Cosa facevo io mentre durava la storia? Mi limitavo ad amare te
Il titolo di questo romanzo di Rosella Postorino è ripreso da una poesia di Izet Sarajlic, storico, filosofo e poeta bosniaco, una delle pochissime personalità a voler rimanere a Sarajevo, città che apprezzava proprio per il suo carattere laico e multietnico (proprio per questo chiamata «Gerusalemme d’Europa»), durante l’assedio della città avvenuto dal 1992 al 1996.
Nell’orfanotrofio di Sarajevo, nella primavera del 1992, vive Omar, un ragazzino di dieci anni schivo e introverso che aspetta sempre la visita della madre, che ogni tanto passa a trovarlo. A fargli compagnia Nada, una bambina a cui manca un dito e che pur sembrando forte non si sente amata dal mondo. Per allontanarli dalla guerra, i bambini dell’orfanotrofio vengono caricati in un autobus diretto verso l’Italia. Un breve soggiorno in un istituto religioso che, per molti di questi ragazzi, sarà molto di più.
Dall’autrice del bestseller internazionale Le assaggiatrici, premio Campiello 2018, un romanzo epico e intimo, ispirato a una storia vera. L’avventura di una ragazza e due ragazzi cui il destino ha tolto tutto, ma che senza nemmeno saperlo finiranno per salvarsi l’un l’altro la vita.
Cosa facevo io mentre durava la storia?
Questo breve verso mi fa ricordare i tanti aerei che dopo il 1992 volavano sopra le nostre teste: me li ricordo, erano tanti e si capiva che erano aerei militari. Ero una ragazzina, all’epoca, ricordo un giorno con le amiche in cui stavo prendendo il bus per andare a Jesolo, in attesa di una giornata di sole e abbronzature. Comprai il Gazzettino, parlavano del massacro di Srebrenica, eppure per noi giovani era così strano pensare che sarebbe bastato attraversare quel breve tratto di mare per ritrovarsi in un paese in guerra. I ragazzini di cui si parla nel romanzo venivano portati in una colonia al mare in estate e forse qualcuno l’ho anche incontrato, perché, seppur romanzato, questo libro parla di storie vere.
Le vite dei due fratelli Omar, solitario e taciturno, e Sen, solare e simpatico, si intrecciano con quella di Nada, che ha un fratello che ha dovuto arruolarsi e che si sente sola, ma che comunque resiste, sperando nell’amore di Danilo, un altro ragazzo un po’ più grande che era con loro in quell’autobus. Danilo, però, i genitori li ha, ma hanno scelto di allontanarlo dalla guerra per salvarlo. Lui sa stare al mondo, saprà riscattarsi studiando e in cuor suo non desidererà tornare indietro, nella sua terra martoriata.
Ma come si può resistere agli strappi e alle ferite? Quel che noi viviamo da bambini, le nostre relazioni, le nostre esperienze e, soprattutto, la nostra indole, ci condizionerà, sempre e comunque, la vita? Questo ho continuato a chiedermi durante la lettura di questo libro seguendo le vite di questi bambini che diventano adulti. Come sempre la letteratura ci insegna a inoltrarci nelle vite dei personaggi e a confrontarle con le nostre, e le domande che nascono dal paragone hanno continuato a martellarmi fino all’ultima pagina. La mia personale risposta? L’infanzia condiziona le nostre vite, e anche se cambiare si può, ci vuole fatica e coraggio.
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