Il verso giusto

Si erano scorti da lontano tra la folla di Yves Bonnefoy

Illustrazione digitale di Irene Tronconi, 2022, studentessa del Liceo Artistico Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Irene Tronconi, 2022, studentessa del Liceo Artistico Volta di Pavia

Si erano scorti da lontano tra la folla

Si erano scorti da lontano tra la folla,
Si conoscevano solo di vista,
Si sedettero uno accanto all'altra per ascoltare
La musica sublime di quella sera. 

L'opera sapeva molto dell'uno e dell'altra,
Parlava a ciò che non osavano essere,
Prese loro le mani, affinché farne
Riconoscenza e condivisione e desiderio.

Di mani che s'uniscono s'accresce lo spirito,
E ancor più penetrante è la musica.
Ancor più essa è il vero che è il semplice.

Una barca i loro corpi avvinti che solleva
L'ardore che farà nascere, e vicina è l'alba,
Quasi già sorto il loro secondo giorno.

(da Yves Bonnefoy, Insieme ancora seguito da Perambulans in noctem, a cura di Fabio Scotto, Il Saggiatore, Milano 2022)

Al centro dell’ultima raccolta poetica pubblicata in vita da Yves Bonnefoy (1923-2016) nel 2016, Ensemble encore, tradotta in italiano con il titolo Insieme ancora, c’è una sezione costituita da sette sonetti che sembrano formare un’unità maggiore, un organismo.

La sezione-poemetto si intitola Ensemble la musique et le souvenir (Insieme la musica e il ricordo). Come accade spesso nella poesia di Bonnefoy, si uniscono nella sua parola il trasparente e l’ignoto. Si può dire che queste due dimensioni, come è nella vita di ciascuno di noi, si compenetrino inestricabilmente. La leggibilità del mondo è sempre a rischio, proprio là dove pare più limpida, o meglio essa sembra continuamente rimandare a qualcosa di ulteriore, che i nostri sensi non percepiscono, ma che prende forma, è imminente.

I sette sonetti tracciano l’incontro di due amanti che ascoltano una musica sublime e che, inconsapevolmente, sono al centro di un’Opera. Quando ci incontriamo, tra sconosciuti, e ci addentriamo l’uno nel destino dell’altra, compiamo un atto di portata irreversibile: tracciamo il segno dell’essere, avviciniamo ciò che non era unito, congiungiamo esistenze, decidiamo della nascita, dell’essere ancora, dello sprofondare della vita oltre di noi.

Di questo parla, in modo insieme trasparente ed enigmatico, il primo sonetto della serie. Il fatto è che quel che avviene sulla pagina non è qui e ora, presente, ma ritrovato nel ricordo. L’incontro e la congiunzione di due storie assumono così lo spessore di un fatto che adesso, essendo avanzato l’avvenimento nella sua consumazione, deve essere interpretato.
Che cosa ne rimane? Che cosa resta della luce di quel giorno?

Illustrazione digitale di Marcella Maroni, 2022, studentessa del Liceo Artistico Volta di Pavia

Il poeta anziano, prossimo all’estremo confine, si interroga con ardore sulla permanenza al di là del dissolversi e su una sorta di abbraccio del futuro, dell’oltre, che viene incontro alla vita intessuta di semplici giorni. Se il lettore, pazientemente, avanza nella lettura dei sonetti seguenti, giunto al VI, si imbatte in questo incipit: «Ed è vero, amica mia, quando tutto si cancella / Qualcosa rimane. […]».
Torna allora la musica dell’inizio.

Nella fine c’è la stessa musica del principiare ed essa suggerisce, implora, che ci sia un’isola dubbiosa, un mondo che ci accolga ancora, oltre di noi («Che cos’è la musica? L’imminenza / Di quest’isola che c’è o non esiste»; e più avanti: «Ci dice, sono il vostro altro mondo, / Vi accudirò per tutta la notte, / All’alba andrò nuda da una stanza all’altra. // Io sono, non sono. Dal non essere / Fiorisce che vi rimanga accanto. / Voi dormirete, io sono in voi, veglio»).

La voce di quel mondo imminente, che preme sul nostro esserci di adesso, dice che quella dimensione di presenza veglia oltre il nostro tempo, custodisce il noi che siamo e che siamo stati. Senza che ne possiamo conoscere i confini certi, le frontiere, i numeri, quel mondo è in noi, matura nella sua umile e tremante eternità.

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