Fu per quella luce, e per il rombo nascosto nei monti di Sicilia, che decisi di ripartire da lì e rileggere i miei viaggi lungo i monti d'Italia, per ascoltare la voce delle Tenebre. Ero figlio di una terra che trema. Le appartenevo e volevo vederci dentro.
Paolo Rumiz compie sempre una piccola grande magia, di quelle che hanno un non so che di chimerico e inafferrabile, qualcosa che pullula di inconsueto e risveglia la necessità di esplorare l'incompiuto, ma soprattutto qualcosa che rima con il nostro essere. Una voce dal Profondo, sua ultima fatica, edita Feltrinelli, è una riconferma luminosa e oscura di questo processo sotterraneo che ci appartiene e ci lega tutti.
L’autore sente una voce rauca che lo chiama dal fondo di un vulcano spento. Quel suono, simile a un lamento, gli ricorda che c’è una crepa che squarcia l’Italia dalla Sicilia al Friuli: quella dei terremoti. Rumiz decide di seguirla, di entrare “con la lampada di Aladino” nel mondo del Minotauro. Un viaggio, il suo, nelle fondamenta del Paese, in un inferno di linee di faglia, crateri, fiumi sotterranei, miniere, catacombe e fondali marini.
Il viaggio compiuto in questo libro attraversa l'Italia tutta. Parte dalla Sicilia e si muove nelle sinuosità della penisola, risalendo il Cilento, passando nei sotterranei partenopei, arrivando fra le terre scosse del Centro, fra le parole sorde di chi ha subito i terremoti ed è stato dimenticato, fino al Friuli.
Le storie di ogni posto lasciano la sfera geologica e si attestano in quella umana. Se questo è un percorso fatto di scosse, di movimenti a dir poco peristaltici, quello in cui ci conduce Rumiz è fatto di un Sopra e di un Sotto – come lui stesso lo definisce – di ebrezze telluriche che ben poco hanno a che fare con la conoscenza esclusiva della pavimentazione nascosta della Terra. La potenza di questo libro è prima di tutto politica.
La politica intesa come una necessità di tutti, di una riappropriazione culturale, una terra fatta di coscienze e miti, di storie, di persone, la politica che si riprende e si fa bene comune. Ecco, questo è uno strato di questo viaggio. Di solito un libro segue una linea, si muove in certe direzioni anche quando sono contorte e difficili: questo ne esplora tante e, mentre risale lo stivale, scava fino al magma e nel frattempo prende le misure con il cielo.
Se non è politica una visione che prende le misure da ogni vertice e fossa, se non riprende in sé ogni vertebra del territorio e la rende fuoco centrale, se non è politica questa, cos'è? Ecco, la nostra essenza vulcanica.
Una voce dal profondo è materia, una letteratura che – anche questo è politica – ci permette di guardare il paese che abitiamo e riconoscerlo nelle sue effettive differenze, con quella comunanza che è caratteristica, che premia la regionalità ma che spesso risente di un'identità unica. Ma il sottosuolo decide, le faglie spiegano, ed ecco che le necessità di un territorio fanno le peculiarità di un paese.
Il viaggio non era più fra gli umani, fra dirupi e pietre, e sotto la Via Lattea mi parve di risentire la Voce delle Tenebre.
La voce che si sente per tutto il libro e che è una sorta di richiamo dalle interiora della Terra fino all'orecchio sordo dell'uomo, il movimento che prostra gli uomini e che governa le faglie, dirotta i mari, cambia gli assetti.
Mentre leggevo immaginavo di essere su una zattera enorme, una deriva immaginifica di insicurezza e attrazione, di insicurezza e impossibilità di un altro territorio da quello in cui abitiamo: la matrice infernale. Una voce dal profondo che è richiamo al proprio interno, a ciò che non si vede ed è pronto a rendersi manifesto, a farsi eruzione e terremoto. Al disordine labirintico di Napoli, al contrasto dell'Irpinia, alla resilienza ferrarese, al grido dell'Aquila, alla condanna di Amatrice, a tutte le loro complessità che celano le bellezze di chi, quelle terre, le vive e sente quel grido dal profondo.
Mi piace pensare che quest'inferno in cui ci tuffiamo letterariamente, fatto di persone che hanno vissuto i terremoti, persone che sono cucite nel loro suolo, persone raccontate nelle loro appartenenze, sappiano bene che questa visione funesta del posto su cui poggiano i piedi e nell'anima mettono radici, sia come una piramide capovolta, una risalita, l'attraversamento che t'illude di uscire dagli inferi ma ti ha già portato in paradiso, il paradiso peninsulare che, con dolore e amore, abitiamo.
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