Un bellissimo romanzo di formazione di un’intera generazione, quella dei Millennial. Intorno al protagonista, Pietro Benati, con tutte le sue inquietudini, si stagliano infatti figure indimenticabili, nate dalla casualità di incontri, che come lui si muovono, come randagi, in un vuoto di senso.
Il sentirsi “fuori luogo sempre” ed un indefinito senso di colpa si fanno eco e uniscono gli amici, ma anche le comparse e i personaggi minori, che nella scrittura, a tratti tragica e a tratti esilarante, ci portano con sé nel loro malessere esistenziale, che ci accorgiamo non essere poi tanto diverso da quello delle generazioni del passato, ma che prende solo nomi differenti.
Quasi come in un poema epico, l’esistenza di Pietro si delinea, nel corso di diversi anni, nel tentativo di scongiurare “la maledizione” che sembra atavicamente incombere sulla sua famiglia: la sparizione, il dileguarsi delle figure maschili dell’albero genealogico dei Benati. La paura di dare un significato alle scomparse e poi ricomparse del nonno e del padre è dapprima occultata da quel "talento di reinventarsi la realtà” del piccolo Pietro, che diventerà poi “senso di scollamento” dalla sua particolare famiglia “che perdeva pezzi senza mai tuttavia sgretolarsi”, e dal distacco, sempre sofferto e mai definitivo, dal rassicurante e perfetto fratello maggiore.
La solitudine forzatamente ricercata, nata dal senso di inadeguatezza, di incapacità di adattamento, di vergogna per le vicissitudini familiari diventa, in Pietro, “talento di restare immobili”, nel vano tentativo di tenere lontane le delusioni e i fallimenti mettendo al centro della sua esistenza una strofa di una canzone che gli risuona nella mente con la voce materna: “vivere al buio per smaltire un dolore”. Anche nei passi della sua vita da studente universitario che lo porterà a lasciare per mesi la sua città natale, Pisa, per Madrid, nell’apparente movimento dei viaggi, nelle nuove amicizie, la sua immobilità, anche sentimentale, non lo abbandonerà.
Nell’incontro con Dora, ”la ragazza che fa tremare l’aria”, la paura di una delusione lo bloccherà per lungo tempo dal cercare la sua salvezza nell’amore, anche perché tutti i nuovi amici intorno a sé sembrano portare il suo stesso peso, o fuggire da una maledizione ancestrale, ovvero da un dolore a cui non riescono a dare un nome.
Ibernati in un presente senza futuro, ognuno con la propria solitudine: Dora che fa continuamente domande senza aspettare le risposte e che trova rispecchiata la sua vita nelle sofferte pagine di Sylvia Plath; il coinquilino Laurent sempre inquieto e sotto l’effetto di droghe, che ha come unico desiderio per “sentirsi in pace con se stesso” di affacciarsi sul fiume.
La fuga o la reclusione sembrano le sole modalità di piegarsi all’esistenza, di sfuggire a quelle “avarie” che si portano dentro, ma le avventure, le tragedie, le sorprese che la vita porta con sé finiranno per mettere in movimento, disgelare le singole esistenze, intrecciandole indissolubilmente.
La fragilità e la solitudine dei personaggi in questa moderna epopea che porta faticosamente e con sofferenza i protagonisti alla presa di coscienza di un sé in cui ritrovarsi e a fare luce nel ”groviglio di sentimenti sedimentati”, ci catturano e ci tengono legati alle pagine grazie ad una scrittura che scava nelle emozioni più recondite e che si fa poetica o cruda, colta di riferimenti letterari o asciutta nella trascrizione del linguaggio giovanile. Non c’è una redenzione a schiudere il finale ma, ancor più imprescindibile, quell’accettazione dei ricordi e del dolore che rende liberi di vivere e orientarsi nella propria vita e l’accoglimento di una possibile felicità che sembrava immeritata.
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