Il dovere di ogni artista, per quanto mi riguarda, è quello di riflettere le epoche
Questo ha detto Nina Simone durante un’intervista passata alla storia.
Le immagini che ritraggono l’artista afroamericana nata il 21 febbraio 1933 a Tryon - un piccolo centro della Carolina del Nord - dire queste parole sono presenti sia nel documentario To Be Free - Sei donne rivoluzionarie (2021) diretto da Yoruba Richen (e con la produzione esecutiva di Alicia Keys) sia in quello di Ahmir Questlove Thompson che ha vinto il premio Oscar nel 2022, Summer of soul (2021).
Simone in quella dichiarazione si riferiva soprattutto alla genesi di Mississipi goddam, canzone che ha scritto ispirandosi a una serie di omicidi a sfondo razziale di persone afroamericane, tra cui un giovane attivista e quattro bambine uccise dal Ku Klux Klan in seguito a un attentato dinamitardo in una chiesa battista nel 1963 che ha provocato anche feriti gravi. Erano gli anni caldi del Movimento per i Diritti Civili negli Stati Uniti e questi fatti avevano portato Nina Simone a lottare anche con la musica.
Mississipi goddam fa da chiusura a Nina Simone in Concert, album dal vivo uscito nel 1964, ed è solo una delle tante canzoni storiche dell’autrice e interprete scomparsa nel 2003.
Un’altra, per esempio, è Four women, unico brano scritto da Simone nel suo album del 1966 Wild Is the Wind e con un testo che parla della condizione femminile accennando le storie di quattro donne, appunto. Un pezzo che ha ispirato molte artiste afroamericane, come la scrittrice premio Pulitzer e premio Nobel Toni Morrison, appartenente alla stessa generazione della cantautrice.
Poi c’è Don't Let Me Be Misunderstood, in questo caso scritta da Horace Ott, Bennie Benjamin e Sol Marcus, ma interpretata e registrata per prima da Nina Simone nel 1964 e successivamente entrata nell’immaginario collettivo per la gran quantità di cover registrate da altri artisti, primi tra tutti gli Animals ma anche Elvis Costello, Cyndi Lauper, John Legend, Mary J. Blidge fino a Lana Del Rey.
Anche Simone ha rivisitato vari brani, per esempio I Put a Spell on You di Screamin' Jay Hawkins, Feeling Good, My Baby Just Cares for Me o ancora un pezzo reso popolare in origine da Bessie Smith, Need a Little Sugar in My Bowl, che ha trasformato a partire dal titolo in I Want a Little Sugar in My Bowl e di cui ha rivisto sia il testo sia l’arrangiamento, tanto che, in questo caso, sembra improprio definirla una semplice cover. Quest’ultimo fa parte di Nina Simone Sings the Blues (1967), altro album storico, ed è un brano che, per scrittura e interpretazione, non poteva che essere firmato da una donna emancipata.
Banalmente, insomma, quella di Nina Simone è una storia densa di canzoni portate al successo e scandita da una trentina di album ufficiali, tra live e registrazioni in studio, con l’ultimo, A Single Woman, risalente al 1993, quando l’artista afroamericana si era già trasferita in Francia, dove ha trascorso la parte finale della sua vita.
Nina Simone ha avuto un’esistenza anche turbolenta a causa di tormenti interiori, violenze familiari sia subite sia inferte, e di disturbi mentali che l’hanno portata anche ad avere raptus che hanno fatto notizia. Ma alla fine, oltre alla musica, è rimasta soprattutto l’immagine di una donna in cui convivevano sensibilità e forza, consapevole e che ha sempre voluto valorizzare la sua identità afro.
Di
| Feltrinelli, 2014Di
| HarperCollins Italia, 2022Di
| Gremese Editore, 2016Gli altri approfondimenti
Hai domande, dubbi, proposte? Vuoi uno spiegone? Scrivi alla redazione!
Per poter aggiungere un prodotto al carrello devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Per poter aggiungere un prodotto alla lista dei desideri devi essere loggato con un profilo Feltrinelli.
Il Prodotto è stato aggiunto al carrello correttamente
Il Prodotto è stato aggiunto alla WishList correttamente