Il verso giusto

Signora, il cui santuario sta sul promontorio di Thomas Stearns Eliot

Illustrazione digitale di Kristel Berton, 2022, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

Illustrazione digitale di Kristel Berton, 2022, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

Signora, il cui santuario sta sul promontorio

Signora, il cui santuario sta sul promontorio,
Prega per tutti quelli che sono sulle navi, quelli
Il cui mestiere ha a che fare coi pesci, e
Quelli intenti in ogni traffico legittimo
E coloro che li conducono.

Ripeti una preghiera anche per conto
Delle donne che hanno visto i loro figli o mariti
Partire, e non ritornare:
Figlia del tuo Figlio,
Regina del Cielo.

Prega anche per quelli che erano su navi, e
Finirono il loro viaggio sulla sabbia, nelle labbra del mare
O nella buia gola che non li rigetterà
O dovunque non può raggiungerli il suono della campana di mare
In perpetuo angelus.

(Thomas Stearns Eliot, Quattro Quartetti, cura, traduzione e saggio di Audrey Taschini, Bompiani, Milano 2022)

Già in The Waste Land (1922), Thomas Stearns Eliot parla della «morte per acqua» («Death by Water»): è un pensiero ritornante, che si ritrova, mutato di accento, anche nei maturi Four Quartets (composti fra 1936 e 1942). Il terzo dei quattro quartetti è intitolato The Dry Salvages, nome di alcuni scogli al largo della costa del Massachusetts, luogo d’infanzia del poeta.
Il mare (l’acqua è l’elemento di questo quartetto) porta con sé il pericolo: attraversarlo, solcarlo, peregrinare attraverso di esso significa fare la prova della nostra fragilità. L’elemento equoreo può infatti trascinare via, sommergere, spolpare, come insegna appunto Phlebas il Fenicio in The Waste Land.

In questo breve brano – quarto movimento del terzo quartetto – il mare è visto come luogo di transito, di attraversamento umano. E mentre l’elemento naturale assiste impassibile e neutrale alla sorte delle piccole creature che vi si avventurano (per lavorare, per giungere altrove), il poeta eleva una vera e propria preghiera, che fa capire, meglio di qualunque altro segnale, il cambiamento e la maturazione intercorsi tra La terra desolata e i Quattro quartetti.

Intanto c’è un richiamo all’ultimo canto della Commedia Dantesca, il XXXIII del Paradiso: è da lì, dal verso 1, che Eliot riprende la definizione di Maria come «Figlia del tuo figlio», in italiano nel testo originale.
Dunque è una preghiera a Maria, così come l’ultimo tratto del viaggio dantesco era aperto proprio dalla preghiera di san Bernardo alla Vergine, perché concedesse al pellegrino dell’oltretomba la grazia della visione di Dio.

Si prega sempre per gli altri, in questo sta la carità: ardere di amore creaturale per l’altro, per gli altri, che hanno bisogno di noi. Così il poeta scrive una preghiera rivolta a Maria perché custodisca i viaggiatori del mare e, quando siano perduti, perché ne abbia pietà, come una vera madre terrena: perché quei corpi, che il mare non potrà restituire, trovino pace e i loro cari consolazione.
Suona sul mare, per tutti, la campana, che intona la nota dell’Angelus.

Incastonato nei Quartetti, questo frammento orante sembra invocare per la creatura l’unico riparo possibile dalla sua fragilità, l’aiuto della madre del Creatore fattosi uomo: l’aiuto della donna che ha pianto il Figlio sulla croce e lo ha visto risorto. Lei, Regina del Cielo, conosce la pietà, una pietà perfetta e piena, assai diversa dall’ambiguità dei poteri umani: a lei la preghiera, l’implorazione può ricorrere senza timore di restare inascoltata.

Illustrazione digitale di Eleonora Giossi, studentessa del Liceo A. Volta di Pavia

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