"I know, you see
Somehow the world will change for me
And be so wonderful" cantava Miranda Cosgrove nella sigla di iCarly, famosa serie TV per ragazzi trasmessa su Nickelodeon della quale è protagonista.
Il mondo, per lei e i suoi giovani colleghi, è cambiato davvero grazie alla notorietà dello show, ma non per tutti loro è stato così "wonderful"...
Ricordate Sam? La migliore amica di Carly dal carattere duro, ribelle, sempre pronta a fare rissa con i bulli? Che la conosciate o meno, vi basti sapere che l'attrice che ne interpretava il ruolo, Jennette McCurdy, a quei tempi fosse tutta un'altra persona, alle prese con una vita che non era la sua, ma quella voluta espressamente dalla persona che amava di più: sua madre.
Jennette McCurdy aveva solo sei anni quando si presentò al suo primo provino. La madre sognava che diventasse una star e Jennette avrebbe fatto qualsiasi cosa per compiacerla. In queste pagine ricche di innocente candore e umorismo nero, racconta la sua infanzia e adolescenza, senza timore di toccare temi scottanti come i disturbi alimentari, le dipendenze e le relazioni familiari.
Il titolo sembra non lasciare spazio a dubbi.
Sono contenta che mia mamma è morta (so cosa vi state chiedendo e no, la traduzione del titolo dall'inglese è letterale, nessuna licenza poetica) è una frase che potrebbe far immaginare solo e soltanto una figlia che odia la propria madre e - con queste orribili parole - sembri quasi gioire di non averla più fra i piedi.
Questo libro, edito da Mondadori, è tutto il contrario.
Che abbiano scelto di intitolare così l'autobiografia come provocazione o tentativo di attirare la curiosità dei lettori, a noi non è dato saperlo, ma ciò che si cela tra queste pagine è una profonda storia d'amore tra una figlia e sua madre.
Peccato che quell'amore non sia altro che tossico.
Indosso la t-shirt [...]. Ha un sacco di viola, un colore che amo molto in questo periodo. Mamma preferisce il rosa, quindi non posso dirle che mi piace il viola. Le si spezzerebbe il cuore se tutto a un tratto annunciassi che ora il mio colore preferito è diverso dal suo. Il fatto che la mamma tenga a me così tanto da restare distrutta se avessi un colore preferito tutto mio è un onore. Vero amore
Sin dall'inizio del libro, ci viene offerta la possibilità di entrare nei dettagliati ricordi di una bambina che dipinge sua madre come una dea: bella, dolce, amorevole, che per lei vuole solo il meglio.
E anche noi conosciamo Debbie McCurdy come una figura presente, interessata a coltivare un rapporto con la figlia, ma tra le righe - da dietro gli occhi della piccola Jennette che cresce giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, di fronte a noi - la sentiamo prudere proprio lì, da qualche parte ai confini della coscienza.
C'è una nota stonata, qualcosa di profondamente sbagliato che si cela dietro quei: «Mamma ci istruisce a casa», «Fingo che mi piaccia perché mamma ci rimarrebbe male», «Non posso deludere mamma», «Mamma dice che non posso fare la doccia senza il suo aiuto», e tante altre preoccupanti espressioni simili.
Ci mettiamo ben poco a capire che la mamma di Jennette è una persona disturbata, ma non per la figlia, la quale ci narra ingenuamente il proprio amore per lei ed il senso del dovere nei suoi confronti che la muove sin da piccola, forse proprio da quel cancro che Debbie ha avuto e del quale non smette mai di parlare, usandolo come leva in qualsiasi situazione possa tornarle utile.
Jennette è responsabile della sua felicità, completamente invischiata in un rapporto in cui la madre, invece, le riversa addosso e in modo malato tutte le aspettative di una vita che - a sua detta per colpa dei propri genitori - non ha potuto vivere lei stessa.
Qui si innesta la morbosa spinta a far recitare la figlia, a renderla più bella, più magra, più brava, senza mai chiederle se sia quello che voglia davvero.
Jennette non può in alcun modo rivoltarsi contro di lei, non le spezzerebbe mai il cuore in questo modo, e quindi via a corsi di qualsiasi tipo che riempiano a tappo le sue giornate, con l'obiettivo di farsi trovare pronta per qualsiasi provino, senza dimenticare sedute di bellezza e ispezione fisica settimanale.
Poco importa se dorme su un materassino insieme ai tre fratelli maggiori perché la casa è lo specchio dei problemi mentali della madre, accumulatrice compulsiva che conserva qualsiasi cosa stipandola nelle stanze ormai strabordanti.
Poco importa se Jennette ha l'ansia da palcoscenico e preferirebbe essere da tutt'altra parte invece che davanti una telecamera.
Poco importa se di lei non resterà più niente, se non un costrutto modellato dalle mani della madre.
Con toni dolci, ricatti morali e una manipolazione costante, Debbie cresce Jennette con la convinzione che gli unici scopi della sua vita debbano essere quelli di farla felice, essere un'attrice di successo, portare soldi a casa ed essere la migliore, sempre e in tutto. L'adolescenza dell'autrice di questo libro si trasforma presto - e inevitabilmente, aggiungerei - in un incubo.
Diventare giovani donne non è contemplato, perché equivale ad allontanamento, indipendenza, più libertà. E il seno, le mestruazioni, i fianchi arrotondati, l'aumento di peso, sono il male, perché impediscono a Jennette di restare la dolce bambina che sua madre vorrebbe che fosse.
Assistiamo inerti alla disperazione di questa ragazza per una cosa del tutto naturale, e insieme alla madre la vediamo affondare nella soluzione che quest'ultima le offre.
Debbie la chiama restrizione calorica, noi vi leggiamo denutrizione.
Jennette diventa ben presto anoressica, nel tentativo di non crescere, non allargarsi, non diventare una donna, e nessuno ferma né lei né sua madre. Sebbene conosciamo le figure dei nonni e quella eterea del padre, che c'è e non c'è poiché perennemente in conflitto con Debbie, nessuno di loro prende in mano la situazione e sottrae la ragazzina a quei soprusi.
Ovviamente nemmeno Jennette stessa, che l'unica volta in cui prova a confessare alla madre di non voler più recitare, la vede strillare e piangere al volante con la minaccia di andare a schiantarsi.
Diventare star di iCarly prima e di Sam&Cat dopo, non fa altro che peggiorare la situazione.
La fama la costringe a fingere anche quando è in giro, non solo quando è con sua madre, e tutti vogliono un pezzetto di lei... o meglio, di Sam Puckett, il personaggio che interpreta.
Perché chi mai si è interessato alla vera Jennette?
Uno stigma che non si toglierà più di dosso, nemmeno quando il cancro farà il suo ritorno e Debbie verrà ricoverata in ospedale.
«Ma tu sei...?» chiede l’infermiera. [...] Non rispondo. Stringo gli occhi e spero che l’infermiera si renda conto di quanto sia inappropriato chiedermelo in questo momento. Ma niente da fare. «Sembri proprio Samantha Puckett. Sam. Sei tu?» Resto lì, in preda a un senso di assoluto sconforto per come si è ridotto il genere umano, e intanto l’infermiera smaltisce le feci di mia madre
Qui Jennette è ormai una giovane donna, ma nulla è cambiato. Potremmo dire che è solo peggiorato.
Dall'anoressia siamo passati ad una bulimia incontenibile, alternata ad abbuffate ricolme di senso di colpa iniziate quando per la prima volta si è allontanata dalla stretta sorveglianza della madre per fare un tour musicale, ovviamente voluto da Debbie per alternare la carriera attoriale della figlia a quella musicale.
Ogni volta che Jennette ha tentato di ritagliarsi degli spazi propri, frequentando qualche ragazzo, è stata vessata selvaggiamente dalla madre con gli epiteti peggiori, per poi tornare subito un docile agnellino nel momento di bisogno economico o quando semplicemente la figlia, in preda a terribili rimorsi, cercava disperatamente un riavvicinamento.
La ragazza è in una spirale inarrestabile che punta dritto verso il basso, e nemmeno amici come Miranda possono salvarla se non è lei a volerlo per prima.
Pensate che tutto si risolva con la morte della madre? Per niente, anzi. Il peggio, per il lettore, è vedere l'autodistruzione che Jennette continua a perpetuare soprattutto dopo, perché lei è ancora intrappolata lì, di fronte al suo corpo esanime, a porsi queste inevitabili domande:
Se il mio peso non basta a far svegliare la mamma, allora niente basterà. E se nulla può svegliarla, allora significa che morirà per davvero. E se morirà per davvero, che cosa farò? Che cosa ne sarà di me? Lo scopo della mia vita è sempre stato rendere felice mamma, essere la persona che voleva che fossi. Quindi, senza mamma, chi dovrei essere ora?
Per vedere il modo in cui riuscirà finalmente a venire a patti con il fatto che sua madre fosse una narcisista patologica che abusava di lei, ad uscire dalle dipendenze e soprattutto a realizzare che tutto ciò che amava di Debbie fosse una mera idealizzazione, vi invitiamo a leggere la sua testimonianza.
Un ritratto sincero, crudo, nitido e dai tratti black humor che è probabilmente lo specchio di tante altre storie simili che qualcuno non ha ancora avuto - e forse non avrà mai - il coraggio di raccontare e superare.
Perché leggere di rinascite e affermazioni è facile, ma il percorso che c'è dietro è una lotta di cui tutti dovremmo essere a conoscenza, soprattutto quando la persona contro cui lotti è quella che ti ha messa al mondo e doveva proteggerti da qualsiasi cosa... ma di certo non da sé stessa.
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