Io sono un uomo: altro non c'è, non contano né il viaggio né gli incontri, non contano la tempesta e il sole, non contano i giorni, le ore; non conta nemmeno il senso delle cose, che brilla o si spegne. Io sono un uomo e basta: al di là e oltre, con o senza tutto questo
Per una qualche curiosa coincidenza, ho tre ricordi legati a Roberto Vecchioni che segnano – strano, lo so, e fino a oggi non ci avevo mai pensato – tre età della mia vita, l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza. Il primo riguarda una delle sue canzoni più belle, almeno per me (ma potrebbe essere l’effetto madeleine), cioè Samarcanda. I miei, quand’ero poco più di un bambino, decisero di introdurmi al cantautorato nostrano partendo da lì. E come tutti i bambini, affascinato dalle storie e rapito dai colpi di scena, restavo ogni volta a bocca aperta nell’ascoltare di quel povero soldato che arrivava a Samarcanda per trovarci la morte da cui era fuggito.
Vecchioni, per me, allora, non aveva un volto, ma era le sue parole – un cantastorie che era davvero capace di tenermi inchiodato di fianco alla radio. Raccontare storie e sentimenti attraverso la musica era una cosa che faceva dal ’68, anche se già prima scriveva i testi per cantanti alla ribalta come Ornella Vanoni e Iva Zanicchi. Con Sera partecipò al Festival di Sanremo insieme all’amico Andrea Lo Vecchio, con il quale, lo stesso anno, incide il primo 45 giri. Ed è da quel momento che Roberto Vecchioni ha iniziato a cantare le sue storie con la sua voce, a usare le parole in quella maniera delicata e consapevole che è tutta sua.
Sarai tu con i tuoi vent’anni
che mi vedi come il re del mondo
Poi al liceo, quarta ginnasio, una professoressa che credeva nei classici ma sapeva che non aveva senso leggere solo quelli ci diede per l’estate Il libraio di Selinunte. Di Roberto Vecchioni. E io, nell’età della critica, convinto che solo in virtù del fatto che avevo cominciato il liceo classico fossi in grado di distinguere i buoni libri da quelli meno buoni – che distinzione stupida, per uno che fa studi classici –, mi chiesi cosa avrei potuto apprezzare del libro scritto da un cantautore. Dopo quell’estate, la risposta fu: tutto.
Perché Roberto Vecchioni, quelle cose fuggevoli, fraintendibili, potenti che sono le parole le sapeva usare dovunque. E quindi, spocchioso, avevo iniziato a leggerlo sotto l’ombrellone, perché dovevo. Poi sono andato avanti perché non riuscivo a smettere, perché la storia mi trascinava giù, perché il mondo che creava Vecchioni con il suo linguaggio magico faceva esplodere quel libro rendendolo vivo, presente. Ancora una volta c’ero cascato: Vecchioni era un grande artista anche quando si metteva a scrivere libri.
E sto facendo tardi
Poi che mi guardo e vedo ma
Ci son le stelle fuori
E un mare di colori
E poi all’università, e così chiudiamo il cerchio. Cantautore, scrittore e – anche se non in ordine temporale – insegnante. L’ho visto in una delle aule più belle di Pavia, di persona faceva tutto un altro effetto, perché ne leggi, lo ascolti, lo ammiri, ma quando te lo trovi davanti è un altro paio di maniche. E tra quegli studenti accaldati per l’estate in arrivo, annoiati perché mancava poco alla fine dei corsi o impegnati a fare nuove conoscenze da brave matricole, lui spiccava. Capace anche lì, anche in questo suo gesto di prendersi cura di studenti che vengono trattati come disillusi, come ormai arrivati al capolinea delle loro carriere scolastiche – dopo c’è il baratro del lavoro.
Capace di trovare quel guizzo in più nel mondo che lo circondava e di trasmetterlo agli altri. Le sue lezioni sono, di nuovo, narrazioni. È come assistere a una pièce teatrale, oppure a un reading poetico, o a una serata di improvvisazione, a un concerto, tutto insieme.
Perciò, caro Roberto Vecchioni, qui in Maremosso ti facciamo i nostri auguri. Per i tuoi 80 anni di artista, cantastorie, insegnante, scrittore – per tutto quello che ci pare, per tutti i ricordi che in qualche modo ci legano a te.
Di
| Einaudi, 2020Di
| Einaudi, 2014Di
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