Erano le tre e cinquanta e l’ora esatta della morte di mio padre era scritta sul registro… non so se oggi fanno ancora così, ma allora lo facevano. Lessi quello che era appena successo... e da quel momento, mi ritrovai editore.
Sergio Fanucci è una forza della natura.
Ma la natura può non bastare, in una società competitiva com'è quella editoriale, e allora questo travolgente comunicatore, da più di trent'anni al comando di una casa editrice unica, ha saputo diventare anche una forza della cultura. Come ha fatto? In primo luogo credendo risolutamente che la cosiddetta letteratura di genere debba godere di pari dignità rispetto a quella "autoriale" e - grazie alla coraggiosa e visionaria proposta di autori ancora sconosciuti al pubblico dei lettori italiani - è riuscito a convincere tutti.
Oggi, cinquant'anni dopo il momento in cui il padre Renato, edicolante che aveva intuito le potenzialità della fantascienza, fondò la casa editrice Fanucci, le scelte editoriali compiute da Sergio Fanucci lo hanno reso un riferimento nell'ambito della narrativa di genere.
C'è anche da dire che Sergio non ha mai avuto molti dubbi, a proposito del fatto che il suo avvenire sarebbe stato fra i libri.
La storia di Sergio somiglia a quelle di tanti dei libri che hanno reso la sua casa editrice garanzia di intrattenimento di qualità: è una storia sorprendente e piena di colpi di scena, di iniziative coraggiose e di passione. Già: la passione per un mestiere che Sergio Fanucci continua a reinventare per sé ogni giorno, scoprendo nuovi autori e varando nuove collane.
Young Adult, chick-lit, noir e thriller sono solo altrettanti punti di partenza per una inesauribile voglia di capire il presente, attraverso l'immagine che i gusti dei lettori possono restituircene, sempre con un occhio rivolto al futuro e mai crogiolandosi in una sterile nostalgia.
No, decisamente la nostalgia è l'unico sentimento davvero fantascientifico, per Sergio Fanucci.
RICORDI DI UN EDITORE
"Alle tre e cinquanta, quella notte, mi ritrovai editore..."
È il 1990 quando mio padre muore per un ictus improvviso, il giorno di Pasqua, dopo quattro giorni di agonia.
La prima notte la feci io, accanto a lui. Io ho tre sorelle: tutte e tre fecero le notti successive e alla quinta notte toccò ancora a me.
Ricordo che alle tre e cinquanta del mattino, dopo che era stato immobile per quattro giorni, riuscì a muovere le gambe e a farsi il segno della croce, lui che non era neanche credente, a farsi un segno con la mano sinistra – perché tutta la parte destra del corpo era completamente immobile - e morì. E non ricordo molto… oggi riesco a raccontarlo dopo tantissimi anni… ci sono voluti più di 30 anni. È stato a lungo un ricordo molto doloroso e devo dire anche inverosimile, nel senso che quando lo portarono via c'era ancora la flebo che dondolava e mi alzai. L’ora esatta della morte era scritta sul registro, per questo la ricordo bene… non so se oggi fanno ancora così, ma allora lo facevano.
Lessi quello che era appena successo... sono quelle cose che tu non vuoi credere fino in fondo che possano avvenire…
e da quel momento mi ritrovai editore.
E così divenni un grande lettore...
Divenni un grande lettore. Quello che ancora ricordo sono questi libri della Mondadori - cinque libri in uno li ho ancora a casa, tra l'altro - dove c'erano cinque romanzi di Nero Wolfe, di Rex Stout, di Van Dyke o Agata Christie e Hercule Poirot in cinque romanzi… questi “omnibus” colorati, ben fatti, belli da leggere… e ricordo, poi, la grande narrativa di Sperling & Kupfer di Tiziano Barbieri. Io avevo 14 anni e non spegnevo mai la luce, la notte. Leggevo, leggevo… alle quattro di mattina, mia madre si alzava e mi diceva “guarda che tra quattro ore devi essere in classe!” e io “… un attimo! Ancora un attimo! Finisco questa pagina e poi dormo”. In questo modo mi sono letto di tutto.
Ho scoperto Wilbur Smith, appena scomparso, cui ho dedicato un post sul mio profilo Facebook perché “Come il mare” rimane uno dei romanzi d’intrattenimento più belli e più apprezzati… ma veramente, erano romanzi su cui costruire una conoscenza popolare del romanzo! le grandi passioni erano già il giallo e l'avventura, non erano ancora la fantascienza e tantomeno il fantasy. Quelli sono venuti dopo.
Elogio dell'imparare un mestiere.
Nel ‘90 eredito dunque questa casa editrice: avevo pochissimi giorni per decidere, e la scommessa era se chiuderla oppure prenderla in mano e improvvisarmi editore, diventare editore, imparare un mestiere. Credo che questa sia alla fine, ieri come oggi, la risorsa principale che qualsiasi giovane deve fare sua: un mestiere, qualunque esso sia. Può essere un mestiere come fare il pane… oggi sembra una cosa semplice, al di là della sveglia alle 2 del mattino, quando gli altri della tua età forse stanno andando a dormire. Ma in realtà, oggi, prova ad andare in una panetteria e a vedere quanti pani diversi ci sono, quante farine ci sono… Ogni mestiere ha le sue difficoltà, insomma.
La fortuna aiuta gli audaci.
Quello dell’editore, oggi, è un mestiere che può sembrare semplice ma in realtà è complesso. E l'editoria lo è ancora di più!
La prima cosa che feci fu quella di guardare al cinema, ed ebbi subito una botta di fortuna - si dice “la fortuna aiuta gli audaci”, no? ed è vero – e la mia fortuna è che nel 1992 Penta Video, una società di distribuzione e produzione cinematografica, distribuì “Atto di forza”, il film con Schwarzenegger. Il film vinse l'Oscar per gli effetti speciali e fu distribuito al cinema. Poi fu distribuito in VHS - c'erano, allora, le videocassette – e io riuscii a fare un accordo con Penta per la distribuzione di un libro collegato a quel film. Ricordo il viaggio in motorino verso l'Aurelia, fuori Roma, dove c'era la sede della Penta Video. Avevo 27 anni e stipulai un accordo di distribuzione con una tiratura altissima: 15.000 copie! Pensate che per noi vendere mille copie di un libro era già un successo enorme! Perciò, avere un ordine di 15.000 copie per una raccolta di racconti che chiamammo “Atto di forza - Total recall” fu un momento di svolta che mi sarebbe rimasto impresso nella testa.
L'arrivo di Dick
Mi rimase in testa anche perché in quel momento scoprii Philip Dick.
Avevo letto un solo libro, che è poi rimasto per me un libro fondamentale, un libro la cui copertina campeggia ancora oggi, riprodotta, dietro la mia scrivania: “Ubik” tradotto allora da Malaguti con un titolo piuttosto assurdo, “Ubik è il mio signore” che in realtà poi non c’entra nulla come titolo del romanzo. “Ubik” è un po’ tutto, è un'altra dimensione. Ha un qualcosa che viene da “ubiquo”, cioè da un altro te… però poi in realtà non è neanche quella… “Ubik” è una parola inventata dall'autore, che poi è stata presa in prestito da una catena di librerie, presa in prestito in tantissime altre occasioni per sempre da Emmanuel Carrère, per esempio, da tantissimi personaggi, anche scrittori - sono scrittori che riconoscono in Dick un vero cavallo di battaglia, un vero e autentico scrittore. Dopo aver scoperto Dick, nel 1995 acquisto i primi cinque romanzi tra cui, appunto, “The man in the high castle”, che sarebbe poi diventata una serie televisiva. Era tradotto dalla casa editrice Nord con il titolo “La svastica sul sole”. Da lì Philip Dick entra in casa fino a che nel 1999 con una cifra esorbitante riesco a chiudere la prima esclusiva al mondo di tutti i suoi romanzi. Misi sul piatto una cifra pazzesca, al punto che - quando l’agente mi disse di sì - io mi dissi “… ma adesso come faccio a pagarla?”. Poi invece riuscii non solo a pagarla, ma a costruire con questa operazione una collezione che affidai a Carlo Paggetti, professore di lingua e letteratura inglese alla Statale di Milano, uno dei primissimi professori di cattedra ad aver conosciuto Dick.
Contro gli haters
Internet è piena di commenti ingiuriosi nei confronti degli editori che magari cominciano a pubblicare una serie narrativa e a un certo punto devono abbandonarla. Ma io voglio qui ribadire un concetto importante. L’editore è principalmente un imprenditore: non fa beneficenza. Deve guadagnare dal proprio mestiere, proprio come qualsiasi imprenditore. Quindi, se una serie viene interrotta è perché non ha raggiunto i lettori sufficienti per poter andare avanti. I conti non stanno in piedi. È semplice: non c'è altra ragione, non c'è cattiveria, non c’è presa di posizione, non c'è un cambiare desideri. È la cosa più difficile pensare a un emozione e farla diventare un libro che poi si venderà. Non crediate che ci siano gli editori - oggi, soprattutto - che ignorano tutto questo... e quindi, prima di muovere giudizi, prima di scrivere, prima di diventare hater, categoria della quale abbiamo piene le scatole, informiamoci.
La cosa più difficile per un editore è pensare a un'emozione e farla diventare un libro.
E allora altri cinquanta, cento di questi anni da leone a una casa editrice coraggiosa e innovativa. Ci vediamo su Marte.
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