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Piccola storia dei Tajarin: un viaggio nelle Langhe da ieri a oggi

Illustrazione di Alissa De Stefanis, 2022, studentessa presso l'Istituto Europeo di Design di Milano

Illustrazione di Alissa De Stefanis, 2022, studentessa presso l'Istituto Europeo di Design di Milano

Sulle colline del vino e del tartufo, i tajarin marcano il tempo e i luoghi

Luciano Bertello

Quintessenza della cucina piemontese, i tajarin (taglierini) sono un piatto semplice e tradizionale, legato al pranzo della domenica in famiglia, di cui un tempo le donne erano fiere custodi.
Si tratta di una pasta all’uovo simile alle tagliatelle, ma di larghezza molto inferiore, appena due o tre millimetri, tagliata rigorosamente a coltello, e che non va confusa con i tagliolini romagnoli.

Sono presenti nella tradizione culinaria delle Langhe fin dal Quattrocento e pare che uno dei più grandi estimatori sia il re Vittorio Emanuele II, che li amava conditi con burro, funghi, animelle e prosciutto cotto. Oggi, in un delizioso matrimonio con il territorio, vengono abbinati magnificamente al tartufo bianco di Alba.

Piccola storia dei tajarin. Viaggio affettuoso di un piatto povero diventato ricco

Il famoso piatto piemontese, traducibile con "taglierini", spinge l'autore a narrare la storia gastronomica della Langa, territorio un tempo povero e maledetto raccontato da Beppe Fenoglio nella Malora. Un passaggio dalla cultura contadina a quella industriale.

Proprio i tajarin sono tra i protagonisti del bel volume edito da Slow Food Editore, Piccola storia dei tajarin. Viaggio affettuoso di un piatto povero diventato ricco di Luciano Bertello, insegnante per una vita, storico, autore di un centinaio di saggi sulla sua terra: le Langhe.

I tajarin rappresentano proprio il pretesto da cui l’autore si è mosso per narrare la storia della Langa e il suo affresco sociale ancor prima che culinario. Un territorio un tempo povero e maledetto, come raccontato magistralmente da Beppe Fenoglio ne La malora (Einaudi), storia di fatica e di dolore, di silenzi e di violenza, che riconduce al dramma della miseria contadina delle Langhe. Un territorio diventato poi culla di successo imprenditoriale con il passaggio dalla cultura contadina a quella industriale.

Pioveva su tutte le Langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra

Beppe Fenoglio

Questo il forte incipit del libro, nel quale Fenoglio ha disegnato un nitido spaccato di un mondo antico, che si è poi dissolto amaramente nella modernità, raccontando quanto può essere aspro l’uomo con l’uomo.

Tornando alla Piccola storia dei tajarin, Bertello ha tratteggiato un mosaico denso di eventi, personaggi noti e vicende storiche, attraverso il cono di luce di una ricetta essenziale, femminile e domestica. È l’evoluzione degli stessi tajarin a raccontare della rinascita del territorio, passando da piatto semplice del pranzo di famiglia a vero e proprio protagonista della scena gastronomica internazionale, soprattutto grazie all’incontro con il tartufo bianco di Alba.

Ritengo che i tajarin siano la cifra di questi tempi: un bisogno di semplicità, di genuinità, di cose buone di campagna. Sono morbidi e generosi come le nostre colline. Presentati nel piatto con il rametto di rosmarino evocano il cappello degli alpini e sono pop. Ma sanno anche essere elegantissimi e disposti alle contaminazioni. Incoronati dal tartufo sono un emblema dell’alta cucina Made in Langa.

Farina e uova sempre disponibili in cascina, generose braccia femminili, un pollo o un coniglio pronti al sacrificio: i tajarin conservano tuttora un’anima prettamente popolare e radicata nel territorio, lo stesso che oggi rappresenta una delle mete turistiche tra le più frequentate al mondo.

A dimostrazione che i tajarin sanno trovare spazio sulle tavole di tutti, il saggio si arricchisce, in chiusura, delle ricette e degli aneddoti legati al piatto di osti e di chef stellati del territorio, tra cui Davide Palluda e Enrico Crippa. Proprio quest’ultimo, nel suo ristorante tre stelle Michelin, il Piazza Duomo ad Alba, prepara il suo tajarin con una miscela di farine di grani selezionati e biologici, macinati a pietra: 9 etti di semola, mezzo chilo di tuorli d’uovo e 8 uova intere, niente acqua, niente sale e niente olio.

Anche se ogni cucina ha la propria ricetta codificata, oggi si parla di decine di tuorli per un chilogrammo di farina: per questo il colore dei tajarin è di un giallo brillante e intenso, che ricorda quello del sole estivo.

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