primo della classe: lì, in quelle pagine, c’è tutto ciò che serve per capire Cohen, per capirne il talento, soprattutto. A partire da un incipit da manuale, capace di tirarci dentro una storia di cui non sappiamo niente ma che ci rapisce all’istante: «Mio nonno è venuto a vivere con me». Tanto basta perché si inneschi qualcosa, anche se, a vederla così, questa frase, c’è il rischio di farsi ingannare: una storia di tenerezza, viene da pensare.

Non so se riuscirò a rendere credibile il resto della storia che devo raccontarti

Frase dopo frase, però, ci rendiamo conto che, di tenerezza, non ce n’è neppure l’ombra, in questa storia. Intanto, il nonno non è un simpatico vecchietto, ma un vero e proprio attaccabrighe, che mena fendenti col suo bastone a passanti e poliziotti e scatena, nella mente del protagonista, un desiderio ancestrale di violenza. Sì, perché Cohen fa una rassegna qui della violenza, quella bruta, cieca, senza spiegazione, quella che segue solo la legge del più forte. Per cercare un legame con quel vecchio parente arrivato chissà dove, il protagonista cerca di emularne la violenza fisica e psicologica (il tema del legame con il creatore-genitore tornerà, per esempio, in ne ho avuti di animaletti).

Questa violenza che porta il protagonista a seviziare un innocente commesso della stazione ferroviaria è solo il pretesto con cui Cohen vuole raccontare qualcosa di profondamente umano: fin dove siamo disposti a spingerci per non restare soli, per godere di quel senso di appartenenza e connessione che sembra pervadere il mondo al di fuori di noi? Cohen si limita a darci delle interpretazioni, che hanno più a che fare con la follia che con lo stato delle cose – la ricerca ossessiva di un’origine porta i protagonisti a sragionare, a diventare mostri, pervertiti, molestatori –, ma sembra che questa spinta sia destinata al fallimento.  

Siamo umani e vogliamo amare, e qualcuno dovrà perdonarci per le strade che prendiamo per arrivare all’amore

Alla fine, l’estenuante ricerca è solo questa, l’amore, ma senza retorica. L’amore di Cohen, così come ce ne scrive, è un amore che non cambia la sua quantità, ma la sua qualità. Siamo, scrive, sempre amati allo stesso modo, sono gli amanti a cambiare: genitori, figli, mogli, mariti, sconosciuti. Ma quando sentiamo questa quantità d’amore venire meno ecco che sprofondiamo e siamo disposti a tutto per riconquistare quello stato di grazia. Cioè, per dirla con le storie di Cohen, a cercare in lungo e in largo qualcuno o qualcosa che ci possa dare amore, anche violento, anche sbagliato – umiliazione, martirio, crudeltà. Tutto, purché sia capace di farci sentire meno soli.

“Siamo tutti così prossimi alla violenza,” ha detto lei. “Sembra sempre un sentiero sincero nei meandri dell’umiliazione”

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Conosci l'autore

Suo padre, imprenditore tessile, morì quando lui aveva nove anni. A diciassette anni entrò alla McGill University dove formò i Buckskin Boys e scrisse il primo libro di poesie, Let Us Compare Mythologies (tradotto in Itala con il titolo Confrontiamo allora i nostri miti). Il suo secondo volume, pubblicato nel 1961 e intitolato The Spice Box of Earth, fu apprezzato in tutto il mondo. Ma come è sempre accaduto nella sua carriera, l'enorme riconoscimento ricevuto dalla sua opera non trovò un corrispettivo dal punto di vista economico. "Non riuscivo a guadagnarmi da vivere", ha detto.Da quasi cinquant’anni Leonard Cohen incanta il mondo con le sue canzoni con le sue poesie di ribellione e d’amore, perennemente in bilico tra la vita e l’immaginazione. Scrive Giancarlo De Cataldo nella prefazione a L’energia degli schiavi: «Perennemente incapace di scegliere fra l’ascesi imposta da un millenario retroterra mistico e la pella abbronzata delle stelline di cartapesta, ha bruciato e consumato amori, rancori, droghe e dolori.Ha mollato l’azienda di famiglia (ramo tessile) per farsi poeta. Ha studiato la cabala e il Talmud ed esplorato il sesso adolescente nel lungo inverno canadese.È partito per Cuba entusiasta di Fidel e ne è stato cacciato con ignominia per aver fatto comunella con una congrega di santi bevitori e donnine di facili costumi quanto mai invisa al moralismo di regime.È stato “Capitan Mandrax”, il bipede semovente più fatto del sistema rock, e ha conteso a Erns Junger e William Burroughs il discutibile primato di tossico più longevo del XX secolo.A sessant’anni suonati s’è ritirato in cima a un eremo per assistere il vecchio maestro Roshi, a quasi settanta ha riscoperto Los Angeles, la tv e il nemico pubblico numero due (dopo l’undici di settembre) dei puritani stelle & strisce: il tabacco.Nel bel mezzo del periodo buddista ha scritto una sarcastica invettiva rivendicando la sua mai negletta appartenenza alla cultura (e alla fede) ebraica.Il suo continuo oscilare da un estremo all’altro di due visioni profondamente contrapposte dell’esistenza ne fa un esempio unico di vita vissuta e raccontata in una “presa diretta” costantemente sopra le righe.»Dopo un breve periodo trascorso alla Columbia University di New York, Cohen ottenne una borsa di studio con la quale venne in Europa, stabilendosi in Grecia, nell'isola di Hydra dove visse per sette anni con Marianne Jensen e suo figlio Axel. Nel periodo greco scrisse un'altra raccolta di poesie Fiori per Hitler (1964) e due romanzi di successo The Favourite Game (Il gioco preferito, il suo ritratto di giovane ebreo a Montreal) e Beautiful Losers (1966). Dopo aver raggiunto la notorietà come romanziere e poeta, Cohen decise di tornare in America e dedicarsi completamente alla musica. Nel 1967 registrò per la Columbia il suo primo album The Songs of Leonard Cohen, che include brani come "Suzanne", "Hey That's No Way To Say Goodbye", "So Long, Marianne" and "Sister of Mercy". Songs for a Room e Songs of Love and Hate del '69 e del '71 confermano il talento di Cohen come poeta e musicista della solitudine. Del '72 è il suo primo album dal vivo Live Songs. Nel 1973 New Skin for the Old Ceremony dà l'avvio a un rinnovamento stilistico che coniuga la tipica ricerca nei meandri dell'animo umano con un suono rinnovato e arrangiato con più cura. Dopo questo album Cohen si prende qualche anno di pausa fino al 1977, quando esce forse il suo album più strano Death Of a Ladies' Man. A questo fa seguito Recent Songs del 1979, un nuovo punto di partenza rispetto ai precedenti, in cui oltre ai temi riguradanti le difficili relazioni uomo/donna si affacciano quelli riguardanti la sfera religiosa che Cohen realizza in pieno nell'album del 1984 Various Positions nel quale sono incluse canzoni come "Halleluja", "The Law", "Heart With No Companion", nate da una lunga e difficile battaglia spirituale che Cohen ha intrapreso con se stesso. I'm your man del 1988 è stato forse il culmine della carriera professionale.Nel corso degli anni '90 Cohen ha continuato a scrivere poesie che sono state pubblicate in tutto il mondo: per un uomo che aspirava semplicemente ad essere "un poeta minore" tutto questo non è poco.È morto l'11 novembre 2016.

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