Ci sono giornalisti che usano sempre mezzi termini e quelli che non li usano mai. Ci sono quelli che suscitano grandi amori in una parte dei lettori e grandi odi nell'altra e quelli che suscitano amore e odio nello stesso lettore. Ci sono giornalisti passionali: quelli feroci contro gli avversari per distruggerli e quelli feroci contro gli amici per spronarli. In tutti questi casi, Giorgio Bocca appartiene alla seconda specie.
Figura controversa quella di Giorgio Bocca, uomo libero con il coraggio delle proprie idee. Sono trascorsi 10 anni dalla sua scomparsa e ancora si sente la mancanza della sua voce critica, del suo punto di vista mai piegato al e dal potere.
Piemontese (cuneese) duro, ostinato, montanaro, testardo, con poco senso dell’umorismo, ipercritico. Ma anche intuitivo, senza paura, coraggioso nel portare avanti opinioni e convinzioni, razionale e capace di sintesi stringenti.
Rispettato e odiato, capo partigiano, ma critico con il resistenzialismo; difensore degli arrestati del 7 aprile, ma contemporaneamente ammiratore dell'imprenditoria ruspante; schierato fortemente a sinistra senza però sposare linee precostituite di partito, sempre “contro”: le invettive più crude, i pugni più duri li ha riservati proprio a socialisti e comunisti.
Curiosità
Il 13 Novembre 1990 a Nizza veniva premiato con il Paisan, riconoscimento assegnato dalla Confraternita della «bagna caoda», ricordando anche le origini piemontesi dello scrittore. Bocca, abituato ai commenti e definizioni più diversi sulla sua attività di giornalista e scrittore, quando sentì accostare il suo modo di scrivere alla bagna caoda, non poté trattenere uno spontaneo «perché, puzzo?». L'accostamento era dovuto, spiegò subito Gerardo Serra gran cerimoniere della «Confraternita della bagna caoda», alle caratteristiche di una pietanza dagli ingredienti schietti e forti.
Un giornalista della carta stampata (la televisione non è mai stato il suo mondo) tacciato di usare le parole come pugni, appunto, da indirizzare ogni volta allo stomaco di chi meno se l'aspetta. Giornalista, sì, lo è stato tutta la vita, come una missione (Gazzetta del popolo, Il Giorno, la Repubblica, L'Espresso). Una missione che gli ha fruttato una vita benestante, se vogliamo anche borghese tra Milano e l’amata Courmayeur (e anche qui giocando comunque a épater les bourgeois). Ma gli ha causato al tempo stesso molte accuse, tra cui quella di intolleranza pericolosa lanciata da Giovanni Raboni nel 1996 che vedeva nel suo celebre intervento contro i letterari una requisitoria densa di “violenza, apoditticità, scritta con tono liquidatorio e sprezzante”.
Impossibile riassumere in poche righe una vita così, una personalità così.
«A vederlo nel suo studio milanese — grande, silenzioso, spartano e fasciato di libri, che sembra la sala di lettura di un monastero — fa un'impressione assai meno bellicosa: quella di un signore dimesso, che ama la quiete, rifugge la cerimoniosità, fa mostra di una cortesia trattenuta, spigolosa. Lo si direbbe ritroso, e certo tutt'altro che esibizionista. Ma l'unghiata è sempre lì in agguato. Bastano una domanda ingenua, un sobbalzo della conversazione per veder lampeggiare la sciabola.»
Curiosità
Nel marzo 1986 il fotografo Antonio Guccione esponeva alla Galleria Visamara di via Brera a Milano 100 ritratti di personaggi famosi. Intervistato da Lina Sotis per il Corriere della Sera, Guccione racconta qualche aneddoto: “Il più paziente è stato Alberto Moravia – quindici minuti di posa e di immobilità davanti alla macchina fotografica – che si è addormentato fra un clic e l’altro. Il più capriccioso è stato Giorgio Bocca, forse perché più abituato alle parole che all’immagine. Il più pratico Federico Fellini che, per non perdere tempo, è arrivato in studio con il rasoio e si è fatto la barba”.
Sfogliando i quotidiani degli ultimi decenni del Novecento emergono decine di articoli in cui Giorgio Bocca viene citato come protagonista di un dibattito acceso e polemico, con prese di posizione controcorrente, disturbanti, a volte fastidiose.
«Bocca è uomo di sinistra che qualche illusione si è fatta, l’altro ieri, nel socialismo, ieri nel leghismo e oggi qualche illusione forse si fa nel liberalismo – scriveva Piero Ostellino sul Corriere della Sera nel giugno del 1997 presentando il suo Italiani strana gente (Mondadori, collana I libri di Giorgio Bocca) –. A suo onore e testimonianza della sua onestà intellettuale resta il fatto che egli non nasconde mai le proprie delusioni, dopo aver manifestato con altrettanta chiarezza le proprie illusioni, ma le denuncia, le addita ai suoi lettori con lo stesso indomabile coraggio.»
60 fascicoli settimanali pubblicati da Fabbri e distribuiti nelle edicole. Così si ripresentava a tutti gli italiani nell’autunno 1978 la Storia del Terzo Reich di William L. Shirer (opera del 1960, edita nel 1962 da Einaudi) ora con prefazione di Giorgio Bocca. «Quella di Shirer è tutt’ora l’unica storia complessiva del nazismo. Quando mi hanno documentato, sulla base di inchieste serie e approfondite, la paurosa disinformazione del cittadino medio italiano su quel tremendo periodo storico, non ho potuto che convenire sull’opportunità di questa iniziativa».
Anche nel suo lavoro di saggista, infatti, non mancano frecciate argute e analisi dirompenti. Con una scrittura tagliente più propensa allo sdegno moralistico che all’esposizione pacata o ironica, Bocca ha praticato soprattutto tre tipi di saggistica: la memorialistica (uno per tutti Il provinciale. Settant’anni di vita italiana, Mondadori 1991); i reportage sui mutamenti del presente de L'Italia l'è malada (Feltrinelli 2005) o Napoli siamo noi (Feltrinelli 2006); l’indagine storica con titoli del calibro di Storia dell'Italia partigiana (Laterza 1966) e Il terrorismo italiano 1970-1978 (Rizzoli 1978); ma si è divertito anche a pubblicare pamphlet, come Il dio denaro (Mondadori 2001), invettiva contro l’uomo a una dimensione.
Nel 2011, è uscito per Feltrinelli il libro e video-intervista La neve e il fuoco, di Maria Pace Ottieri e Luca Musella in cui Bocca ha ripercorso la sua storia come una sorta di sintesi universale, il riassunto di una vita strettamente connessa con quella del suo Paese, mentre nel gennaio 2012 è uscito postumo il pamphlet Grazie no. Sette idee che non dobbiamo più accettare, che rappresenta in qualche modo il suo testamento spirituale, il messaggio nella bottiglia per i futuri italiani.
«Bocca, quando scrive delle sue colline cuneesi, è dolce come il burro; è ruvido come l'acciuga, quando parla di certa razza padrona e di certa borghesia imprenditoriale soprattutto milanese che ha disimparato a fare l'imprenditore; il suo stile "frigge" come l'olio della bagna caoda quando bolle». La Stampa 1990
E continua a friggere ancora a distanza di 10 anni.
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I libri di Giorgio Bocca
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