Quello del giornalista è un mestiere che resta duro, artigianale, nonostante l’applicazione delle tecnologie più moderne
Il 18 marzo papà avrebbe compiuto 75 anni. Non posso fare a meno di chiedermi quanti altri libri a firma sua farebbero bella mostra di sé sugli scaffali di biblioteche e librerie, accanto a questa lunga fila di candeline, se la sua vita non fosse stata spezzata in quel modo. La sua attività di storico e saggista è poco nota, rispetto a quella giornalistica e sindacale. Ma i sette libri che scrisse in appena 33 anni tracciano un percorso affascinante. Il primo nasce tra il clamore delle manifestazioni e gli slogan dei rivoluzionari gauchistes del Sessantotto alla Statale di Milano. Ancora studente (facoltà di filosofia, indirizzo storico), praticante al quotidiano del Psi l’Avanti!, mentre altri “occupano” e arringano le masse studentesche, lui raccoglie interviste e documenti per una Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia, pubblicata nel 1970 dall’editore socialista SugarCo e ancor oggi gelosamente custodita da molti di quelli che facevano politica in quegli anni.
Il biennio successivo è inghiottito dal lavoro per la mastodontica tesi di laurea (“I sindacati in Italia nel secondo dopoguerra, 1945-50”), corredata da un ricco apparato di interviste a protagonisti dell’epoca come Oreste Lizzadri, Vittorio Foa e Fidia Sassano. Nel 1973 mette in pausa gli studi sul sindacato, la grande passione della sua vita, per immergersi nel fuoco del dibattito angoscioso sull’eversione di destra e la strategia della tensione con un volume divulgativo sull’ascesa del fascismo, dalla violenza delle squadracce alle leggi fascistissime, per i tipi di Fratelli Fabbri, Gli anni del manganello: “un onesto lavoro di scriba”, si schermisce nella dedica sulla copia che regala all’amico Giorgio Rumi, storico allora agli inizi di una brillante carriera.
Walter torna ben presto a cimentarsi con ricerche originali, anche se lavora a tempo pieno in redazione (all’epoca è ancora nel limbo del Corriere d’informazione, l’edizione pomeridiana del Corriere della Sera, e scalpita per la promozione al piano nobile di via Solferino) e gli è già nato il primo figlio. Nel 1976, per l’Editrice sindacale italiana cura Achille Grandi. I cattolici e l’unità sindacale, una raccolta di saggi e discorsi del sindacalista cattolico; l’anno dopo, mentre tra gli intellettuali e nelle piazze si straparla di rivoluzione, firma un saggio provocatoriamente intitolato Il sindacato riformista. Alla riscoperta del riformismo nella storiografia contemporanea, di nuovo per SugarCo, in cui rilegge il ruolo del sindacato (e il modo in cui gli storici l’hanno interpretato) in due passaggi cruciali - il primo Novecento giolittiano e gli anni della ricostruzione postbellica (finalmente torna utile il lavoro di tesi!) - in cui la paziente via gradualista ha la meglio sulle mitologie spontaneiste. Mi viene un groppo in gola a veder stampato, in calce all’introduzione, “Carpegna, agosto 1977”: chiude le bozze mentre eravamo in vacanza in montagna nel paesino del Montefeltro che tanto amava, nella prima estate della mia vita.
Ancor più netto il titolo dell’opera successiva: La rivoluzione impossibile. L’attentato a Togliatti: violenza politica e reazione popolare. Un saggio storico basato su un’ampia ricerca sui telegrammi dei prefetti al Viminale sullo stato dell’ordine pubblico in tutta Italia nelle ore e i giorni successivi all’attentato al segretario del Pci, dal 14 al 16 luglio 1948 (copia di parte della documentazione consultata all’Acs è ancora accumulati nelle ante ai piedi degli scaffali del suo studio, nella casa dove sono cresciuta), e in particolare lo sciopero generale che era “entrato nella mitologia senza passare per la storia”. “Non è facile, in questo giugno 1978, in una situazione politica fortemente condizionata dall’emergere di un partito armato clandestino, discutere con serenità e distacco di questi argomenti”, scrive nell’introduzione. Ma dalla ricostruzione emerge in modo inequivocabile come, nonostante il mito dell’insurrezione infiammasse ancora gli animi di molti operai, “una rivoluzione, in quelle condizioni, era impossibile e impensabile”, e il gruppo dirigente comunista ne era ben consapevole.
Il 14 luglio 1948, all'uscita da Montecitorio, Togliatti viene raggiunto da tre colpi di rivoltella. Nei due giorni successivi, tutto il paese è sconvolto da imponenti manifestazioni di protesta. Walter Tobagi ricostruì tutto questo ne "La rivoluzione impossibile", edito dal Saggiatore nel 1978, ora riproposto con una nuova introduzione di Paolo Mieli. Tobagi, una grande firma del giornalismo italiano, racconta quei due tesissimi giorni con rigore, con il gusto per il dettaglio e la narrazione, indagando uno snodo fondamentale della vita politica del paese. L'unico momento in cui il sogno della rivoluzione sembrò a un passo dal diventare realtà.
Nel 1979 esce, per i “Giornalibri” di Laterza, il piccolo libro-intervista al decano Giorgio Bocca, Vita di giornalista. I segreti del mestiere raccontati da uno che viene dalla gavetta, lettura ancor oggi godibilissima. L’ultimo saggio, Che cosa contano i sindacati? nasce “nelle aule di università e davanti ai cancelli di Mirafiori, da ricerche sulla storia del sindacalismo e dal lavoro quotidiano di giornalista”: un compendio delle sue diverse anime professionali, dunque, che a dieci anni dall’Autunno caldo analizza in modo penetrante i fattori di crisi delle organizzazioni dei lavoratori, ma con l’atteggiamento partecipe di uno dei tanti giovani della generazione a cui “il sindacato apparve come l’angelo vendicatore della condizione operaia [...] capace di rovesciare quanto di vecchio, ambiguo, ingiusto s’annidava sotto la crosta della società”. Di lì a poco, la “marcia dei quarantamila” (14 ottobre 1980) avrebbe reso quella crisi evidente agli occhi di tutti. Papà non potrà scriverne. Quando esce di casa per l’ultima volta, la mattina del 28 maggio 1980, sulla sua scrivania ci sono le bozze della copertina. Il saggio esce postumo, e il resto è silenzio.
Il libro in cui Benedetta Tobagi ricostruisce la figura pubblica e privata del padre
"Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell'asilo non mi credono. Allora insisto: 'Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum! bum! con la pistola' e mimo con le dita la forma dell'arma. Una P38". Walter Tobagi è morto a Milano il 28 maggio 1980, assassinato sotto casa da una semisconosciuta formazione terroristica. Era una delle firme piú prestigiose del "Corriere della Sera". Aveva trentatre anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lí. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos'erano gli anni Settanta. Un libro tenero e terribile in cui batte il cuore di un padre ritrovato.
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