Una compagnia improbabile, fatta di nani e stregoni, parte per un lungo viaggio attraverso terre fantastiche, con l’obbiettivo di liberare un regno dalla tirannia di un drago. Questa è la trama de Lo Hobbit. Ma dietro alle parole di Tolkien si cela molto, molto di più.
Per i lettori di tutto il mondo, è il libro con cui Tolkien ha presentato per la prima volta, nel 1937, il foltissimo mondo mitologico del Signore degli Anelli, che ormai milioni di persone di ogni età, sparse ovunque, conoscono in tutti i suoi minuti particolari
Il prequel del Signore degli Anelli è stato definito il punto di partenza della narrativa fantasy. Che cosa lo rende tale? Che cosa, più degli altri libri, lo rende un classico della letteratura? In poche parole, cosa lo rende “assoluto”?
Innanzitutto, è bello. Bello da vedere: Tolkien costruisce un mondo fittizio sconfinato, esotico e mozzafiato, fatto di foreste stregate, castelli abbandonati e vaste praterie. La Terra di Mezzo è la diretta manifestazione del desiderio di fuga dello scrittore, della sua voglia di qualcosa di soprannaturale, di incredibile, di fuori dall’ordinario. Bello da leggere: nascendo come un racconto per bambini, ha il tono della fiaba, con la sua colloquialità, la sua pacatezza, la sua dolcezza. Bello da sentire: l’autore infuse nel suo primo libro tutti i suoni e tutte le sensazioni che reputava senza tempo, rendendolo vivo e musicale con l’odore del tabacco, il verso di un tordo o un canto a più voci. Tolkien crea delle immagini dal gusto antico e sublime: i suoi nani ed i suoi elfi vengono dritti dalla mitologia norrena, e cantano e danzano; gli incantesimi citati sono invisibili, e giocano su apparizioni, sparizioni, spostamenti improvvisi celati dalle tenebre, in delle scene quasi teatrali.
Nella radura c’era una gran folla- elfi, a giudicare dall’aspetto: tutti vestiti di verde e marrone, seduti in un gran cerchio su sedili ricavati dai tronchi segati. C’era un fuoco nel mezzo, e torce erano assicurate agli alberi tutt’intorno; ma la cosa più bella da vedere era che mangiavano, bevevano e ridevano allegramente. Il profumo degli arrosti era così incantatore che, senza aspettare di consultarsi tra loro, Bilbo e i nani balzarono verso il cerchio, col solo proposito di elemosinare un po’ di cibo. Ma appena ebbero messo piede nella radura, tutte le luci si spensero come per magia
Ma non è solo bello: è anche realistico. Forse non per quanto riguarda draghi e stregoni, ma di sicuro nella costruzione del protagonista. Bilbo Baggins è un amante delle comodità, una persona quieta, che non ha mai fatto nulla di inaspettato: è, a modo suo, la parodia di una vita sedentaria, ripetitiva, sterile. Facendogli lasciare la sua poltrona in favore di un viaggio avventuroso, di un’evasione, Tolkien parla a tutti: la chiamata all’avventura non avviene nei confronti di un eroe, ma nei confronti della noiosa placidità dell’uomo moderno, presente in Tolkien così come nel lettore. Bilbo è quasi autobiografico, con la sua pipa, il suo fazzoletto, la sua poltrona, i suoi libri: parte per un’avventura e Tolkien parte con lui.
In un buco nella terra viveva uno hobbit. Non era un buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco-hobbit, vale a dire comodo
Infine, è assoluto, perché di temi assoluti parla. Gli hobbit sono bassi e pettegoli, e passano la propria vita a mangiare e a dormire nei bucolici paesaggi della Contea. Ma si ritrovano a viaggiare e a scontrarsi col mondo, e quando ciò succede pensano al passato come si pensa ad un’infanzia perduta.
Tramite i temi della casa, della partenza e della perdita, gli hobbit diventano degli umani biblici, cacciati dal paradiso terrestre. Ma non sono delle vittime: così estranei ai combattimenti, alla violenza e al male nel mondo, sono il simbolo della bellezza che sopravvive, della semplicità, del bene; sono individui incredibilmente piccoli che si ritrovano a fare cose incredibilmente grandi. Gli hobbit e la Contea sono il dono di Tolkien alla letteratura, e sono il motivo per cui Lo Hobbit è il punto di partenza del genere fantasy: racchiudono in sé nostalgia, senso di avventura, escapismo; racchiudono in sé il rapporto con la natura selvaggia e con i temi di bene e male. Sono, in definitiva, tutto ciò che serve per esplorare un mondo immaginario.
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