Al nostro sguardo l’oggetto libro coincide con la storia che racchiude, identifichiamo il contenitore con il suo contenuto. Ma se il nostro sguardo si fa più chirurgico il libro è un parallelepipedo di carta, che a sua volta è l’impilarsi di rettangoli di cellulosa pressata. E se il libro fosse nel multiverso diventerebbe un tesseratto, che non è una specie di roditore ma un ipercubo a quattro dimensioni. Ma la realtà non ne ha solo tre di dimensioni? Ma il reale non si esaurisce nell’evidenza dei fenomeni.
Questo si può, questo non si può», «Questo è vero, questo non è vero», scegliamo da una babele di possibilità, probabilità, irrealtà e stranezze un’unica struttura che chiamiamo «realtà» e su cui ci basiamo per poter vivere.”
È la consapevolezza che emerge tra le pagine di uno scrittore fallito, diventato professore di romeno in una scuola di periferia, scoperchiando i suoi sogni e deliri, che sono la parte più concreta della sua esistenza, in un diario allucinato. E intanto consuma la sua vita galleggiando nel campo magnetico del solenoide sopra il letto, nella sua strana casa a forma di barca, in una Bucarest che è “un grande museo a cielo aperto, museo della malinconia e del decadimento di ogni cosa.”
Dentro una strana casa a forma di barca uno scrittore fallito consuma la vita creando pianeti nella propria testa, annotando sogni e incubi su un diario folle, vagando con la mente per una Bucarest allucinata, pulsatile, ectoplasmatica.
Sono pagine che accartocciano l’anima come una mano fa con una pallottola di carta straccia, leggendole si viene spogliati delle proprie effimere certezze, costruite nel corso di un’esistenza minuscola, e si viene lasciati lì, nudi, a confrontarsi con l’assoluta intellegibilità dell’universo.
E solo allora hai la rivelazione di vivere in un mattatoio, […] che tutti veniamo al mondo da un terrificante abisso senza memoria, che soffriamo incredibilmente sopra un granello di polvere del mondo infinito e che periamo poi, in un nanosecondo, come se non fossimo mai esistiti
Sono pagine che rispondono al bisogno umano di dialogare con una realtà che colpisce e si sottrae, e che vedono nell’evasione dalla tirannia del corpo e della percezione sensoriale l’accesso a un’altra dimensione dell’esistenza, a un livello di realtà superiore.
Sono pagine che germinano dal seme della memoria ed eruttano in una struttura labirintica, in un sistema di stanze costruite da una scrittura immaginifica, visionaria, traboccante di similitudini, una lingua metaletteraria che crea un’esperienza di lettura multidimensionale, che permette di vivere in uno spazio letterario.
Sono pagine fagocitanti che illuminano la crepa nello smalto della normalità, e noi abbiamo il dovere di grattare via quello smalto, di cercare, anche rischiando d’impazzire, un’altra verità.
Mi sento a volte come un bimbo piccolo messo davanti a una scacchiera. Hai preso il pedone bianco, magnifico. Ma perché lo metti in bocca. Perché afferri ora la scacchiera e la inclini, così tutti i pezzi scivoleranno via? O è forse questa la soluzione? Può darsi che la partita venga vinta proprio da colui che capisce a un tratto l’assurdità del gioco e lo manda in terra, quello che taglia il nodo mentre tutti gli altri si sforzano di scioglierlo?
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