Grazie ai social e alla televisione, per la maggior parte di noi la violenza è qualcosa di estremamente familiare. Ma allo stesso tempo, la violenza è molto lontana, perché viviamo delle vite ultra-protette
Il suo esordio letterario nel 2019 con Benevolenza cosmica aveva fatto non poco parlare di sé, anche solo per il fatto che era la prima volta in trentacinque anni che la casa editrice Adelphi puntava tutto su un esordiente (l’illustre precedente? Nientemeno che Aldo Busi e il suo Seminario della Gioventù, nel 1984).
Sarebbe stato facile a quel punto lasciarsi travolgere dalla girandola del successo, eppure Fabio Bacà ha saputo restare con i piedi per terra, con realismo e umiltà.
“Non mi considererò uno scrittore fino a quando non avrò pubblicato anche il terzo, il quarto e forse addirittura il quinto libro”, affermerà nel corso della nostra intervista, “per adesso mi considero un dilettante”.
Dilettante o semplicemente modesto, nel corso del nostro faccia a faccia siamo curiosi di scoprire le tematiche e le ispirazioni alla base di Nova, il suo secondo romanzo, un’altra storia “che ha per protagoniste persone normali alle prese con delle contingenze della vita piuttosto curiose”.
Nova di Fabio Bacà parla del terrore che si può provare per ciò che non si conosce. E il nostro cervello, organo affascinante ma ancora misterioso, può avere ancora moltissimi lati nascosti. Nova di Fabio Bacà ci racconta la paura che si spande quando una mente esplode. O implode.
Stavolta al centro del racconto c’è il neurochirurgo Davide Ricci, abituato da sempre a ignorare tutti quei piccoli rumori di fondo che rischiano di increspare la sua piatta ma serena vita di provincia.
Ma tutto è destinato a cambiare quando incontra Diego, il suo nuovo, enigmatico mentore, che gli spiegherà che ciò di cui dobbiamo davvero avere paura è il momento in cui nel nostro cervello, con la furia di una supernova, esplode la violenza.
Una violenza a cui spesso non sappiamo – o non vogliamo – neanche dare un nome.
L’intervista
Benvenuto, Fabio Bacà!
Partiamo da una delle domande alla base di Nova: a cosa pensa un uomo quando si sveglia?
A un sacco di cose. Io personalmente in questo momento penso moltissimo al lavoro. Sono tante le cose a cui uno può pensare: il mio protagonista, Davide Ricci, pensa soprattutto alla morte. Quest'idea mi è venuta perché credo che un neurochirurgo come lui, e che quindi ha dimestichezza con il dolore e con gli aspetti meno positivi della vita, per una sorta di antidoto pensi alla morte, quasi in modo apotropaico.
Davide per certi versi è un uomo sull'orlo di una crisi di nervi, anche se a volte non si vede. Che relazione potresti individuare fra lui e il protagonista del tuo esordio, Kurt o'Reilly?
Credo ci siano sicuramente dell'affinità, delle caratteristiche che sono proprie a entrambi i personaggi. Innanzitutto, sono due persone normalissime: Kurt o'Reilly ha trentatré anni e fa lo statistico, Davide Ricci - il protagonista di Nova - invece fa il neurochirurgo e ha dieci anni di più, ma sono due persone normali alle prese con delle contingenze della vita piuttosto curiose. Se per Kurt o'Reilly in Benevolenza cosmica le vicissitudini erano di carattere metafisico e un po' sui generis, Davide Ricci si trova a cercare di gestire delle situazioni che sono purtroppo normalissime, che poi sono le situazioni legate alla violenza.
E tu scrivi che "la violenza per la maggior parte di noi è un fatto emotivamente alieno": cosa significa?
Per la maggior parte di noi la violenza è un qualcosa di estremamente familiare, grazie a quello che ci arriva dalla televisione e dai social, ma allo stesso tempo – grazie alle nostre vite ultra-protette – è qualcosa di talmente lontano che, nelle rarissime volte in cui ci coinvolge in prima persona, finisce per essere non completamente assorbibile, non completamente fruibile delle nostre emozioni. Il problema, almeno secondo la tesi del co-protagonista di Nova, Diego, è che questo provoca una specie di cortocircuito tale per cui non siamo più in grado di gestirla al livello più profondo e più produttivo.
… sempre Diego sembra per certi versi raccogliere l'eredità letteraria del "perturbante", ovvero della figura che compare dal nulla e con la sua sola presenza turba l'ordine costituito: raccontaci qualcosa di lui.
Quando ho cominciato a pensare a questo romanzo, tra il 2016 e il 2018, ho pensato che mi sarebbe piaciuto creare qualcosa a metà fra Fight club di Chuck Palahniuk (un libro e soprattutto un film che ho amato moltissimo) e Teorema di Pasolini, un libro che avevo letto tanti anni fa, forse non capendoci granché. Però mi era piaciuta moltissimo la figura di questa sorta di angelo, questo essere spirituale-metafisico che aveva però anche un lato molto carnale, che finisce per distruggere dall'interno una famiglia alto-borghese andando a letto con tutti i membri della famiglia stessa. Io non volevo spingermi a tanto, però avevo bisogno di un personaggio che destabilizzasse l'equilibrio all'inizio del solo Davide Ricci e poi, a catena, quasi involontariamente di tutta la famiglia protagonista del mio romanzo.
… anche se il concetto stesso di famiglia borghese ad oggi si sta disgregando. Come fa un romanziere a rivolgere le proprie attenzioni a una classe?
Io sono d'accordo con Sandro Veronesi, che in un'intervista di qualche tempo fa disse che è impossibile non parlare di famiglie nei propri romanzi. Persino in un romanzo che un one man show in cui c'è un solo protagonista perché questo personaggio sarà pur figlio, o genitore o compagno di qualcuno... quindi è difficile non parlare dei nuclei familiari. Non desidero specializzarmi nella descrizione di una determinata classe, così come non mi considerano uno scrittore politico: cerco di essere uno scrittore poliedrico. In Benevolenza cosmica e in Nova mi interessava indagare sui rapporti umani, sui rapporti di coppia e sui rapporti psicologici che intercorrono fra soggetti molto diversi fra loro.
Credo che Nova sia anche una storia di amicizia: non è un caso che l'ho dedicata a due dei miei migliori amici. L'osservazione credo che sia sempre la cosa migliore: quello che ti interessa è quello che riporti. L'oggetto di indagine di uno scrittore deve essere ciò che legge sui giornali, ciò che vive quotidianamente. Evidentemente in questo periodo mi interessano molto le famiglie.
Il tuo esordio, Benevolenza cosmica, ha fatto molto parlare: cosa è cambiato, da quando hai iniziato a pensare a te stesso come a uno scrittore?
Continuo a ripetere che non mi considererò uno scrittore fino a quando non avrò pubblicato il terzo, quarto forse addirittura il quinto libro. Per adesso mi considero un dilettante. Quando la gente mi chiede che mestiere faccio io rispondo sempre, per prima cosa, "l'istruttore di ginnastiche dolci". Ovviamente le aspettative e le attese - soprattutto se il primo romanzo ha la grande fortuna di non passare completamente inosservato - in un certo senso ti carica di una responsabilità che tu volente o nolente immetti nella tua seconda opera. La mia grande fortuna è stata quella di cominciare a scrivere Nova almeno un anno e mezzo prima di vedere pubblicato Benevolenza cosmica. Mi ha dato una certa tranquillità. Mi rendo conto che se avessi cominciato in quel marasma che sono stati i mesi successivi all'uscita di Benevolenza cosmica forse non sarei stato così disinvolto nel nello scrivere questo romanzo.
Allora l'appuntamento è con il terzo romanzo, quando non avrai più esitazione a definirti scrittore.
Nel frattempo grazie mille, Fabio Bacà!
A Kurt O'Reilly non ne va bene una. Ma una, eh? Il medico cui si rivolge per un piccolo fastidio gli spiega, esterrefatto, che in tutti i casi conosciuti quel problema ha un esito nefasto - tranne che nel suo. I soldi investiti distrattamente non fanno che moltiplicarsi.
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