Mi ricordo di quando, da studente, andai con lui a fare un giro per Roma a vedere le vetrine delle librerie (era il momento in cui era appena uscito il suo libro Ragazzi di vita); girammo per librerie e vedemmo la copertina del suo libro. Quel giorno mi accorsi che lui era emozionatissimo.
Grazie Cerami per questa immagine che tutto dice. Che racconta l’umanità di Pasolini, il suo essere sensibile e fragile, l’emozione che rompe gli schemi stereotipati. Non solo l’uomo dal volto scavato e duro, non solo lo scrittore e regista determinato, provocatorio, forte come l’amato Friuli, ma l’intellettuale che dubita, il giovane uomo tormentato dalle contraddizioni, l’autore dalla grande sensibilità critica, dal carattere inaspettatamente mite. Del resto, sarebbe sufficiente rileggere i suoi articoli, gli interventi sui quotidiani intorno ai temi aperti della contemporaneità per trovare testimonianza di questa sua risonante emotività, di tutto il pathos, tutto lo struggente desiderio di essere parte in causa nella trasformazione della società e tutto il dolore viscerale per la sua impotenza di fatto.
Ricordi di vita
Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L'amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro.
Una esistenza intensa e ricca, ma anche tragica quella di Pasolini, nato a Bologna il 5 marzo del 1922: la guerra, il fratello partigiano ucciso, il complesso rapporto con il padre e il viscerale legame con la madre Susanna (la Madonna anziana nel film del figlio Il vangelo secondo Matteo), le difficoltà economiche, gli spostamenti con la famiglia dall’Emilia al Friuli (con Casarsa e il suo dialetto manterrà un rapporto d’amore costante) e poi a Roma.
Fontana di aga dal me país. / A no è aga pí frescia che tal me país. / Fontana di rustic amòur.
Il primo periodo friulano è quello in cui si avvicina alla lingua e alle tradizioni del mondo contadino, all’impegno politico nel Partito Comunista e all’esperienza dell’insegnamento scolastico. Sono di quegli anni anche la presa di coscienza dell’omosessualità e le prime avventure amorose con alcuni ragazzi del posto.
Con il trasferimento a Roma (1950) arrivano le amicizie con intellettuali di rango come Alberto Moravia, Dacia Maraini, Bernardo Bertolucci, Enzo Siciliano, Natalia Ginzburg o Laura Betti (che per tutta la vita lo amerà di un amore impossibile «ci piacevamo perché io facevo ridere lui e lui faceva ridere me») e con giovani del sottoproletariato urbano, di estrazione popolare e di scarsa scolarizzazione come i fratelli Franco e Sergio Citti o Ninetto Davoli. Prendere dall’alto e dal basso, mescolare, imparare e insegnare, dare e ricevere. Questo era Pasolini uomo e artista – Pà per gli amici romani più intimi come Davoli.
Le letture di Pasolini
Intervistato il 22 luglio 1975 per Stampa Sera alla domanda di Giorgio De Rienzo “Che cosa leggerà nelle vacanze” la risposta fu: «Non esistono le vacanze per me; attualmente sto continuando nel doppiaggio del mio ultimo film: Salò, le centoventi giornate di Sodoma. E per tutta l'estate continuerò a lavorare. Quali letture? Presto, dopo la pausa imposta dalla lavorazione del film, riprenderò il mio lavoro di critico letterario sul Tempo illustrato: e quindi dovrò leggere quello che casualmente mi capiterà di leggere per "mestiere”. Ora sto leggendo per esempio le Poesie di Noventa».
Per me lui è stato soprattutto un grande poeta.
"Le ceneri di Gramsci": la poesia civile del cineasta incarna una nuova visione della classe proletaria, delineando la prospettiva di un ideale culturale animato da un senso di condivisione e arricchimento reciproco
Una vita costellata da denunce, piccoli e grandi guai giudiziari, ostilità che spesso sfociarono in odio. Episodi di vita vissuta, accuse per aver realizzato opere oscene come il romanzo Ragazzi di vita (“nella pubblicazione si riscontra carattere pornografico”, 21 luglio 1955), o i film Teorema (1968), Il fiore delle Mille e una notte (1974), I racconti di Canterbury (1972) e Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) sequestrati per scandalo e successivamente assolti perché giudicati opere d'arte. Polemiche accese sui suoi lavori e i temi trattati, sferzanti giudizi sulla sua omosessualità dichiarata: Pier Paolo Pasolini ha avuto più nemici che amici.
Ma sarebbe sbagliato ricordarlo solo per gli eventi estremi, compresa la morte tragica (Lido di Ostia, 2 novembre 1975) su cui ancora oggi non è stata fatta chiarezza: dalla tesi del brutale omicidio per rapina commesso da uno o più “ragazzi di vita” – per cui Giuseppe Pelosi ha scontato qualche anno di carcere -, al delitto di gruppo, alla vendetta, al desiderio di tacitare per sempre una indagine scomoda su oscure vicende legate all’Eni.
«Si fa presto a seppellire un poeta commemorandolo» è stato detto. Quindi non commemoriamolo acriticamente o rammentando, appunto, solo i momenti più gravi della sua esistenza.
Si fa presto a giudicare un autore guardandone solo le sfaccettature più evidenti: per scoprire davvero Pasolini bisogna scavare nel profondo. Pasolini non ha certezze eterne, ma da uomo libero e geniale è capace di riconoscere errori, di mutare opinione. E in qualche modo rassegnarsi all’impotenza:
«Ho finito con l'accettare l'Italia come è diventata. Una immensa fossa dei serpenti dove, salvo qualche eccezione e alcune misere élite, tutti gli altri sono appunto dei serpenti, stupidi e feroci, indistinguibili, ambigui, sgradevoli». Gianni Scalia ricordava che «con noi — con i suoi lettori, i suoi spettatori, con tutti — è stato crudele e che ancora oggi continua, dopo morto, a farci domande intollerabili».
«Un profeta italiano» è l'etichetta comune che riconosce a Pasolini una capacità d'analisi straordinaria del nostro Paese, che gli attribuisce l'intuizione di un futuro cupo, e che ha fatto nascere in troppi la tentazione d'imitarlo e rimpiazzarlo. Senza riuscirci mai.
«È passato un anno ma non passa giorno che non pensi a lui. Lo sogno spesso la notte. Gli dico: “Pier Paolo, hai visto che è successo come ti hanno ridotto? Non ho più voglia di campare, senza dì te il mondo è diventato brutto”. E lui mi dice: “Non è successo niente, Ninetto. La vita è bella, goditela. Devi essere felice di vivere. Di avere il sole, il mare, il verde dei prati, la giovinezza”.» - Ninetto Davoli - La stampa, 25 ottobre 1976
Un ritratto di Pasolini: il dissidio irrisolto tra vita e storia, corpo e ragione, individuo e comunità, mito e demitizzazione; le metamorfosi del potere e la resistenza della parola.
L’opera
Pier Paolo Pasolini è lo scrittore più dotato che oggi possediamo in Italia. Ogni sua attività: romanzo, critica, erudizione, poesia, è prova di un impegno estremamente serio ed offre risultati che onorerebbero chiunque.
Pasolini ha sperimentato tutti i diversi linguaggi dell’arte (cineasta, romanziere, poeta, linguista, pittore, traduttore e saggista), ma la produzione cinematografica resta comunque quella più popolare e può essere considerata da un punto di vista antropologico memoria, testimonianza dei mutamenti culturali e sociali generati dal rapido passaggio dal mondo contadino e sottoproletario a quello industriale. L’altra faccia della medaglia del cinema italiano: Fellini e la dimensione del sogno, Pasolini e la crudele impietosa realtà.
Ronconi: Pasolini e il teatro
«Ho messo in scena i testi più importanti dello scrittore, tra cui Affabulazione [1966-69, ndr.], quindi posso considerarmi un suo estimatore anche se, quando ci conoscemmo molti anni fa, lui non mi dimostrò grande simpatia. Credo che non apprezzasse molto il mio modo “borghese” di lavorare. Tuttavia, la sua opera è ancora oggi ricca di contenuti attuali, quanto invece sembra datato il suo “Manifesto per un nuovo teatro” del ’68. In quel momento mi pare ci fosse più una presa di distanza dal teatro dell’epoca che una riflessione approfondita su una nuova teoria scenica. Profetico sul futuro sociologico del nostro Paese, Pasolini non è stato altrettanto lucido nel predire le sorti del nostro palcoscenico: immaginare una classe operaia, come lui profetizzava, che assiste in religioso silenzio a uno spettacolo di pure teatro di parola, resta tutt’ora una utopia.» - Luca Ronconi - Corriere della Sera, 1999
Il cinema - che è una sequenza infinita che riproduce da un solo punto di vista tutta la realtà - è fondato sul tempo: e obbedisce perciò alle stesse regole che la vita: le regole di un'illusione
Dopo film come Mamma Roma (1962) o Uccellacci uccellini (esperimento riuscito di una rivisitazione drammatica in senso teatrale del personaggio di Totò, 1966) , tappa centrale della produzione cinematografica pasoliniana è la Trilogia della vita diretta del regista tra il 1971 e il 1974: Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte, i film più gioiosi e carnali, più affascinanti e sensuali, quelli che “con ira e mortificazione dell'autore dettero origine all'epoca a un tremendo nutrito filone cine-boccaccesco”. Dalla Trilogia della vita, che celebra appunto il corpo e l’immediatezza di una vitalità perduta, Pasolini torna con lo sguardo sull’attualità più bruciante del degrado umano. Ne nasce Salò o le 120 giornate di Sodoma (girato nel 1975 e uscito postumo nelle sale), primo di una Trilogia della morte mai conclusa.
Il mio gusto cinematografico non è di origine cinematografica, ma figurativa. Ciò che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio e di Giotto, che sono i pittori che amo di più assieme a certi manieristi (per esempio il Pontormo).
Pasolini pittore
L’apertura della mostra “Pasolini. I disegni nella laguna di Grado” avvia le iniziative per il Centenario della nascita di Pasolini nel Centro studi Pasolini di Casarsa. L’esposizione rappresenta lo sguardo più compiuto sino ad oggi su questa parte della produzione pasoliniana che nasce intorno alle riprese di Medea (1969) e la Settimana internazionale del cinema di Grado (1970-1972). Il 5 marzo 2022, giorno in cui Pasolini avrebbe compiuto 100 anni, viene aperta Casa Colussi, la casa natale della madre Susanna Colussi dove trascorreva le vacanze estive e dove ha stabilmente abitato dal 1942 fino al trasferimento a Roma nel 1950. Sarà anche aperta al pubblico la pinacoteca che raccoglie i quadri di Pasolini, esposti in modo permanente.
Come già detto, al tempo stesso Pasolini porta avanti la sua opera poetica e narrativa, la scrittura dei contributi critici per numerose testate e una marginale ma presente produzione pittorica.
Tra le raccolte poetiche emergono i titoli più celebri ma non unici: Poesie a Casarsa (edito a Bologna dalla Libreria antiquaria Mario Landi in 300 copie nel 1942), La meglio gioventù (Sansoni 1954), Le ceneri di Gramsci (Garzanti 1957), La religione del mio tempo (Garzanti 1961), Poesia in forma di rosa (Garzanti 1964). Tra le opere di narrativa il già citato Ragazzi di vita (Garzanti 1955), Una vita violenta (Garzanti 1959), Il sogno di una cosa (Garzanti 1962), Teorema (Garzanti 1968). Negli ultimi anni lavora a un grande romanzo-affresco sulla società italiana, Petrolio, di cui verrà pubblicato l’abbozzo nel 1992 da Einaudi.
Non solo critiche ovviamente ne hanno accompagnato la popolarità, ma la spirale degli incensatori, che si avvolge su sé stessa, con tutta probabilità Pasolini non l’avrebbe ugualmente apprezzata. Così come lo colpivano le stroncature anche feroci relative sia alle opere cinematografiche che a quelle letterarie, firmate da intellettuali e critici come Carlo Salinari o Alberto Asor Rosa, che stigmatizzavano quella cifra stilistica di una “parlata romanesca” in presa diretta e quel realismo “così povero di eroi e zeppo di sventurati”, oltre al “compiacimento del degrado”.
Quanti dei lettori o spettatori di Pasolini suoi contemporanei hanno davvero colto dentro le sue pagine e i fotogrammi quell’analisi impietosa e sofferente, a volte comica ma quasi sempre tragica che ne faceva e tutt’ora ne fa uno dei più sferzanti e dolorosi autori del Novecento italiano? Quanti hanno letto le sue opere o visto i suoi film perché era la moda intellettuale del tempo, perché “bisognava farlo”? E quanti in quei libri o in quelle scene hanno percepito solo la sessualità esibita e non il ben più ampio affresco sociale? Domande senza risposta, ma da qui possiamo partire per dire che ci siamo liberati almeno in parte di questi fardelli e ci è possibile riscoprire l’opera di Pier Paolo Pasolini nella sua interezza, fuori dalle nebbie, ripulita dalle polemiche e le mitizzazioni, leggendolo come narratore della "rivoluzione antropologica" e dell'omologazione.
«Pasolini è ormai un'icona: formalmente venerata, sostanzialmente reificata, usata, consumata, abusata, non rispettata», scriveva Vieri Razzini nel 1994. Sono trascorsi altri anni e, scrollati di dosso ulteriori orpelli, resta la dimostrazione della «profondità del campo visivo (sulla lunga durata) delle diagnosi pasoliniane – come ha scritto Sandro Modeo in una recensione a Il caos edito da Editori Riuniti nel 1999 - Diagnosi politiche (il vampirismo della borghesia come istituzione per così dire “ontologia” o le difficoltà della sinistra tra tentativi di mediazione con il “sistema” e un estremismo dai risolvi reazionari), sociologiche (i giovani che “non vogliono nulla” e preferiscono “perdersi” piuttosto che “integrarsi” o la Tv come sottocultura che spaccia per realtà l’irrealtà cui tutto riduce) e letterarie sfocianti in definizioni memorabili come quella della poesia in quanto valore né storico né metastorico ma “iperstorico”, cioè prodotta dalla storia ma carica di un’ambiguità che non si esaurisce “in alcun momento storico concreto”.»
Anatema contro Pasolini
Pier Paolo Pasolini è «un provocatore», «un integrato», un uomo al «servizio del capitalismo», sempre pronto a schierarsi «dalla parte di più forti». Questi i severi giudizi del Movimento studentesco espressi l’11 giugno 1968 di fronte alla poesia dedicata alle agitazioni universitarie, molto dura con i manifestanti. Un dibattito acceso e profondo ancora oggi spesso ripreso. «Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti – scriveva Pasolini – io simpatizzavo coi poliziotti perché i poliziotti sono figli di poveri […] Avete facce di figli di papà. – vi odio come odio i vostri papà».
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