Avevo circa 18 anni e quella mattina avevo un'interrogazione e non ero preparato, quindi ho marinato la scuola. Mi sono rifugiato in una libreria e ho trovato lo scaffale della poesia, dove si trovava una piccola edizione tascabile de "Le ceneri di Gramsci" di Pier Paolo Pasolini. Da quel momento non mi sono più liberato di lui, di quel libro e di quella voce
A cento anni di distanza dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, non è iperbolico affermare che quella voce, quel messaggio, quel retaggio, non hanno mai smesso di riverberare la propria eco artistica e culturale. Prova ne sia l’attualità de Le ceneri di Gramsci, raccolta poetica di undici componimenti che Pasolini scrisse poco dopo essersi trasferito a Roma e aver iniziato a conoscere l’ambiente proletario e povero delle borgate.
Un ambiente che ancora non gli appartiene – Pasolini trascorre la propria giovinezza in Friuli – ma dal quale si sente inspiegabilmente attratto. Non a caso saranno proprio le borgate romane e la loro colorata fauna a diventare non soltanto cornice e ambientazione di elezione, ma spesso vere e proprie protagoniste del cinema pasoliniano.
L’autenticità millenaria del popolo, messa a repentaglio dall’avvento di un falso progresso, è una delle tematiche centrali della raccolta Le ceneri di Gramsci, che la casa editrice Garzanti scelse di pubblicare raccogliendo vari componimenti poetici usciti su diverse riviste fra il 1951 e il 1957.
Il librò usciva in un momento particolarmente delicato per la cultura di sinistra, che stava attraversando un periodo di crisi dopo la condanna dei crimini di Stalin al XX Congresso del Partito Comunista Sovietico.
Il libro di Pasolini giunse talmente ricco di attualità politica e civile da avere un successo di vendite insolito per un libro di poesia, e provocò molte discussioni tra i critici. Al lettore contemporaneo, Le ceneri di Gramsci si rivela un antidoto contro gli opposti moralismi, sia di destra sia di sinistra, che all'epoca erano subito scesi in lizza a disputarsi l'opera con valutazioni aprioristiche; ma può essere letto anche come il manifesto di un'idea di letteratura che serve a fecondare il corpo della realtà,
La chiave di lettura da cui partire per iniziare a interpretare questo specifico frammento della poetica pasoliniana emerge chiaramente da uno di versi più emblematici della raccolta, incastonato nel poemetto che dà il titolo all’intero libro. Sulla tomba di Antonio Gramsci, il poeta riflette sulla situazione sociopolitica contemporanea, concentrandosi in particolare sulla classe del proletariato, e si trova a domandare alle spoglie dell’austero e razionale fondatore del partito comunista italiano:
«Mi chiederai tu, morto disadorno, | d'abbandonare questa disperata | passione di essere nel mondo?»
In questo interrogativo emerge infatti la vera distanza fra il pensiero pasoliniano e la lezione gramsciana. A Pier Paolo Pasolini il popolo non interessa in un’ottica di coscienza di classe, ma nelle sue espressioni più autentiche e sincere. Non è un caso che, nel componimento che dà il nome alla raccolta, il poeta scelga di rivolgersi all’austero e razionale pensatore comunista, ma con il cuore percepisca una certa affinità con un altro dei fantasmi del cimitero acattolico di Roma: quello del poeta Percy Bysshe Shelley, che diventa simbolo di una “carnale gioia dell’avventura” in linea con la sete di vita propria di Pasolini. A Gramsci, Pasolini si rivolge poi in un’invocazione che è anche interrogazione potentissima e una confutazione del rapporto coi “padri”, politici prima ancora che biologici:
Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore / in luce, contro di te nelle buie viscere; / del mio paterno stato traditore / - Nel pensiero, in un’ombra di azione / mi so ad esso attaccato nel calore / degli istinti, dell’estetica passione / attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza: è la forza originaria.
Rifiutando una visione della condizione umana che si riduca a lotta di classe, Pier Paolo Pasolini si fa quindi portavoce di un’ideale di fratellanza e scambio, che dalle ceneri di Gramsci possa far risorgere – come una moderna fenice – un’idea di cultura diversa.
In occasione del centenario della nascita, ripercorriamo la vita e le opere di uno scrittore e regista determinato, provocatorio, forte come l’amato Friuli, ma dotato anche di un altro lato: quello dell’intellettuale che dubita, quello del giovane tormentato dalle contraddizioni
"Le ceneri di Gramsci" è stato il mio modo per entrare nell'universo di quell'intellettuale straordinario che è stato Pier Paolo Pasolini conoscendolo attraverso la sua straordinaria poesia, ancora potente, anche se riletta dopo tanti anni
Lo stile adottato da Pier Paolo Pasolini in questa raccolta è in linea con il suo intento programmatico di farsi cantore di una poesia civile: pur essendo accentuata la tendenza alla prosa e al saggismo, non mancano incursioni nel lirismo più ispirato e tentativi di recupero di metriche pre-novecentesche quali la terzina dantesca, l’endecasillabo e persino il verso martelliano, costituito da una coppia di settenari e diffuso nel XVIII secolo.
Allontanandosi quindi da un’idea di poesia troppo cristallizzata sui propri artifici retorici, ne Le ceneri di Gramsci Pier Paolo Pasolini finisce per tracciare il manifesto di un’idea di letteratura che sappia ancorarsi alla realtà, decisa – per usare le parole dello stesso cineasta e poeta – a “lasciar parlare le cose”.
Anche quando il mondo sembra caotico e inspiegabile, forse soprattutto in quei momenti, ricorrendo alla scrittura come forma di istantanea razionalizzazione del reale, alla parola non tanto come argine ma come bisturi.
Vent’anni dopo la lezione pasoliniana, Italo Calvino avrebbe chiuso Le città invisibili con una delle frasi più celebri della storia della letteratura, spiegando che il trucco per sopravvivere consiste nel “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Pier Paolo Pasolini, in mezzo all’inferno, regolava l’apertura del diaframma. E quando non c’era la macchina da presa bastavano i suoi occhi, perché come afferma in un altro dei componimenti de Le ceneri di Gramsci, “Picasso”:
“La via d'uscita | verso l'eterno non è in quest'amore | voluto e prematuro.
Nel restare | dentro l'inferno con marmorea | volontà di capirlo, è da cercare la salvezza.”
Un ritratto di Pasolini: il dissidio irrisolto tra vita e storia, corpo e ragione, individuo e comunità, mito e demitizzazione; le metamorfosi del potere e la resistenza della parola.
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