Storie dell’Arcobaleno non è semplicemente una raccolta di racconti: è lo spettro elettromagnetico che l’umanità tutta ha impresso sull’animo di William T. Vollmann.
Queste storie parlano di skinhead, pazienti di radiologia, puttane, innamorati, feticisti e altre anime perse
L’umanità che però viene presa in considerazione nel corso del libro è un’umanità derelitta che naviga in un miasma di illusioni, sporcizia, sudore e alcool; è l’umanità dimenticata dal resto del mondo, quella che – forse proprio per il fatto di essere stata dimenticata – ha mantenuto nel corso dei secoli i caratteri puri dei colori dell’arcobaleno.
Come spiegare la repulsione reciproca che i colori dell’arcobaleno provano fra di loro?
Torna in libreria, in una versione interamente rinnovata dalla stessa traduttrice, il secondo libro di William Vollmann, e forse il suo più amato: tredici racconti modellati sulla gamma di colori dell'arcobaleno, che spaziano tra mito e storia, nuovo e antico mondo, giornalismo e pura invenzione, e che hanno ridefinito una volta per tutte i confini della narrativa.
Le Storie dell’Arcobaleno sono storie intatte, vergini, che non sono state corrotte dalla generale superficialità del resto del mondo, ma che hanno mantenuto la propria identità, per quanto disgustosa e a volte raccapricciante. Sono storie che hanno superato la prova del tempo e dello spazio, non importa quanto lontane: le terre di Babilonia sembrano vicine quanto il Tenderloin di San Francisco, perché altrettanto vere, non importa dove si trovi l’autore.
Questo secondo la Bibbia Lambeth, e che diritto ho io di discutere visto che non ero presente?
Vollmann diventa narratore e personaggio attivo delle vicende, assumendo lentamente la funzione di protagonista di un proprio personale percorso di ascensione al ruolo di voce narrante. Quante cose volevo sapere, sospira mentre assiste agli eventi, mentre diventa testimone di un dispiegarsi di umanità.
Storie dell’Arcobaleno è un libro dallo sviluppato senso di comunanza umana, e forse proprio Vollmann – sotto forma di testimone e protagonista di alcuni racconti – si concede quella stessa compassione a cui ci spinge attraverso i suoi personaggi.
Svariate migliaia di anni dopo, il deserto non era tanto diverso se non per le squadre di stradini babilonesi muniti di giubbotti catarifrangenti e caschi arancioni tondi e lucenti come zucche
Nel tentativo di includere l’umanità tutta e dimostrarne la sostanziale immutabilità – generando così un dialogo apertamente problematico con gli ideali della società a lui contemporanea (e che somiglia pericolosamente alla nostra) – nel susseguirsi delle sue fasi di sviluppo, Vollmann compie un viaggio che attraversa i millenni e che li contamina con il suo stile sporco e composito, con la sua mano immaginifica e straordinariamente inedita. Le portaerei americane attraccano così sulle coste babilonesi e i thug pakistani si associano alla malavita newyorkese, in un continuo rimestarsi e innovarsi di lingua, narrazione e immaginazione.
Lo spettro di queste Storie dell’Arcobaleno è delimitato dal bianco e dal nero, e il loro significato sta proprio nella progressione dall’uno all’altro
Non è un libro facile, Storie dell’arcobaleno; forse non è neanche un libro. Di sicuro non è soltanto una raccolta di racconti, ma di frammenti del mondo che vanno a costituire un unico grande romanzo dell’umanità: un’umanità truce, abietta, ripugnante che però rimane fedele a sé stessa e che dimostra l’inestinguibile ricchezza che si cela nella parte dimenticata di una società falsa, la quale – forse proprio per questo – mette in risalto ciò che ha costantemente cercato di rinnegare. Tutto ciò sempre sotto lo sguardo ansioso, disilluso ma mai pessimista di Vollmann. Ricordiamoci, però, prima di leggere Storie dell’Arcobaleno, una verità essenziale e cioè che:
Niente è più bello del buio più scuro
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