Una scuola di lettori

Carlo Collodi dialoga con i piccoli lettori di oggi

Disegni di Jasmine, Fabiana e Alice

Disegni di Jasmine, Fabiana e Alice

Le indagini della classe 4^

Cosa avrà spinto Collodi a scrivere Pinocchio? Perché certi personaggi? I bambini della classe quarta della scuola primaria di Vigatto dopo Lampo hanno fatto le loro indagini, hanno letto il famosissimo libro, un "classico” della letteratura e… intervistato l’autore stesso. Cosa gli avrà raccontato? Ma fate attenzione, perché la sua non sarà la sola voce che sentiremo!

Disegno di Virginia

Intervistatore: “Ripigliando il filo del nostro discorso interrotto”, prendendo in prestito parole del nostro ospite, vi do il benvenuto in un nuovo podcast, questa volta dal Parco di Collodi in provincia di Pistoia. La giornata è soleggiata, ma il leggero venticello delle colline toscane ci permette di accogliere Carlo Lorenzini, altrimenti conosciuto come Carlo Collodi, nientemeno che il papà di Pinocchio, il protagonista del libro della letteratura italiana più tradotto al mondo, dall’Iran al Madagascar, dall’America latina al Giappone! Benvenuto!

Collodi: Buongiorno a tutti, è un piacere essere qui con voi a raccontarvi la mia esperienza. Spero che il libro che avete letto vi sia piaciuto e soprattutto vi abbia fatto imparare qualcosa…

I: Ci sintetizzi in poche parole il libro, per favore: non si sa mai che qualcuno non lo abbia ancora letto, ah ah ah!

CC: Inizialmente Pinocchio era solo un pezzo di legno, ma, trasformatosi in un burattino, grazie alle mani esperte del suo papà, un certo falegname di nome Geppetto, volle aiutarlo a non essere più povero. Si perse, ma girando tutto il mondo, o quasi, trovò nuovi amici, fece esperienze, imparò nuove cose e ritrovò suo padre nientemeno che nel ventre di una balena. Nuovamente insieme, non si sarebbero mai più separati e Pinocchio… Cosa accadde? Quali amici incontrò? Non ve lo dirò certo io, ma, forse, lo sapete già, visto che si tratta di un libro famosissimo, dicono.

I: Perché ha scritto questo libro?

CC: Avevo scritto “Le avventure di Pinocchio” per una rivista. La storia, però, finiva con la morte del burattino. Questo finale non era piaciuto al pubblico, perciò pensai di scrivere un libro facendo, in un certo senso, risorgere il burattino e facendolo rivivere come un bambino in carne ed ossa. Ma per trasformarsi in bambino, Pinocchio si è dovuto impegnare molto, lavorare “sodo”, dimostrare di essere cambiato, di essere "coscienzioso". Ovviamente ho inserito, come in tutte le fiabe che si rispettino, un’eroina, la fata Turchina.

Ciascuno ha disegnato e dipinto questo Pinocchietto sulla sua maglietta bianca

I: Come mai, secondo Lei, il libro sarebbe stato più accattivante se il protagonista fosse stato coscienzioso?

CC: Interessante domanda. In realtà piacciono di più i bambini monelli, vivaci, perché sono più divertenti, i bambini studiosi, seri seri sono noiosi agli occhi dei giovani lettori, ma ai miei tempi, nell’800, …

Pinocchio: Avanti o dopo Cristo? Certo che sei proprio vecchio! 

CC: Pinocchio, sono vecchio, e nella mia vita ho imparato tanto, ho più esperienza, sono saggio e, se mi lasci parlare, capirai. Nelle scuole, ai miei tempi, c’erano perlopiù maschi ricchi, e volevo trovare un modo per insegnare a tutti quanto fossero e siano importanti l’istruzione e la buona educazione.

I: Come si è sentito quando lo ha scritto?

CC: Mi son sentito bene, perché, secondo me, stavo scrivendo un libro importante che avrebbe potuto aiutare i bambini a comportarsi bene e ad invogliarli ad andare a scuola.

P: Ma cosa dici?! Non ci crederà nessuno che i bambini cambieranno modo di fare perché hanno ascoltato la tua storia. Povero illuso… 

CC: Sei proprio una testa di legno: ma non hai ancora capito che devi ascoltare quello che ti dicono coloro che ti vogliono bene? Cari ragazzi, avete visto, con chi avevo a che fare, ma la maggior parte dei bambini, o delle persone, vuole andare a divertirsi anziché andare a scuola o al lavoro, siete d’accordo?!

Disegno di Serena

I: Come no, è fuori discussione, ma andiamo avanti: non parliamo di noi…Quando ha ideato i personaggi, voleva che sentissero le sue stesse emozioni?

CC: Esatto, in ogni avventura ho voluto entrare dentro al personaggio e pensare a come si sarebbe sentito: sapete, anche a me da bambino piaceva giocare, ma i miei genitori mi dicevano che se non avessi studiato sarei diventato un asino, e da lì mi è venuta l’idea di Lucignolo che, tra l’altro, ricorda il diavolo, ossia il male o maligno. Per farmi studiare i miei genitori mi hanno persino mandato in seminario, perché mi insegnassero le regole che facevo fatica a rispettare col mio caratteraccio. Ma poi non ho fatto il prete, son diventato un giornalista con la passione delle favole.

P: Ehi ragazzi, secondo me avete già ascoltato una storia simile, vero? Ma era una femmina. Vestiva da suora fin da piccola. I suoi genitori volevano diventasse suora fin quasi dalla sua nascita. Avete capito di chi sto parlando? Ma certo, della monaca di Monza! 

I: Perché ha deciso di chiamare il protagonista proprio Pinocchio?

CC: Un nome classico non sarebbe stato così stimolante: se lo avessi chiamato, per esempio, Giorgio o Germano sarebbe sembrato fin da subito un bambino, non un burattino. Inoltre, il protagonista era un pezzo di legno di pino nella mia fantasia. 

I: Perché a Pinocchio cresce proprio il naso e non qualcosa d’altro?

CC: Un tempo era popolare il detto “Le bugie han le gambe corte!”, ma a un burattino bugiardo non potevo accorciare le gambe di legno, perché si sarebbero accorciate tanto da non farlo più camminare. Perciò ho trovato l’idea del naso e adesso so che le nonne vi dicono: “Guarda che ti si allunga il naso!”, quando dite le bugie. Credo abbiano proprio preso da me, anzi, da Pinocchio!

P: Ehi, sempre io… Ma è vero: di bugie ne ho raccontate tante ed il naso…uh se mi è cresciuto! 

I: Perché il Grillo parla?

CC: Questa è una domanda facile, la cui risposta potreste aver capito da soli. Il Grillo è la coscienza di Pinocchio, è come Dio che nel deserto aiutò Gesù a non cadere in tentazione. Comunque il grillo non è un animale, ossia, lo è ma è antropomorfo, cioè sembra un essere umano.

P: Come Lucy, la scimmia antropomorfa che voi avete studiato in terza in storia.

I: Perché con un pezzo di legno non ha fatto uno sgabello, ma proprio un burattino?

CC: All’inizio di un libro o di un testo si scrive l’introduzione: dovevo inventare dei personaggi per raggiungere il mio scopo e così è nata l’idea di Geppetto, un falegname che si sentiva solo, aveva bisogno di compagnia e aveva il desiderio di avere un figlio cui insegnare ad essere sempre migliore. Se avesse creato dei mobili non avrebbe avuto compagnia.
Avrei anche potuto far bruciare quel pezzo di legno, ma se fosse bruciato non avrei potuto scrivere la storia.

P: E meno male che non lo hai fatto!

I: Ma quale scopo aveva in mente? Cosa avrebbe voluto “insegnare” ai lettori, in realtà? Sarà mia premura verificare che almeno i “somari” di questa classe abbiano afferrato il concetto!

CC: Siete pronti ad ascoltare? L’elenco è lungo! Innanzi tutto a non raccontare bugie, poiché la verità prima o poi salta fuori e la menzogna ti si può ritorcere contro; ad imparare dai propri sbagli; che la vita non è solo divertimento; a credere nelle proprie idee, sempre, e a non perdere mai la speranza che i propri sogni possano realizzarsi; che la scuola è importante per combattere l’ignoranza e riconoscere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato, poiché nel mondo ci sono tante brave persone ma altre che assumono le loro sembianze: studiare apre la mente ed insegna che occorre andare oltre le apparenze per non farsi ingannare; che bisogna sempre ricercare la libertà, ma quella vera!

I: Perché Geppetto era un falegname?

CC: Una risposta semplice potrebbe essere che chi lavora con un pezzo di legno è un falegname. Una risposta un po’ più complicata, invece, è che, avendo studiato molta religione in seminario, avevo ben imparato che una persona di nome Gesù era straordinaria, un esempio per tutti. Suo padre si chiamava Giuseppe ed era un falegname. Il nome del papà di Pinocchio, Geppetto, è il diminutivo di Giuseppe.

I: Perché Pinocchio non voleva studiare?

CC: Come tanti di voi, anche a Pinocchio non piaceva studiare, perché lo studio richiede attenzione, impegno, tempo da togliere al gioco, al divertimento: quindi, lo studio diventava ed è ancora sinonimo di noia. Ma voi sapete, vero, che prima c’è il dovere e poi il piacere?

P: Vuoi sempre avere l’ultima parola, pensi sempre di sapere tutto quello che è bene per me, ma io ho dei dubbi!

I: Eccoci alla fine di questa intervista qui a Collodi. Ringrazio anche da parte vostra, cari lettori o ascoltatori, l’autore che si è prestato a parlare con me. Da quello che ci ha raccontato, è certo che, nonostante le monellerie di Pinocchio, Lei non abbia perso la fiducia nei bambini e ne sono felicemente colpito.

P: Noi bambini possiamo sempre rimediare a ciò che facciamo perché abbiamo tanto tempo davanti a noi, siamo la nuova generazione, siamo il futuro!!! Tu, caro Carlo, eri il futuro quando ti chiamavi Lorenzini, ad esempio. Ora, col tuo fantastico esempio, sei un presente a noi prezioso, non un passato!

I: Pinocchio, stavolta mi hai lasciato senza parole e non è facile: sono Phil de Veritas!

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