Sotto le copertine

Sport e letteratura: che team! Intervista a Isabella Ferretti, di 66thand2nd

Maremosso: 66thand2nd prende il nome da un incrocio di strade a Manhattan – il luogo dove tutto è cominciato. La casa editrice nasce nel 2008 pubblicando i primi titoli nel 2009, con due collane pensate per accogliere da un lato la letteratura del Melting Pot, dall’altra il racconto sportivo letterario. È da qui che è nato in voi il desiderio di fondare una casa editrice? O siete partiti più genericamente dal desiderio di “fare libri” per poi mettere a fuoco la linea editoriale in un secondo momento?

Isabella Ferretti: La primissima spinta è stata lo sport. L’altro editore (Tomaso Cenci, ndr) è mio marito e compagno di vita e insieme abbiamo vissuto negli Stati Uniti. Siamo entrambi sempre stati appassionati di sport e vivendo in America abbiamo avuto l’opportunità di vivere lo sport in modo diverso. Qui da noi in Italia il rapporto, ad esempio con il calcio, è pervasivo, assorbente, crea fenomeni antitetici. Negli USA invece fa parte della vita in modo più generale: si può essere contemporaneamente fan di football americano, baseball, calcio, cricket, basket e così via, ed è molto affascinante. In quegli anni abbiamo iniziato a vedere le partite, in luoghi iconici che sono un po’ la Mecca degli stadi – il Mets Stadium, lo Yankee Stadium, o il Madison Square Garden per l’NBA. Persino i tragitti per arrivarci sono carichi di significato.

Ecco, in quel periodo io ho iniziato a comprare dei libri. Molti erano titoli sul baseball, forse perché era la disciplina più lontana da noi e di cui conoscevamo poco le regole. E così, pian piano abbiamo creato una piccola collezione di libri di letteratura sportiva. Finché mio marito ha detto: «Certo che è incredibile, molti di questi libri non sono tradotti. Sarebbe bello provare a pubblicarli in Italia». In quel momento non era possibile, ma intanto abbiamo continuato a leggere.

E qualche anno dopo, rientrati in Italia, si è creata una congiuntura tale per cui Tomaso ha detto «o adesso o mai più». Io mi sono lasciata improvvidamente convincere, ma ho anche pensato di arrotondare la proposta con altri elementi della mia esperienza. Prima degli Stati Uniti io avevo vissuto a Londra, la città dove per la prima volta mi sono sentita parte di una minoranza: un’europea del sud, con la pelle scura che d’estate lo diventa ancor di più, una situazione in cui ti senti più tollerato che benvenuto. In quella fase ho iniziato a leggere la letteratura delle seconde generazioni, quella che in Italia è stata definita negli anni successivi “letteratura di migrazione”, etichetta che mi è sempre parsa limitativa. In ogni caso, ho capito che, se volevamo raccogliere in un progetto editoriale le nostre esperienze di vita degli ultimi dieci anni, dovevamo concentrarci su questi due focus. In entrambi i casi, devo dire, si sono rivelate giuste intuizioni.

Isabella Ferretti

MM: Settembre sarà il mese dello sport, nelle Librerie Feltrinelli.
Le pubblicazioni legate allo sport conquistano sempre più spazio sugli scaffali delle librerie, ma 66th si rivolge in modo specifico a lettrici e lettori alla ricerca di una scrittura raffinata, di una chiave allegorica. Perché lo sport si presta così bene a questo genere di racconto? Cosa lo rende uno sfondo così affascinante e sfaccettato?

IF: Quando abbiamo iniziato a pubblicare, in Italia non esisteva un genere codificato. Noi abbiamo sperimentato sulla nostra pelle, negli anni in cui lanciavamo la casa editrice, il pregiudizio secondo cui sport e letteratura non potevano coabitare. Tutti ci dicevano «voi fate libri di sport»; ma non è una dicitura esatta, i libri che volevamo fare erano una cosa diversa. E non è che una cosa sia più meritevole dell’altra, semplicemente sono due ambiti narrativi differenti. A noi interessava portare in Italia storie di ampio respiro con una cifra autoriale letteraria alta, ambientate nel mondo dello sport, quindi unire le due cose: sport e letteratura.

All’inizio sembrava impossibile a tutti, ma l’idea che lo sport possa generare una narrazione alta si è affermata nel tempo.
Perché - e in questo senso le due vocazioni della casa editrice sono strettamente legate - secondo me, la narrazione sportiva passa attraverso le vite di grandi campioni e grandi eventi sportivi che hanno segnato la Storia, non solo quella dello sport. Sono vite eccezionali, ma non solo sul campo. Infatti ci sono campioni di cui non si riesce a raccontare la vita e atleti che hanno invece “arrotondato” la loro biografia compiendo grandi imprese. Non a caso il primo titolo della collana “Vite inattese” è stato La strada del coraggio, che racconta come Gino Bartali, nei primi anni della guerra, facesse la spola fra Assisi e Perugia facendo finta di allenarsi e nascondendo nel sellino i documenti per aiutare gli ebrei a espatriare. Queste sono storie potenti, che parlano trasversalmente a tutte le generazioni.

Devo dire che anche l’evoluzione delle serie televisive ha contribuito molto a far capire quanto possa essere stratificata la narrazione sportiva. Penso ad esempio a The Last Dance, la serie dedicata a Michael Jordan creata con filmati inediti, che racconta la parabola dei Chicago Bulls.
È l’esempio di un racconto in presa diretta, con un taglio documentaristico; recentemente è anche uscita la serie HBO Winning Time – tratta da un libro che abbiamo pubblicato nel giugno scorso, Showtime – che racconta invece la dinastia dei Los Angeles Lakers. La serie tv punta di più sugli eccessi e le eccentricità dei giocatori, anche fuori dal campo, mentre il libro lascia molto più spazio al racconto puro dello sport, che sullo schermo è soltanto una sequenza di immagini. E tuttavia il fatto che HBO dedichi attenzione una serie a questo racconto contribuisce a creare attenzione. 

La cosa bella è che lo sport racchiude molti mondi, parla a diversi tipi di lettori e a diversi tipi di appassionati.
È un ambito che assomma alcune caratteristiche che in questo momento, per fortuna, attraggono molti lettori, soprattutto giovani, e di questo siamo felicissimi.

MM: Dove andate a pescare i vostri titoli?

IF: Per prima cosa leggiamo, leggiamo, leggiamo!
Bisogna essere molto informati sull’ambito sportivo, sapere tutto quello che succede, con la consapevolezza che non tutte le storie “ce la fanno”. Non tutti i personaggi meritano un racconto esteso. Noi abbiamo avuto la fortuna di cominciare presto e avevamo tante storie che sapevamo di voler raccontare. Ma ci vuole anche la voce adatta: in questo momento ho in mente diverse storie, ma non ho ancora trovato la persona giusta.

La ragione di stato

MM: In passato hai definito 66th come una “casa editrice scrivente”, perché buona parte dei vostri titoli sono scritti su commissione. Come funziona questa parte del vostro lavoro?

IF: Una discriminante importante – sembra un dettaglio, ma non lo è – è capire se si tratta di storie che si svolgono nel passato o se riguardano sportivi ancora in attività. Lo scrittore può rapportarsi ad una storia compiuta così come farebbe con un romanzo.
Può attingere al contesto storico, politico, sociale di una determinata epoca, rifarsi alle fonti d’archivio e così via. Diverso è il discorso dello sportivo in attività. Nei libri come quelli su Ronaldo (Cristiano Ronaldo, Storia intima di un mito globale) o su Messi (di prossima pubblicazione), entrambi a firma Fabrizio Gabrielli, conta la prospettiva di chi scrive. Di Ronaldo mi interessavano alcune cose e non altre. Ci voleva qualcuno che fosse disponibile a confrontarsi, sapendo che non si tratta di fare un’analisi ex post. Scrivere di Maradona o di Ronaldo sono due cose molto differenti. A noi piace farle entrambe. Quello che ci interessa sempre è che lo scrittore non sia un mero compilatore di dati ma che fornisca una prospettiva, una chiave attraverso la quale leggere o rileggere una storia, una leggenda, un mito.

 

MM: Siete una casa editrice di sportivi? Quanto è presente lo sport, nella vostra vita quotidiana?

IF: Sì, siamo sportivi e seguiamo tantissimo lo sport… ognuno di noi ha uno sport d’elezione e una squadra di calcio del cuore.
Io, poi, vengo dal nuoto e ho anche sempre giocato a tennis, quindi mi viene naturale cercare storie in questi due universi sportivi. E al tempo stesso, pur non avendo mai giocato a basket, ho capito che se hai un legame con l’idea di sport, se sei stato almeno una volta su un campo, in qualsiasi disciplina (anche a pallavolo – io ho giocato a pallavolo a un buon livello)… non c’è niente da fare, quell’adrenalina sportiva ti torna in circolo. Quindi sì, lo sport fa parte delle nostre vite e ovviamente riguarda anche i nostri figli. Tra l’altro, nella cultura anglosassone – oltretutto, confesso di avere un debole per il calcio inglese – lo sport è gestito in modo diverso rispetto a qui da noi. Prendiamo il caso del golf, che in Italia è uno sport d’élite mentre negli USA ci giocano tutti, nei campetti pubblici, anche nelle periferie delle città. Questo vale per qualsiasi sport, i ragazzi crescono con l’idea che lo sport faccia semplicemente parte della loro vita. Una differenza radicale, dal punto di vista della cultura dello sport. Speriamo di contribuire a far cambiare la mentalità anche da noi. Forse sta già un po’ succedendo, io lo vedo alle fiere, per esempio: tanti lettori giovanissimi, fra i 13 e i 18 anni, comprano i libri di questa collana. La nostra speranza è riuscire, attraverso i nostri libri, a far coltivare l’amore per lo sport – oltre che quello per la lettura.

Nadeesha Uyangoda

MM: Quali storie ci possiamo aspettare di leggere quest’autunno?

IF: Sul fronte sportivo, io tengo moltissimo a Dov’è la vittoria, firmato da un collettivo umbro, la Ragione di Stato – libro agrodolce che racconta le vicende di Italia 90 con un registro tragicomico, molto ironico, molto divertente. Anche la copertina è diversa dalle nostre solite, con una fotografia in cui Schillaci sembra quasi la caricatura di sé stesso.

Uscirà a breve anche Odissea, un libro su Giannis Antetokounpo che tipicamente racchiude entrambe le vocazioni editoriali di 66thand2nd.
È infatti la storia di un ragazzo nigeriano che raggiunge la Grecia e che poi, in modo davvero miracoloso, arriverà in America. Un atleta che ha compiuto delle gesta veramente incredibili e che sta riscrivendo la storia dell’NBA dimostrando che è possibile farcela, nonostante tutto.

Sul fronte più letterario ci tengo a segnalare Joan Silber, Un’idea di paradiso, uscito a fine agosto, e mi fa molto piacere annunciare ai fan dell’irlandese Paul Lynch che sta per uscire un suo nuovo libro, Oltremare, il quarto che pubblichiamo.

MM: A questo proposito, ci sono a tuo parere discipline poco seguite in Italia che meriterebbero più attenzione? O alcuni sport che ti senti di sostenere in modo particolare?

IF: Direi di no, in fondo le competizioni sportive che si svolgono da noi sono sempre più seguite, anche al di fuori del calcio. 
Ci sono sport interessanti che in Italia non seguiamo molto – il football americano e il cricket, per citarne un paio – ma è perché non sono praticati. Uno sport che “sponsorizzo” volentieri, perché caratterizzato da un galateo sportivo esemplare, è il rugby, formativo per i bambini e molto più fair del calcio.
Per le bambine invece la pallanuoto, che è più frequentata dai maschi ma che io consiglio perché è uno sport completo e agonisticamente avvincente.

 

MM: Ci sono progetti o novità particolari per il futuro prossimo di cui ci vuoi parlare?

IF: Recentemente abbiamo varato un progetto che mi sta molto a cuore: un racconto delle città italiane attraverso lo sport: “Sport e Storie a”.
Siamo partiti alla grande, con un libro di Francesco Longo intitolato Il cuore dentro alle scarpe in cui osserva la città di Roma attraverso la lente dello spazio architettonico e dei luoghi in cui lo sport si può praticare. Ci sono quindi le storie affascinanti di alcuni circoli sportivi ma anche di luoghi come il ponte della Musica, diventato il paradiso degli skaters. Questo tipo di indagine urbanistico-sportiva mi piace moltissimo. La prossima uscita, a novembre, sarà dedicata a Milano. Sono contenta anche del fatto che siano autori molto diversi, che hanno dato un taglio molto particolare ai loro libri. Se Longo ha fatto un racconto più contemplativo-filosofico di Roma, il libro su Milano sarà un réportage con moltissime interviste e molta azione, uno stile adatto per una città che percepiamo come sempre in movimento.

Scognamiglio, Ferretti, Finnegan

MM: La collana si concentra quindi sulle città italiane?

IF: Per il momento sì.

MM: Siamo sempre curiosi di sapere “cosa avresti fatto se non avessi fatto questo mestiere”, ma nel tuo caso la domanda ha poco senso, visto che hai alle spalle una prima vita professionale come avvocato. Ti capita di avere nostalgia di quel mondo?

IF: Io amo moltissimo il contesto legale americano, in particolare il penale, anche se come avvocato mi occupavo di diritto commerciale e sono specializzata in proprietà intellettuale. Ma mi sono occupata anche di finanza, non a caso ho voluto pubblicare I Mandible di Lionel Shriver, straordinario romanzo distopico in cui l’autrice ha fatto una ricostruzione accuratissima, davvero impressionante, di alcuni aspetti finanziari. Ma per tornare alla domanda: i miei genitori mi hanno raccontato che da piccola, a chi mi chiedeva cosa volessi fare da grande, io rispondevo: «non lo so, ma so di volere vivere tante vite in una». E mi piace pensare che in effetti ho fatto tante cose nell’ambito della giurisprudenza, e successivamente tante altre legate all’editoria; inoltre lavorando nel settore editoriale ho avuto la possibilità di frequentare realtà diverse, e siccome l’appetito vien mangiando… mi piace pensare di poter fare anche altro.
Quindi non parlerei di nostalgia, ma al contrario di proiezione verso il futuro.

MM: Accennavi al fatto che in qualche modo tutta l’avventura di 66thand2nd è nata perché tu e tuo marito avete iniziato a frequentare gli stadi americani e a leggere molti libri. Vuoi consigliarcene qualcuno?

IF: Un titolo importante è stato sicuramente Il maledetto United di David Peace, ma anche Underworld di Don De Lillo è stata una lettura fondamentale – siamo nel campo della letteratura pura, ma è comunque un romanzo in cui tutto ruota intorno a una pallina da baseball… Mi è piaciuto moltissimo il libro di James Hirsch, Hurricane. Il miracoloso viaggio di Rubin Carter, sulla vicenda del pugile afroamericano soprannominato, appunto, Hurricane che fu accusato di omicidio nel New Jersey. Avevo comprato il libro, che in seguito abbiamo pubblicato da 66thand2nd, perché amo moltissimo Bob Dylan che a Hurricane aveva dedicato una canzone. Se uno l’ascolta avendo in mente il movimento dei diritti civili non ha nessun dubbio in merito all’innocenza di Carter. Ma il libro è un po’ più sfumato, l’autore ha fatto un lavoro straordinario sulla parte giudiziaria. Il valore aggiunto di questi libri è il fatto di fornire un contesto infinitamente più ampio di quello che passa attraverso un articolo di cronaca.

Sull’altro versante delle mie passioni libresche devo citare Denti bianchi di Zadie Smith, che per me è stato illuminante. E tutto quello che ha scritto Chimamanda Ngozi Adichie.  

MM: Vuoi segnalarci anche una passione cinematografica, visto che in questi giorni è in corso la Mostra del Cinema di Venezia?

IF: Sì, devo dire che non sto più nella pelle per il nuovo film di Emanuele Crialese! Crialese mi piace moltissimo, come regista e come persona, ci è mancato tanto il suo cinema in questi anni e davvero non vedo l’ora di andare a vedere L’immensità (in sala dal 15 settembre, ndr).

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