Avendo sempre amato Camille Claudel e non stancandomi mai di sfogliare i cataloghi delle sue meravigliose sculture, non ho resistito all’impulso di acquistare il romanzo storico di Pia Rosenberg, da poco pubblicato da Beat, che ne traccia un appassionato ritratto.
Il piacevole libro ha il solo limite di fermarsi a un passo dall’orlo dell’abisso della sua esistenza. Un altro passo e ci saremmo ritrovati indignati e rattristati di fronte al crollo definitivo della sua vita artistica e umana.
La biografia romanzata ci racconta dell’infanzia di Camille, delle sue prime creazioni del mondo con l’argilla della sua terra e con le rocce del Geyn, del difficile rapporto con la madre e della complicità del padre e del geniale fratello Paul.
La felicità totalizzante dell’atto di dare forma e di rendere eterna la realtà, come un piccolo demiurgo, Camille la prova per la prima volta - dapprima come un gioco della sua creatività - verso i sei anni e da allora diventerà la sua ossessione, il grido di libertà del suo genio. Appena tredicenne, sotto l’insegnamento del maestro Alfred Boucher, imparerà velocemente le tecniche necessarie, con la mente intenta ad assorbire ogni segreto della materia.
Osteggiata dalla severa madre, ma sostenuta dal padre che, primo fra tutti, si rese conto del suo talento, non si stancherà mai di lottare in nome dell’arte, e lascerà, giovanissima, la campagna, per la promessa di libertà della capitale francese.
Qui, con le sue opere, affronterà, conscia del suo talento e in nome dell’arte pura, quei limiti che anche nel mondo dell’arte ostacolavano ancora le donne, pronta a fronteggiare i colleghi maschi e i pregiudizi sessisti che impedivano alle donne di accedere ai corsi di disegno di nudo dal vivo, di competere nei concorsi a premi per le opere d’arte e nelle esposizioni più importanti dell’epoca.
Rosenberg ci porta nel cuore artistico della Parigi della seconda metà dell’800, tra la nascente corrente degli impressionisti e le vivaci serate nei salotti letterari di Stéphane Mallarmé, una città in fermento dove Camille realizzerà il sogno di aprire un suo atelier con due giovani scultrici inglesi, sue amiche. Proprio qui assaporerà i primi sfuggenti accenni di emancipazione, vivendo di arte, e la gioia immensa dei primi riconoscimenti.
Anche la sua vita più intima a Parigi entrerà in un unico vortice di pathos e arte, con l’incontro fatale con il “gigante” August Rodin, geniale, innovatore, ma personalità complessa ed egocentrica. Un artista che “vuole catturare la vita in sé”, ossessionato da Dante, dalla morte e dalle tenebre. Entrambi alla ricerca del vero e dell’emozione nella scultura, e attratti l’un l’altro da una passione accecante e tormentata.
L’autrice ci fa vivere i tempi e l’atmosfera della realizzazione delle opere immortali dei due grandi geni. Da quella della “Porta dell’inferno” di Rodin, alla splendida “Sakuntala” di Camille, o al suo celebre “Walzer”, ispirato dal giovane amico Debussy. Rosenberg coglie l’affinità di pensiero dei due amanti, la loro visione del mondo, l’acutezza e la capacità critica e di comprensione di Camille di cui Rodin necessita e si nutre costantemente.
La giovane scultrice, che sembra superare forse per acume il suo maestro-amante, e che gli è pari per grandezza e genialità, nella relazione clandestina, in questa passione proibita, soffre tuttavia fortemente l’egoismo dell’amato, le sue perenni indecisioni, e se trova in lui un forte sostegno per i suoi progetti, non lo ritrova come donna e compagna.
Avevano infatti un bisogno estremo l’uno dell’altro, consapevoli della propria grandezza, del proprio amore, ma anche della fragilità della loro relazione.
Giocato sul doppio binario del rapporto umano e di quello artistico, con un coro di voci e presenze che fanno da cornice alla coppia di scultori, tra la vivacità del mondo degli atelier e delle accademie e quello più soffocante del mondo familiare, il romanzo si legge d’un fiato. Scorrevole, piacevole, ci fa fremere, sorridere e indignare. Ci mostra la grandezza e la forza di una donna geniale insieme alla sua fragilità, ci trascina dentro le righe in un amore totalizzante e crudele, con tutte le sfaccettature di una grande passione.
Ma questa, che ricopre lo spazio temporale della sua sola vita d’artista, è solo una parte del tempo d vita a lei concesso. È triste ricordare il prezzo che ha dovuto pagare per la sua ribellione, e quel dolore dell’abbandono lancinante nell’animo, che porterà con sé fino alla fine.
E il passo oltre l’abisso, che si apre a libro concluso, è quello della consapevolezza della sua reclusione forzata, 30 anni di manicomio, e quella ancor più triste di sapere che il suo corpo giace in una fossa comune, non essendo mai stato reclamato dalla sua famiglia. Perché la genialità di una donna artista e amante libera da pregiudizi può essere scomoda, quando si scontra con le leggi della normalità e dalla banalità del mondo delle consuetudini.
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