Fratelli e sorelle, buonasera!
Il 13 marzo di dieci anni fa, Jorge Mario Bergoglio usciva dal conclave eletto papa. Dopo un evento difficile, ma storico, come le dimissioni di Benedetto XVI (di cui non si faceva che dire che «fece per viltade il gran rifiuto»), il nuovo pontefice salutava i fedeli con un’inattesa, scandalosa e assurda semplicità: dicendo loro «buonasera». Per una serie di coincidenze mediatiche degne dei migliori palinsesti, quel «buonasera» fu pronunciato poco dopo le otto della sera, l’ora del TG, l’ora in cui gran parte degli italiani poteva ascoltarlo. E da papa, Bergoglio si trasformò subito in un personaggio pubblico: pur da quel balcone così austero, pur circondato dai ben più seriosi colleghi cardinali, si fece subito più vicino.
Per quanto possa suonare, oggi, un’esagerazione, l’elezione di Bergoglio ha rappresentato un fatto epocale. Per parecchio tempo, prima che la questione si normalizzasse, anche chi non aveva neppure una più vaga idea di come suonasse la voce di Benedetto XVI parlava del nuovo papa. Che aveva assunto un nome tanto pop – perdonatemi – quanto il suo esordio: Francesco. Lui, san Francesco, lo conoscono tutti, perché anche per gli atei più impenitenti è il modello della povertà e del sacrificio, della bontà rivolta in toto all’altro. Cominciava così il pontificato di Papa Francesco, momento floridissimo per la Chiesa di Roma, che non aveva tanta risonanza dall’attentato a Woytila. Perlomeno, questa volta, l’occasione era lieta.
L’amore di Dio non è per un gruppetto soltanto, no… per tutti. Quella parola mettetela bene nella testa e nel cuore: tutti, tutti, nessuno escluso, così dice il Signore
Le malelingue – che credono negli intrighi di palazzo e nella corruzione tra i corridoi vaticani – capirono subito che il nuovo pontefice non avrebbe avuto vita facile. Il cristianesimo che proponeva Bergoglio era del tipo più genuinamente evangelico che si possa immaginare. Si rifaceva direttamente al messaggio di Cristo, e se per molti quest’affermazione può suonare scontata, be’, in realtà non lo è affatto. È una faccenda che va avanti da secoli e secoli: nel tempo, migliaia di norme, consuetudini, vizi e capricci delle istituzioni ecclesiastiche più importanti si sono stratificate sul nucleo centrale della religione, ovvero il messaggio dei Vangeli. Ecco, Papa Francesco sembrava voler compiere quest’atto inaudito di fare un po’ di pulizia di una tanto grande mole di farraginose usanze canoniche. E il fatto piacque molto ai fedeli, meno, forse, a chi circondava il nuovo pontefice.
Va da sé che l’entusiasmo si è rimodulato piuttosto in fretta. Ma rimane, la sera dell’elezione, una delle più memorabili. Si pensi che non indossò le dovute scarpette rosse, salutò i cardinali venuti a riconoscerne il ruolo in piedi, e non accomodato sulla pesante e lussuosa poltrona, prese la navetta “aziendale” per andare a recuperare i bagagli alla Casa del Clero dove li aveva lasciati prima di essere eletto. Si comportò, insomma, non da papa, ma da uomo. Così come si comportò da uomo quando in solitudine, sotto la pioggia battente, pregò di fronte a una piazza deserta al tempo del covid.
Non abbiate paura della bontà e neanche della tenerezza
Francesco prova a essere il papa di tutti, in ogni uscita e in ogni affermazione. Ha una regola da seguire, che è quella cristiana, però tenta di interpretarla come può, e questo è un grande passo avanti nella storia. L’umiltà che lo contraddistingue, il suo passato – ha origini italiane, non manchiamo mai di esserne orgogliosi – vissuto nella povertà, le sue parole spontanee, molto di lui, insomma, lo rende alla portata di tutti. E, cosa più importante, degno di ascolto. C’è qualcosa più importante, per un’istituzione che stava progressivamente perdendo la voce, che riuscire a fare breccia in orecchie nuove?
Di
| Piemme, 2023Di
| EDB, 2015Di
| San Paolo Edizioni, 2023Di
| Solferino, 2022Di
| Editrice Elledici, 2022Gli altri approfondimenti
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