Nazionalismo è un’ottima opportunità per due motivi: ci costringe a ripercorrere gli ultimi 150 anni in forma inquieta ed è un testo che obbliga il lettore a reagire. Hobsbawm è un grande storico non perché è impossibile non essere d’accordo con lui, ma perché obbliga il lettore a pensare.
“Gli storici – scrive nelle pagine finali di Nazionalismo - sono per il nazionalismo ciò che i coltivatori di papaveri sono per gli eroinomani: offriamo la materia prima per il mercato” [p. 350]. E la materia prima è questa: trionfa una nostalgia di passato, alimentata anche dalle storie che gli storici offrono.
Nazionalismo (Rizzoli), la raccolta di scritti costruita e pensata da Donald Sassoon, uno degli allievi più brillanti di Hobsbawm, noto in Italia non solo per il suo La cultura degli europei ma anche per Sintomi morbosi (saggio pubblicato da Garzanti che con Nazionalismo fa diverse rime) non è solo la proposta di uno scavo nelle nostre paure attuali.
Le riflessioni di Hobsbawm, sempre attente e lucide, tracciano un percorso essenziale per chiunque voglia comprendere davvero un fenomeno complesso come quello del nazionalismo, approfondendone la storia, l’evoluzione e le possibili conseguenze.
La retorica, l’immaginario e le parole dei nazionalismi esercitano fascino e stabiliscono un'egemonia sul tempo presente.
Un presente in cui la globalizzazione produce voglia di nazionalismo anche perché questo è «impraticabile» e dunque carico di quella Retrotopia (Laterza) rispetto alla quale, anni fa, ci metteva in guardia Zygmunt Bauman.
Offerta di futuro carica di passato – precisa Hobsbawm – che va tenuta distinta dall’erronea identificazione del sentimento nazionalista di ritorno con una pulsione nostalgica nei confronti dei totalitarismi razzisti del ‘900.
La maggior parte di questi scritti sono riconducibili agli anni compresi fra il decennio dei ’90 e la vigilia della morte, ma ce ne sono alcuni molto significativi risalenti agli anni ’60, quando il nazionalismo era percepito come un fenomeno di restaurazione o come la risorsa delle culture dei movimenti anticoloniali in cerca di una propria identità rispetto alla cultura dei colonizzatori. Hobsbawm insiste però sul fatto che la nostalgia di passato non si identifica necessariamente con la richiesta di restaurarlo così com’è stato.
Per questo, insiste Hobsbawm, non è prioritario, pur essendo essenziale, raccontare quel passato com’è stato e cosa ha prodotto: occorre soprattutto smontare la macchina dei miti che danno forza a quella nostalgia.
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