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Maniac di Benjamín Labatut

Se c'è una ridondanza che mi tornava in testa mentre leggevo, io che sono poco avvezza alla comprensione della scienza, ma molto più a quella che si appaia con la letteratura, era sicuramente l'etimologia della parola crisi, un fulgido esempio di trasformazione (e forse tradimento). L'origine vuole che krisis corrisponda a scelta, krino a distinguere. Ecco, in qualche modo, Maniac di Benjamin Labatut (Adelphi) porta in scena l'ambivalenza di questa parola, gli atti mutevoli, ciò che distinguere comporta e, con essa, tutto ciò che crisi è stato e continua a essere per l'interpretazione e la lettura delle regole del mondo, gli assi fra cui si muove e ai quali noi, vincibili, sottostiamo.

Maniac
Maniac Di Benjamín Labatut;

L’odissea nera di John von Neumann, l’uomo che disegnò la mappa infernale del mondo che oggi abitiamo, nel nuovo straordinario libro di Benjamín Labatut.

Labatut fa un'azione narrativa ammirevole. Si immerge nelle vite di grandi scienziati, Ehrenfest, von Neumann e di uno dei più grandi giocatori di go, Sedol, partendo da una base di finzione che trova sempre corrispondenza nella realtà e, dopo poche pagine – se sei un lettore scettico, smetti di farti domande e ti affidi completamente a questa esperienza immersiva.

Il libro si apre su Ehrenfest che decide di sparare a suo figlio, all’interno dell’istituto per bambini infermi in cui è in cura, e poi puntarsi la pistola contro, il 25 settembre 1933. Qui termina la prima crisi.

Il mondo – come lo ha conosciuto Ehrenfest – non è più lo stesso. Quando parliamo di mondo, in questo caso, c’è solo una possibilità di interpretazione ed è quella che fa capo alla matematica. Ma la matematica non bastava più. Ed Ehrenfest lo aveva afferrato benissimo. Come aveva compreso che lui non rispondeva alla logica, non ci riusciva: le intuizioni, le deduzioni, queste sovrastrutture che parevano immaginifiche rispetto al suo modo di ragionare, stavano costruendo un’altra realtà che correva e lo sorpassava.

Cosa resta di te se non hai più le leggi che ti hanno sempre fatto leggere la quotidianità? Cosa resta di te se non hai più la soglia di ciò che sai e quello che puoi arrivare a capire?

Era una sorta di tradimento della razionalità. Dare nuove leggi al cosmo e non poterle tradurre attraverso delle formule. Questa è la crisi che si fa scelta e la scelta di Ehrenfest era di estromettere sé stesso da ciò che non capiva più, il tradimento della scienza da cui, con grande consapevolezza quanto spaesamento, non si è lasciato travolgere.

E qui, tra un passaggio e l’altro, Labatut fa un gesto piccolo e bellissimo. Nel mare di parole, nell’infinità di interpretazioni che si possono dare, decide di inserire una foto che ritrae il matematico con suo figlio, non in braccio a lui ma che, a breve distanza, lo guarda pieno di bene, accudito. Una crudeltà dolce che separa, riaccoglie, forse non quieta, ma dilata il dolore.

Voi sostenente che certe cose una macchina non le può fare. Spiegatemi esattamente cosa una macchina non può fare, e io riuscirò a costruire una macchina che fa proprio quella cosa.

John von Neumann

Ben diversa, invece, è la prospettiva che vien fuori di John von Neumann: un genio, distaccato e pieno di guizzi come il suo calcolatore, il MANIAC (acronimo di Mathematical Analyzer, Numerical Integrator And Computer).

La panoramica su von Neumann è aperta grazie a tante voci che raccontano la sua personalità, la sua essenza di fuoriclasse, la nefandezza in cui faceva piombare le persone che non si riuscivano mai a sentire alla sua altezza, la visionarietà pari alla freddezza. Un concerto di immagini narrative e aneddoti che partono dall’infanzia e arrivano alla morte, fino a toccare la sua vicenda a Los Alamos, nel progetto che diede vita alla bomba atomica e che – come è ormai celebre negli ultimi tempi, grazie alla pellicola di Nolan – fece di tutti gli scienziati partecipanti, a detta di Oppenheimer, citando un testo sanscrito, dei distruttori di mondi.

La potenza di von Neumann fu quella di non arrestarsi davanti a niente, di partorire un’intuizione e metterla in pratica, evirando in sé stesso qualsiasi necessarietà che non fosse appaiabile con quella della scoperta. Era scegliere. Scegliere di progredire e sapere di essere l’unico a poterlo fare. Il MANIAC – che compare al centro di questo libro e ne fa la sua bomba – è solo una miccia di quello che questa macchina poi diventerà. Non sarà solo la prima effettiva vita, nata dopo il progetto di Alan Turing, ma sarà il lasciapassare verso ciò che condurrà all’AI per come la conosciamo. Ma soprattutto il MANIAC prenderà vita da una coincidenza che inorridisce quanto affascina: la partenza di calcolo del Maniac era la stessa che portò alla creazione della bomba a idrogeno.

Sembra il riassunto della persona che ne vien fuori, i chiaroscuri di von Neumann che non sono altro un passaggio propedeutico per l’evoluzione, un’inafferrabilità che poco può avere a che fare con le regole prescritte, le modalità logiche, un percorso univoco e ben chiaro. A volte, alcune cose, devono passare per l’impossibile, percorrerlo – sicuramente lasciarci non privi di repulsione – ma andare avanti, giungere dove altri non si sono spinti. E presentare la vittoria della macchina, con nessuno stupore di Ehrenfest.

L’ultimo passaggio, invece, ci conduce nella vita di Lee Sedol. È il 2016 e lui, campione indiscusso di Go – un gioco più complesso degli scacchi – viene battuto per ben tre volte dall’intelligenza artificiale. Fin quando non mette in scena la mossa 78 – una mossa che l’AI non conosce, non è registrata – e vince.

Vince molto più. Labatut ci lascia appesi alla speranza che, nel mistero che risponde all’intuizione, all’ingegno, all’estro, la mente umana possa ancora spuntarla, possa prendere il posto del re che, per adesso – chissà chi si illude del contrario – sta per mangiarci con la prossima mossa che gli abbiamo appena insegnato. Ma siamo maestri in questo – con l’atomica, con il MANIAC, con la bomba H, con la mossa 78 – siamo pronti a insegnare qualcosa di nuovo al nostro avversario, a quello che, in teoria, è un nostro alleato.

Ma questa è una storia che non riguarda Labatut, forse dobbiamo solo viverla ancora e ancora. Lui, la sua, l’ha già scritta benissimo e ci ha lasciato pieni di domande, a noi tocca porci quelle giuste.

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Benjamín Labatut è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni.Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti Después de la luz, Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi, 2021), nominato per l'International Booker Prize 2021 e Maniac (Adelphi, 2023).

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