Sotto le copertine

Tradurre? Per Edoardo Rialti è un lavoro di fantasy e rigore. 

In occasione del cinquantesimo anniversario dalla morte di J.R.R. Tolkien, vi riproponiamo l'intervista realizzata con Edoardo Rialti, traduttore italiano di Tolkien, Abrecrombie, Morgan e tanti altri autori fondamentali del fantasy. 

Milano, Stazione Centrale.
Nel bel mezzo di un pomeriggio d’inizio estate, è arrivato l’inverno.
Al terzo piano della Libreria laFeltrinelli, sotto la volta liberty e le vetrate policrome del lucernario di un piano chiuso al pubblico, risuonano parole strane, inquietanti.
Valar Morghulis”, echeggia fra gli stucchi di sapore art nouveau che adornano le pareti di una stanza gigantesca. Subito risponde un esclamativo “Valar Dohaeris!”, prima che una risata spezzi la tensione.
No, non è esattamente un trono di spade, quello su cui siede Edoardo Rialti, ma una semplice poltrona in similpelle gialla dell’IKEA.
Nonostante la poca regalità dello scranno, però, dalla figura di Rialti promanano un’autorevolezza e un carisma indiscutibili, che faranno da filo conduttore a una lunga e bella chiacchierata sulle responsabilità che comporta l’essere “voce ufficiale” dei romanzi di George R.R. Martin in Italia.

Nel corso della nostra intervista con Rialti, però, scopriremo che il Trono di spade è la punta di un "iceberg di traduzione" che va molto in profondità nei mari della letteratura di genere, impreziosendo con i propri, appassionati uffici l’opera di autori come Richard Morgan e Joe Abercrombie e dando ai lettori italiani la possibilità di godere delle storie inventate da questi maestri attraverso una voce capace di coglierne lo specifico e di valorizzarlo. In attesa del prequel del Trono di spade - House of the dragon - che arriverà il 21 agosto su Sky, parliamo con Rialti delle responsabilità che comporta rispondere alle aspettative dei tanti, tantissimi lettori che attendono ogni uscita dei loro beniamini con l'impazienza con la quale si attende un refolo di vento nei giorni più arroventati dell'estate. 

Già: anche in questi giorni caldissimi, winter is coming. Che consolazione!

Fuoco e sangue. Vol. 1
Fuoco e sangue. Vol. 1 Di George R. R. Martin;

La storia della dinastia Targaryen, quando i draghi regnavano su Westeros. Finalmente anche il grande mondo fantasy di George R.R. Martin ha il suo legendarium, un compendio inesauribile di episodi e dettagli che riecheggia Il Silmarillion di J.R.R. Tolkien.

Spesso si dice che siamo nani sulle spalle dei giganti: è molto bello! Ma la cosa più faticosa è essere nani sulle orme dei giganti perché, anche solo per percorrere un’orma, devi scendere nel fossato, la devi ripercorrere tutta, devi arrampicarti fuori… e poi te ne aspettano molte altre!

Edoardo Rialti

Edoardo Rialti

Domanda gettonatissima: come avresti tradotto tu quell’”Hold the door!” che diventerà poi il nome del personaggio “Hodor”?

… è una bella domanda. Nel senso che se i sette dei - o il dio rosso, o nessun dio, o gli estranei - lo vorranno e avremo questo libro, mi troverò molto probabilmente a doverlo fare perché quella è una di quelle scene in cui l'adattamento del Trono di spade precede la versione su libro. Noi ancora non abbiamo quel momento nei romanzi che Martin ha scritto e questo è un caso più unico che raro, cioè una traduzione per un serial che precede il testo cui la serie è ispirata… quindi, siamo all’oscuro di più cose: innanzitutto del modo in cui Martin renderà quella scena e poi, una volta che l’avrà fatto, in quale contesto narrativo dovremo rendere la cosa.

Com’è stato confrontarsi con il modello costruito da Sergio Altieri, il primo traduttore italiano di Martin, dopo la sua scomparsa?

È stato molto bello e molto complesso.
Devo tantissimo a Sergio Altieri, personalmente e professionalmente, perché - l'ho detto tante volte – Sergio era una di quelle grandi personalità che fanno sentire grandi tutti. 
Credo sia stato André Gide a dire di Oscar Wilde che i grandi uomini sono uomini generosi, condividono la loro grandezza perché non hanno paura di perderla, trovano la grandezza in tutti, non hanno bisogno di schiacciarti e farti sentire piccolo, inadeguato. Io ho conosciuto Sergio Altieri quando ho iniziato a lavorare in Mondadori. Lavoravo un po’ sui “figli” di Martin, le nuove generazioni o i percorsi alternativi: Abercrombie, poi Morgan e gli altri. In occasione di un incontro che avremmo dovuto tenere assieme, gli scrissi una mail dicendo quanto fossi onorato di incontrare un traduttore sul quale mi ero formato e lui mi rispose con una generosità, un'ironia e un'autoironia veramente magnifiche. Quando è morto, mi sono dovuto assumere la responsabilità di proseguire il suo lavoro e allora mi sono mosso su due registri, avendo lui compiuto un lavoro decennale e possedendo uno stile assolutamente suo.

In questo senso, com'è stato il lavoro sulle parole cui Altieri ha dato vita nelle sue traduzioni? Quanta libertà hai potuto prenderti? e quanto hai invece proseguito nel solco tracciato da lui?

In un certo senso ho ereditato delle parole che non sono modificabili.
Sergio Altieri era un autore che non preferiva mai la lectio difficilior, voleva la lectio vehementior. Era sempre la cosa più aguzza, la più sporca, erano tutti rostri, gaffi… c'erano tutte queste espressioni "ultraviolette di violenza", che ovviamente erano presenti nel testo di Martin ma che trovavano forza nella sua psicologia, appunto… Jaime Lannister, il “kingslayer”, non è semplicemente “il regicida”: nella versione di Altieri è “lo sterminatore di re”. Lì, a volte, c'è stato il problema che alcune cose avevano una bellezza e una potenza discutibili quanto si vuole, ma innegabili. Poi, nell'ampliarsi del cosmo - la prima cosa che ho tradotto di Martin dopo la morte di Altieri è stato Fuoco e sangue da cui viene tratta la serie che andrà in onda quest'estate - determinate parole che magari nella storia dei romanzi di “Game of thrones” erano legate solo a un personaggio, venivano collocate in un contesto più basso.

Ad esempio, l'accusa “kingslayer” non viene rivolta soltanto a Jaime Lannister, ma è un insulto che si protrae nei secoli e cade addosso ad altri personaggi.
Personaggi ai quali, ovviamente, non potevo dare di nuovo la nomea di “sterminatore di re”, perché in qualche modo questo avrebbe "annacquato" la specificità dell'insulto, dato che in origine veniva riferito solo a quel personaggio. In questo senso, ereditando un lessico cui altri hanno dato vita, mi sono mosso su piccoli aggiustamenti prima di prenderlo in toto.
Poi si è creato un glossario che, durando anni, è stato anche affinato, è stato corretto. Lo stesso Altieri si è mosso un po’ al buio, all'inizio: le cose sono state modificate col senno di poi e in fondo è  anche molto bello che in realtà un traduttore non traduca mai da solo ma si inserisca in queste grandi saghe.

... un po' come camminare sulle spalle dei giganti... 

Spesso si dice che siamo nani sulle spalle dei giganti: è molto bello! Ma la cosa più faticosa è essere nani sulle orme dei giganti perché, anche solo per percorrere un’orma, devi scendere nel fossato, la devi ripercorrere tutta, devi arrampicarti fuori… e poi te ne aspettano molte altre!

Visto da fuori, uno degli aspetti più divertenti ma anche più impegnativi del lavoro dei traduttori sembra essere il neologismo, il conio della parola nuova che in un universo come quello del “Trono di spade”, ad esempio, è destinato ad avere una ripercussione semantica presso tantissimi lettori…

Ci sono due filoni diversi. Sono diversi per la sfida che impongono. Nel fantasy bisogna evitare la mera commistione di due parole, perché fanno l'effetto un po’ infantile del “fantabosco”, con una patina un po’ fiabesca, no? Nella fantascienza, che è l’altro genere su cui io lavoro molto, l'inglese ha invece una mirabile potenza sintetica che in italiano è molto difficile rendere. Una parola inglese può essere contratta, ne puoi mettere due, tre, quattro e far vedere una cosa al lettore.
In italiano, una lingua che tende invece a “stendersi”, quella cosa rischia di diventare uno “spiegone”.

È una grossa sfida. Da una parte è molto importante la correttezza filologica, perché molto spesso in realtà gli autori come Martin o ancora più indietro nel tempo e con una consapevolezza filologica strutturata come Tolkien, ad esempio, hanno veramente delle eco molto precise che attingono all'anglosassone e alle lingue norrene, eccetera… e quindi avere questo tipo di consapevolezza è un grosso aiuto. L'altra cosa è il dialogo con le altre opere letterarie. Cioè: ogni opera letteraria di ogni genere dialoga e riscrive le opere precedenti, perciò quando io mi sono trovato a lavorare su Martin non mi sono trovato tanto nell’urgenza di dover inventare tanti neologismi. Ho dovuto inventare qualche termine per Fuoco e sangue, che è un grande libro, sì, ma è un grande libro che presenta un vantaggio e uno svantaggio: è scritto come fosse una finta cronaca medievale e quindi io ho potuto attingere da una parte alle nostre vere cronache medievali, dall'altra parte però c'è il fatto che non bisognava rendere il tutto di una solennità troppo “scandita” e noiosa.

Alcune copertine di opere tradotte da Edoardo Rialti

La vita non sempre si conclude in levare o con una sorta di consumazione eroica: c'è poi il problema di coloro che sopravvivono.

Edoardo Rialti

Cosa possiamo aspettarci dal prequel del Trono di spade previsto per quest'estate? 

House of the dragons è la resa seriale della parte finale della prima tranche della storia della famiglia Targaryen che è stata scritta da Martin.
Stiamo aspettando la seconda parte - che si concluderà con l’episodio che verrà raccontato nella serie - che è l’episodio più devastante della guerra civile interna alla famiglia, nella cosiddetta “danza dei draghi”. Nel momento in cui la famiglia Targaryen si spacca, ci sono due grandi fazioni: sono draghi contro draghi. È una storia molto bella ed è stato molto bello tradurla, per me. Mentre la leggevo, mi rendevo conto che era già stata pensata dentro la struttura cronachistica e medievaleggiante, dentro una grande sceneggiatura.
Il libro è molto bello anche perché contiene delle soluzioni adottate da Martin che sono spesso controintuitive: c’è un grande afflato epico, c’è la sporcizia delle motivazioni e ci sono momenti di grandi lealtà e grandi rovesci relazionali… però una cosa che mi ha colpito è che c’è anche tantissimo grigio. Mi spiego: Martin è sempre in grado di far vedere che salvo determinate eccezioni, nessuno è il mostro della propria storia. In Martin non ci sono quasi mai mostri assoluti: ci sono persone che sono “storte” all'origine, ma di solito ci sono degli antagonisti, persone la cui verità collide con la tua… e questo può arrivare fino alla crudeltà, al tradimento, ai bagni di sangue con tutta la devastazione che comportano. Però poi c'è tantissimo grigio: c'è questa generazione di sopravvissuti, di rattrappiti, ingrigiti, bruciati dopo questa sorta di grande apocalisse e queste cose, secondo me, hanno l'inesorabile sentore delle cose vere. La vita non sempre si conclude in levare, anche con una sorta di consumazione eroica: c'è poi il problema di coloro che sopravvivono.


Qual è a tuo avviso la ragione del successo senza precedenti del mondo creato da George R.R. Martin?

Secondo me ci sono due fattori diversi. Martin ha un successo che precede di molto l'adattamento seriale, ma che non era stato così dirompente. Era già stato ovviamente considerato un autore importante, un autore che aveva rinnovato il genere nel senso che come io dico sempre (mutuandolo da Joe Abercrombie) ci sono i John Ford del fantasy, come Tolkien, poi ci sono i Sergio Leone, come Martin che di quello stesso afflato epico, lindo, ti fanno vedere le chiazze di sudore sotto le ascelle, le mosche che si posano, i rutti, perfino… ma dentro tutto questo c'è comunque una tensione ideale (basti pensare appunto a Giù la testa o a Per un pugno di dollari) e poi arriva la generazione successiva che sono i Tarantino – alla Abercrombie, per l’appunto – per i quali il testo diventa un meta-testo, con citazioni e tutto. Quindi martin era un autore innovativo soprattutto per come aveva sporcato il fantasy, per quanto si inserisse in una tradizione, a sua volta… è un altro figlio di Tolkien, a suo modo. E poi c'è stato il momento dell'età dell'oro delle serie televisive. C'è stato un momento, che secondo me già scricchiola, nel quale si è avuta la sensazione che le serie televisive potessero darci qualcosa in termini di narrazione che non avevamo ancora visto. Erano gli anni dei Soprano, erano gli anni di The wire… e in quel momento, dopo che Il signore degli anelli di Peter Jackson aveva aperto una strada e si stava già vedendo una serie infinita di ripetizioni che rifacendo la stessa cornice pretendevano di dipingere lo stesso quadro, c'è stato qualcuno che ha fatto un quadro diverso, che ha raccontato un mondo grigio, pieno di ambiguità, un mondo nel quale l'oggetto del potere non è più un talismano assoluto di cui ti puoi disfare ma è un feticcio che in sé non ha alcun potere - perché il trono di spade non ha alcun potere, a differenza dell’anello di Tolkien, ma si carica della valenza che tu gli attribuisci e comunque chi ci sale sopra si taglia! quindi è un'arma che fa male innanzitutto a chi la brandisce…  e questo, per noi postmoderni, è sicuramente qualcosa che dialoga con la fine di una serie di ideali limpidi.
Ma resta comunque il desiderio di trovare dentro tutto questo una strada umana, credibile. In un certo senso, forse, i due personaggi in cui il lettore si specchia di più per buona parte del libro sono Tyrion il nano e poi molto probabilmente a un altro livello più semplice Samwell Tarly, che è Martin – foss’anche soltanto per la stazza - lo scrittore goffo che si trova coinvolto dentro un mondo del quale prova poi a raccontare la storia.

Alcune copertine di opere tradotte da Edoardo Rialti

Quando un libro ti fa venir voglia di avere degli altri treni da prendere è un ottimo segno.

Edoardo Rialti

La tua attività di traduzione viene spesso associata a John Abercrombie, autore sul quale hai lavorato molto. Cosa ti colpisce tanto, in lui?

Ti racconto un episodio che la dice lunga. Quando ancora non traducevo Abercrombie,  presi questo libro del quale mi dicevano che era una sorta di prosecuzione con l'acceleratore premuto a fondo sulla macchina di Martin… e ne rimasi veramente entusiasta, ridevo a voce alta mentre ero in treno - ero andato a Viareggio per una conferenza sul fantasy - rimasi a Viareggio e il giorno dopo mi gustai queste due ore e mezzo di un treno lentissimo fra Viareggio e Firenze, la città in cui vivo. Una volta arrivato a Firenze, mi accorsi che avevo dimenticato le chiavi di casa nell'albergo di Viareggio. Anziché imprecare mi sono sfregato le mani, perché sapevo che avevo altre due ore e mezzo all’andata e altre due ore e mezzo al ritorno. Quando un libro ti fa venir voglia di avere degli altri treni da prendere è un ottimo segno. Abercrombie mette insieme due cose: la prima è che lui è un Tarantino o un Guy Ritchie, se si vuole, del fantasy. Ha una ironia postmoderna, i suoi personaggi si vedono continuamente dal di fuori, non sono consapevoli degli stereotipi e li contraddicono dall'interno.  Ha questo umorismo nero meraviglioso, ma dentro tutto questo c'è ovviamente anche una grande sapienza stilistica.  I capitoli di Abercrombie sono delle spirali… no: sono dei cerchi, che però non tornano mai esattamente al punto di partenza ma lo approfondiscono - e io mi sento a casa, dentro questo mondo che è al tempo stesso brutale, epico e spassosamente divertente. Anche ora che ho finito di tradurre l'ultimo La saggezza delle folle, mi è capitato di scrivergli dei messaggi mentre traducevo, ammirato per un passaggio, per un capitolo, per un personaggio… è veramente un grandissimo scrittore!

Ora che siamo in confidenza, Edoardo, qual è - nella maestosa triade di autori di cui abbiamo parlato - quello che ti emoziona di più? 

Senza retorica: Richard Morgan è sicuramente l'autore di fantasy contemporaneo e fantascienza che io amo di più. Amo immensamente Martin, amo tantissimo Abercrombie… però Morgan è sicuramente l'autore che amo di più perché è veramente Il signore degli anelli che si mescola con Il lungo addio di Raymond Chandler o Il grande nulla di James Ellroy, cioè uno straordinario autore noir.

Infine, un consiglio a tutti coloro che volessero intraprendere la tua bellissima e difficile professione. Qual è il requisito fondamentale per chi voglia imboccare la via del traduttore?

(Se volete scoprire la ricetta segreta di Rialti per chi vuole avvicinarsi al mestiere di traduttore, fate partire il video qui sotto - NdR)

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