Tutte le volte che mi mostrai pronta ad accettarle, le prove si trasformarono in bellezza.
Nasceva 110 anni fa, il 15 gennaio del 1914, la scrittrice olandese Etty Hillesum, al secolo Esther. Ma ne aveva appena ventinove quando venne uccisa nel campo di concentramento di Auschwitz.
Avrebbe avuto la possibilità di salvarsi - la ebbe, in realtà, diverse volte - ma Etty preferì condividere il destino del suo popolo fino all'ultimo, salendo sul treno che la portò fino al campo di transito di Westerbork e poi dritto fino alla neve e al gelo della Polonia.
Di Etty ci restano le numerose lettere scritte alle persone care, e il diario, che segna, attimo dopo attimo, un percorso introspettivo e di riflessione, una testimonianza sulla persecuzione ebraica e la guerra. Il linguaggio che Etty utilizza è quello che vuole testimoniare l’orrore, la crudeltà e l’odio nei confronti degli ebrei.
Della sua vita ci rimane però una testimonianza forte, viva e rumorosa: Etty stessa, che prima di partire consegna il suo diario - due lunghissimi anni di riflessione - all'amica Maria Tuinzing, che riuscì dopo diversi anni a farlo pubblicare.
Un resoconto precisissimo della sua vita di giovane laureata in preda a turbamenti emotivi, sentimentali e morali.
Etty nasce in una famiglia russo-olandese di origine ebraica: il padre Levie insegnava lingue classiche, la madre Riva, originaria della Russia, giunge nei Paesi Bassi agli inizi del secolo. Laureata in giurisprudenza ed in lingua e letteratura russa all'università di Amsterdam. Nella capitale olandese conoscese Julius Spier, tedesco studioso di Jung e fondatore della psicochirologia, con cui intesse una fitta relazione intellettula e - si evince dai Diari - una relazione fisica e sentimentale. Ma Spier, ebreo anch'egli, morirà di cause naturali nel 1942, quando Etty era ancora libera, se pur per pochissimo.
La voce dell'ebrea olandese Etty Hillesum (Deventer 1914 - Auschwitz 1943), sempre più conosciuta e amata nel nostro paese, è una delle più originali e potenti tra quelle che si sono levate dall'inferno della Shoà.
Testimone attenta e partecipe degli eventi storici del Novecento e vittima - consapevole - della Shoah, Etty Hillesum ci ha lasciato degli scritti brillanti, in cui si interroga su religione e psicologia, sui sentimenti che spingono gli uomini a iniziare e finire le guerre e sulla necessità - sempre incessante - di studiare, di conoscere, di comprendere e capire. Per migliorare se stessa e il mondo che la circonda, per non farsi abbruttire dagli avvenimenti della Storia e per far sì che il futuro riserbi qualcosa di migliore, di più bello.
Perché per Etty ogni cosa, bella o brutta, andava vissuta appieno, fino in fondo; con la passione infuocata che l'aveva animata per tutta la vita e che anima ancora le pagine dei suoi scritti.
Prima di salire sul treno che la portava verso Auschwitz, Etty riuscì a scrivere un biglietto, che fu ritrovato lì per terra:
Abbiamo lasciato il campo cantando.
Chi ti dirà grazie, o, più chiaramente: chi ti ricompenserà? Dio lo farà, senz'altro, e queste parole mi donano d'un tratto una timida forza. Queste parole, forse - «Dio te ne ringrazierà» - potranno trasformarsi in salvezza.
Di
| Adelphi, 2015Di
| Adelphi, 2013Di
| Le Lettere, 2018Di
| Castelvecchi, 2014Di
| San Paolo Edizioni, 2021Gli altri approfondimenti
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