La politica, quando diventa Storia, è fatta dagli uomini, e si porta dietro non tanto una teorica e astratta razionalità, ma la fragile e concreta razionalità e coerenza degli uomini
La prima cosa che viene da chiedersi quando si ha tra le mani Storie che parlano di noi di Walter Veltroni è chi sia effettivamente questo “noi” a cui il giornalista ed ex sindaco di Roma fa riferimento. Mi sento in obbligo di avvertire il lettore che la risposta non è né semplice né univoca, bensì maturata da un’attenta lettura di tutte le pillole di storia puramente italiana che da giornalista navigato e puntuale Veltroni ci fornisce. Sta a noi ritrovarci in quel “noi”.
La nostra storia, quella dell'Italia e degli italiani, è fatta di tante piccole vite, che, messe una vicina all'altra, compongono un mosaico sfaccettato e ricco di sfumature: Veltroni mette insieme tutte le tessere in un memoir collettivo che riguarda un intero Paese
Storie che parlano di noi è un saggio che si esprime attraverso la forma di un costante alternarsi di interviste a personaggi più o meno celebri a cui Veltroni dà la parola, così che possano dipingere attraverso il proprio ruolo di testimoni gli eventi più importanti per la storia italiana, eventi che hanno portato alla costruzione di quella che qualcuno definirebbe una coscienza collettiva, ma che indubitabilmente assume la forma di un memoir comune a tutti noi. I personaggi intervistati spaziano da Umberto Galimberti ad Alessandro Gassman, da Ornella Vanoni alla storia di Aurelia Gregori, nata all’interno di Auschwitz e sopravvissuta quasi per miracolo. E laddove le interviste non sono possibili ma i personaggi immancabili per delineare un quadro chiaro, Veltroni subentra con la propria abilità giornalistica e dimostra una straordinaria capacità narrativa che riesce a evocare anche personaggi scomparsi da tempo, come Antonio Curtis – Totò – o la tragica fine di Alfredino Rampi. Sono tanti, infatti, gli angoli bui della nostra storia su cui si cerca di far luce, sempre senza snaturarli ma mantenendoli nella loro tragicità e interezza. Momenti tristi, come anche quelli di Giuseppe Gulotta, incarcerato 22 anni per un crimine non commesso; o Alberto Pasolini, costretto in manicomio per 40 anni per il solo fatto di essere un ragazzino riservato. Tristi, ma non per questo meno importanti.
Era un politico, uno vero, uno di quelli che credeva in quello che faceva. E che, proprio per questo, rispettava chi la pensava diversamente. David era una persona lieve e importante
Questo è un saggio che parla proprio di queste persone qui: persone lievi e importanti che però sono diventate cardini di un cambiamento. Il cambiamento può essere stato un cambiamento di sensibilità come il Tuca Tuca di Raffaella Carrà, oppure cambiamenti politici come il rapimento di Aldo Moro. Nulla viene messo in primo o in secondo piano, ma tutto riscoperto attraverso lo sguardo attento di Veltroni, che nota collegamenti tra eventi disparati, ma posizionati in modo tale da ampliarne il senso e permetterci il gusto della scoperta. Il gusto della scoperta non è solo relativo a ciò che Storie che parlano di noi mette in scena. Certo, le storie sono tutte interessanti e deliziose da prendere singolarmente. Ma il vero regalo che ci viene fatto è la curiosità nell’esplorare questi input che ci vengono forniti, input che siamo istintivamente portati a condividere per sentirci sempre parte di qualcosa di netto e preciso.
Ha sofferto per loro, perché una vita bellissima è spesso una vita di sofferenza per gli altri
Veltroni probabilmente condivide questo malanno che per molto tempo ha colpito Gino Strada e che lo stesso Veltroni riconosce. Cioè la capacità di intuire e compatire le sofferenze altrui. Nel caso di Gino Strada diventava un combustile per l’azione umanitaria, nel caso di Veltroni invece il carburante del mezzo che è a lui più affine: la scrittura. Questa capacità di cogliere la sofferenza diventa particolarmente chiara nel momento in cui l’autore inizia a dipanare un filo rosso che prosegue per l’interezza del saggio e per tutte le interviste. Infatti, se ognuno degli intervistati viene valorizzato per le proprie competenze e per le proprie attitudini, tali competenze e attitudini vengono successivamente riversate nel tentativo di fornire gli strumenti per capire un grande argomento che tuttora rimane perturbante, ovvero il covid. Covid a cui ogni intervistato cerca in qualche modo di dare un senso o di rilevarne qualche caratteristica alla luce delle proprie specifiche in quanto individuo e professionista. Veltroni diventa così il leader di un grande gruppo di specialisti, ognuno con la possibilità di spiegare una parte di un grande problema che rimane silenziosamente nelle nostre vite.
«Andrà tutto bene» ci siamo ripetuti, per sperare che così fosse. Stavolta, grazie al sapere e all’amore, tutto è andato bene
Chi sia quel “noi” a cui Veltroni fa riferimento è abbastanza chiaro. Siamo sempre noi italiani, anche quando a parlarne non è un italiano ma un personaggio come Woody Allen. Però la domanda a cui forse è più importante rispondere e di cui Veltroni, alla fine di Storie che parlano di noi, ribadisce l’importanza è cosa significa quel “noi”: da cosa è formato, da quali parti, in quali percentuali. E questa è una domanda la cui risposta si può trovare solo dopo aver letto l’ultima storia e l’ultima pagina. Ed è ciò che io consiglio: di permettersi il piacere della scoperta – e riscoperta – di quel noi troppo spesso maltrattato.
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