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Sorelle di Daisy Jonhson

Forse è stata la copertina a “spiritare” la mia scelta. Due visi identici e sovrapposti, nel modo esatto in cui la metà di una coincide con quella dell’altra. Un viso e mezzo, quindi, con tre occhi a inchiodarti e l’altro a sfuggirti.

Due bambine uguali, che si congiungono per eclissarsi, perché forse a un certo punto sia impossibile distinguerle. Oppure magari è successo perché quel tema del doppio ha risvegliato in me altri richiami da libraia iperattiva. Comunque questo libro mi ha irretito.

Lasciando, come non sempre accade, che un avanzo d’impronta mi restasse impigliata a fine lettura.

La storia è quella di Luglio e Settembre, che non sono mesi ma sorelle.

Nate a meno di un anno di distanza e annodate come omozigoti. Come due respiri dello stesso petto.

Settembre è la prima. Bella e salace. Fatta di spigoli con cui sa pungere a dovere. Rabbiosa e pilotante. Respinge sua madre e manovra sua sorella. Non mangia e provoca. Ed è l’amore impossibile di entrambe.

Luglio è più fragile, meno attraente, in attesa continua che Settembre movimenti i suoi fili e i suoi canali.

Sono orfane di padre, quel padre così simile a Settembre, che le palpita dentro come un seme acuminato.

Perché in Settembre tutto sopravvive. Anche il buio, anche la fine.

Settembre dice e Luglio esegue. In un passatempo che solletica il limite fin dove pizzica e poi brucia.

La loro vita non è semplice. Si sono trasferite da Oxford dopo un evento spartiacque, da cui non c’è ritorno. E quella vecchia casa di famiglia, la Casa Accoglienza, è un approdo scalcinato, cigolante come il loro umore, come il loro sbavato essere famiglia. Un rifugio che odora di trappola.

Le due ragazze sono inseparabili, sole contro la scuola, contro i ragazzi, contro il mondo che le addita.

E pensarle lontane è un affronto al loro cordone. Ma è davvero un bene lasciarsi divorare da un rapporto mai sazio? Fino a che punto un legame che crediamo necessario inizia a corroderci e ci appanna i confini?

Quanto di noi r-esiste nell’altro?

Raccontare di più non servirebbe. Serve immergersi e basta, in quell’acquario in cui qualcosa può inghiottirti o lasciarti annaspare, nel serbatoio di tensione dentro cui scricchioliamo assieme a quelle tegole, a quella tana di ombre che scalciano.

C’è sempre qualcosa da aspettarsi, da un momento all’altro. Anche niente, che non è mai nulla.

Lo ripeto, io da libraia stregata nei romanzi ritrovo sempre un ballo di specchi, dove trame e atmosfere rimbalzano l’una sull’altra fino a stordirti. Qui, in questo furore di gemelle mancate, non potevo non riesumare tracce di Michel Tournier e del potentissimo Le meteore, per non parlare di La lettrice bugiarda di Brunonia Barry e dell’insuperato Trilogia della Città di K di Agota Kristof.

Daisy Johnson è lì, a sussurrarci qualcosa di inquietante lungo il cammino. Che sia un verso, o un presagio, poco importa.

Viene citata Shirley Jackson e non a caso. Si passeggia tra le schegge, con una lingua che non smette di fendere e sanguinare. Ma le storie che amiamo, ovunque si incontrino, sono quelle che lasciano il segno.

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