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Il lama dell’Alabama di Nicolò Cavallaro

Perché basta un nonnulla ad abbrivare una storia

Questo è un romanzo in cui le cose accadono nel frattempo. Non è un caso che cominci, infatti, «mentre Sabrina spira», con un protagonista che fa di mestiere ciò che tutti noi vorremmo essere capaci a fare: ritrovare le cose perse. E proprio mentre Sabrina è lì, in un letto d’ospedale e sta spirando, Guido riceve la richiesta di trovare qualcosa di semplice, talmente semplice da angosciarlo – perché ce ne sono a migliaia di uguali – ma accetta, perché nel frattempo che Sabrina se ne sta andando, lui qualcosa deve pur fare. E allora si mette alla ricerca dell’orologio.

Per coloro che temono di trovarsi di fronte a una specie di giallo, rassicuro: la ricerca vera e propria del maltolto occuperà sì e no una decina di pagine. Nel Lama dell'Alabama di Nicolò Cavallaro (Hacca), la parole sono sistemate in maniera talmente armoniosa che alla storia, per andare avanti e tenerci lì, sulla pagina, basta una spintarella qua e là. Non serve inventarsi molto di più di un orologio scomparso perché Cavallaro, come succede ed è successo per secoli in letteratura, perde il controllo degli eventi e lascia che nel suo libro a scorrere sia la vita più assurda e più vera che possiamo immaginarci (se questa perdita di controllo sia escamotage letterario o contingenza narrativa, non lo scopriremo qui).

Il lama dell'Alabama
Il lama dell'Alabama Di Nicolò Cavallaro;

Roma, parco della Caffarella. Guido, un detective specializzato in oggetti smarriti, riceve un breve e anonimo messaggio: «La prego di ritrovare il mio orologio. Ha un valore inestimabile. E tale sarà per lei la ricompensa». Inizia così "Il lama dell’Alabama", romanzo d’esordio di Nicolò Cavallaro.

Non c’era niente da dover fare, niente che potessimo fare. Solo esserci dentro, senza voler morire ma accettandolo senza rimpianti se fosse accaduto

Nel Lama dell’Alabama non si trova infatti nulla di quella letteratura posata e posticcia che tenta con intensità sovrumana di scoprire qualcosa dell’umano, al contrario. Nel Lama dell’Alabama c’è un’esplosione. Mentre leggevo – ancora questo nel frattempo – era come quando osservi quelle immagini della superficie del sole, dove ogni tanto dall’arancio magmatico scoppia un geyser verso l’alto, incontrollabile e necessario. Ma mi spiego meglio.

Per prima cosa Cavallaro prende una scrittura, la sua, la storta, la deturpa, la lavora finché non diventa altro – finché non diventa una voce. Lo stile del Lama dell’Alabama è così fresco, così genuino e naturale che trascina come una conversazione ben fatta: siamo con lui, con Guido, a prenderci un caffè in una piazza romana mentre ci racconta una storia, e pendiamo dalle sue labbra. Poi ci sono i personaggi, che sono un carnevale, un enorme e variopinto corteo di caratteri e di tipi dai nomi bizzarri (Alice Tuttoburro, Marianna Fuma, Ulisse Pulviscolo). Nomi che rappresentano sì un destino, ma che non costringono i personaggi, casomai ce li rendono particolarmente familiari: sfido a non commuoversi nel vedere la piccola Margherita seduta fuori da scuola ad aspettare il papà.

Infine c’è lei, la protagonista indiscussa, quella che tiene in piedi l’impalcatura dall’inizio alla fine: la narrazione. Altro bum che ci stordisce, Cavallaro prende i modi canonici di scrivere un libro, con capitoli, sospensione dell’incredulità, verosimiglianza eccetera e scardina tutto. Parla con noi lettori – e noi lettrici, a volte solo con gli uni o con le altre – i capitoli sono messi alla rinfusa, qualcuno addirittura non è sicuro che sia un vero e proprio capitolo, ci sono indicazioni tipografiche, lessicali, grammaticali. Ci sono, insomma, il libro e il metalibro, anche se detta così sembra tanto seriosa da far apparire il tutto come un divertissement accademico e sterile. Invece questo magma ribollente è un gioco, sconfinato, stratificato, dove si può scendere in profondità e piangere o restare per un po’ a galla e ridere come dei matti. C’è una vita infinita qui, ed è solo grazie a tutto questo frenetico disordine che riusciamo a leggerne un po’.

Siamo stati innamorati pagine addietro

C’è un’ultima faccenda da affrontare in queste righe, ed è la faccenda dell’orologio. Non intendo scrivere se si sia trovato oppure no, ma visto che abbiamo cominciato con nel frattempo, chiudiamo con il tema che attraversa tutto il libro e che scava in noi lettori e lettrici con un ritmo e una dedizione martellanti. È vero che Guido cerca un orologio, ma in tutto questo ambaradan, accelerazioni senza virgole, calembour maturi e profumati per essere raccolti, Alici ed Ettori che parlano per tatuaggi o per inversione sillabica, in tutto questo dobbiamo ricordarci che c’è, a ogni pagina, Sabrina che spira. E l’affanno che proviamo noi, e per cui vorremmo aiutare Guido, riguarda il non avere tempo. È quel che stiamo cercando tutti, alla fine della storia: ritardiamo un momento spaventoso, cerchiamo il tempo all’interno del nel frattempo in cui ci si gioca la vita vera, quella prosaica, quella senza nessuna trama, caotica e piena di veramiglie. 

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Prima Effe. Feltrinelli per la scuola propone l’incontro con gli scrittori per trasformare la lettura in un’esperienza indimenticabile, per avvicinare gli studenti ai grandi temi dell’attualità offrendo la possibilità di confrontarsi con chi quelle storie le ha scritte. Un viaggio straordinario e a portata di mano, nel mondo e in se stessi. Per organizzare un incontro scrivi a mailto:info@primaeffe.it

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