Avete letto bene.
Abbiamo intervistato l'autrice esordiente di cui tutti parlano.
La Malnata di Beatrice Salvioni è uscito in Italia il 21 marzo 2023 ed in contemporanea anche in Francia, Spagna, Grecia, Repubblica Ceca, Turchia, Bulgaria e, a breve, anche Stati Uniti e Germania. Già in traduzione in 32 lingue, si vocifera sia in cantiere anche una serie TV.
Una rivelazione letteraria che non potevamo di certo farci sfuggire.
Un’adolescente reietta, e una coetanea che impara a conoscerla per davvero, al di là di ogni pregiudizio. E che grazie a lei trova il coraggio di far sentire la propria voce, la propria verità. Un coinvolgente romanzo di formazione sullo sfondo di una provincia padana oppressa dal controllo, dal sessismo e dalla violenza del Ventennio.
Classe 1995 e fresca di Scuola Holden, Beatrice ha vinto nel 2021 il Premio Calvino nella sezione racconti inediti con l’opera Il volo notturno delle lingue mozzate.
Prima di parlarci della sua opera, ci ha confessato con emozione che esistono ben poche parole per definire cosa significhi per lei essere stata acclamata con così tanto entusiasmo, ma possiamo dire che gratitudine, entusiasmo e un pizzico di sano timore ci si avvicinano abbastanza.
Conosciamo insieme i personaggi di Maddalena e Francesca, protagoniste di una storia che porta con sé importanti temi: amicizia, lealtà, ribellione, discriminazione di genere, sessismo e violenza, in una cornice che è quella dell'Italia fascista.
Essere Malnati non è una condanna
Maremosso: La Malnata, ancor prima di uscire, è stato definito un vero e proprio caso letterario. Venduto e tradotto in 32 paesi, una serie TV già in cantiere… questo esordio non potrebbe essere più memorabile. Ci racconti il percorso che ti ha portata ad essere qui, oggi? E soprattutto, come ti senti?
Beatrice Salvioni: Sono sempre stata ossessionata dalle storie. Non ricordo di aver mai desiderato di poter fare nient’altro che esserne immersa a tempo pieno. (Tranne forse diventare un cavaliere, almeno fino ai sei anni quando mi hanno spiegato che andarsene in giro con spada e armatura non era più di moda. E che, essendo una femmina, al massimo avrei potuto fare la principessa che veniva salvata.)
Dopo i traumi collezionati negli anni di scuole gestite da suore ho affrontato studi classici che hanno aggiunto altri traumi legati, questa volta, alle versioni di greco, ma che hanno anche contribuito ad affinare il mio gusto letterario. (Fermo, fino a quel momento, perlopiù alle storie sui vampiri). Ero quella che la professoressa di italiano odiava perché consegnava temi lunghi almeno cinque fogli protocollo. Durante quel periodo ho scoperto l’esistenza della Scuola Holden. Ma sapevo di non aver letto abbastanza, di dover ancora maturare prima di iscrivermi.
Così ho scelto l’università che più mi sembrava adatta ai miei piani sul futuro; no, non si legge e, soprattutto, non si scrive abbastanza a filologia moderna. Ma, nel frattempo, ho incontrato insegnanti disposti a commentare le mie prime, imbarazzantissime, prove di scrittura. Ho accumulato libri riempiti di orecchie e frasi sottolineate (non odiatemi), ho imparato che una pistola che appare nel primo atto, nel terzo deve fare fuoco. Alla Scuola Holden ho trovato una casa e persone con cui poter parlare tutto il giorno di storie, dell’importanza dei dettagli, del diverso modo in cui cammina ogni personaggio.
Poi, nel marzo del 2020, per citare Bo Burnham: “...the funniest thing happened”. Ho perso mia nonna, mio padre, medico, ha preso il Covid. Non sarei riuscita a superare quel periodo senza le chiacchiere serali su zoom con i miei colleghi di scrivere B. Ho scritto, anche. Ho scritto tanto. Tra le altre storie ha cominciato a prendere forma anche La Malnata. Ho avuto poi la fortuna di incontrare tante straordinarie persone che se ne sono prese cura e che mi hanno permesso di pubblicarla. Come mi sento adesso: terrorizzata. Incredula. Grata. Spero solo di riuscire a essere all’altezza di tutti quelli che hanno creduto in me e nella mia Malnata.
MM: Dalla Scuola Holden a La Malnata… Come è nato questo romanzo? Da dove hai preso l’ispirazione per dare vita alla figura di Maddalena?
BS: Nelle mie storie racconto spesso di ragazze che fanno cose impossibili. Forse come rivalsa per le volte in cui mi sono sentita dire che sarebbe stato meglio se fossi nata maschio. Quando ero più piccola queste ragazze combattevano mostri o diventavano pirati.
Anche Maddalena e Francesca fanno qualcosa di impossibile: cercano di far sentire la propria voce in un mondo che vuole costringerle a tacere. Nelle prime fasi di progettazione della storia volevo che una di loro avesse un potere straordinario in grado di plasmare il mondo usando solo la propria voce. Poi ho capito che, per la storia che volevo raccontare, non serviva creare un mondo inventato, bastava guardarsi intorno, e non serviva inventare un potere, bastava il desiderio di farsi sentire. Ho voluto ambientare il romanzo durante il fascismo non perchè il mondo di oggi non basti per creare uno scenario in cui la voce dei più deboli venga messa a tacere, ma perchè credo che distanziare la vicenda ambientandola in un momento così buio della nostra storia in cui non contava nient’altro che la voce degli “uomini forti”, possa illuminare ancora meglio le terrificanti somiglianze con il presente.
I temi che mi sono cari come l’idea di cosa significhi essere donna, quanto è difficile diventare grandi e trovare la propria identità, il bisogno di far sentire la propria voce in un mondo che ti insegna a tacere, soprattutto se sei femmina, mi sembrano risuonare di più nel contesto degli anni 30. Sessista. Fortemente maschilista. Fascista. Per molti versi così spaventosamente attuale. Volevo due ragazze diverse tra loro, una delle due doveva essere il personaggio “catalizzatore”, che permettesse all’altra, più remissiva e impaurita, di scrollarsi di dosso le regole e le limitazioni che le erano state inculcate.
La Malnata è quello che siamo quando ci viene detto che non siamo conformi alla “norma” in cui la società vorrebbe incasellarci, è quella voce che ci dice di non vergognarci di far valere la nostra verità. La Malnata è la divergenza che viene additata, che fa paura e attira pregiudizi, accusata di portare maledizioni; ma in realtà incute timore perché, pur non essendo altro che una ragazzina, può portare alla luce tutte le storture di quel regime che la vuole ostracizzare. Proprio come quelle cinque ragazze iraniane che hanno danzato senza velo lo scorso 8 marzo, sfidando i divieti. Hanno dato loro la caccia, le hanno costrette a mostrarsi pentite. Quando qualcuno fa di tutto per farti tacere significa che ha paura di ciò che dirai.
Malnata è chi balla, chi alza la voce, chi racconta, nonostante paure e pericoli, la propria verità
MM: Altrettanto spazio lo merita Francesca, che ci racconta la storia dal suo punto di vista, a tal punto che potremmo definire lei per prima la protagonista di questo romanzo. Di origine benestante, sai dirci da dove nasce il suo bruciante desiderio di voler far parte, invece, di quel gruppo di “malnati”?
BS: Francesca è un cardellino in una trappola dorata. Sente istintivamente di essere incastrata nella propria vita, in un mondo di regole che non devono essere violate, di peccati che non possono essere commessi. Ma non potrebbe mai liberarsi senza l’aiuto di una forza esterna, dirompente e senza paura. Le è stato insegnato a rimanere in silenzio e chinare la testa, soprattutto perché femmina. È lei la protagonista perché è lei, grazie alla Malnata, a cambiare di più, a capire l’importanza della ribellione, il gusto della disobbedienza. Le due ragazze, però, influiscono entrambe l’una sull’altra. Maddalena insegna a Francesca a essere libera e, in cambio, impara a scrollarsi di dosso il senso di colpa che si porta dentro da tutta la vita.
MM: C’è una dovizia di particolari propri dell’epoca fascista che non possono fare altro che assorbire il lettore, catapultandolo in quell’atmosfera che oggi sembra così lontana, ma che non lo è poi davvero. Come sei riuscita a ricalcare così bene i contorni di un passato che non hai potuto vivere? Che tipo di studi ci sono stati dietro?
BS: Nei racconti della mia mitologia familiare il periodo del fascismo è spesso stato un po’ un buco nero, quasi fosse doloroso da affrontare, e ne riuscivo a cogliere solo stralci: mio nonno che, ridendo, mi diceva di come la sera sgattaiolava per le strade della città violando il coprifuoco e sfuggendo nel buio alle ronde di fascisti con il manganello pur di andare a trovare la sua morosa. O di mia nonna che mi raccontava di come, nonostante le bombe che puntavano alle linee ferroviarie, si siano intestarditi a fare il viaggio di nozze a Lecco perché “mica ci capita di sposarci un’altra volta.”
Esistono moltissime fonti per studiare l’epoca del ventennio, ma quello che mi interessava maggiormente era poter rievocare i particolari della vita comune, i rumori, i sapori e gli odori; la quotidianità è più difficile da trovare, spesso ci si concentra solo sulla grande Storia quella che, invece, le persone le fagocita e le appiattisce a meri spettatori che non possono fare altro che attendere che la tragedia finisca. Per fortuna ho potuto attingere da saggi, romanzi e, soprattutto, archivi di giornali dell’epoca. Tutto si è poi intrecciato con la cartografia della Monza vissuta da me bambina: la casa di mia nonna e il tragitto da lì fino in duomo, il fruttivendolo, i giochi pericolosi e le prove di coraggio che ci costringevamo a fare da ragazzini per vedere chi tra noi non era una “femminuccia.”
MM: Sono molti i temi che il romanzo conserva tra le sue pagine: sessismo, violenza, ribellione, coraggio. Quale messaggio vorresti che arrivasse a coloro che verranno a conoscenza di questa storia?
BS: Essere Malnati non è una condanna. Ma, soprattutto, non è mai da scontarsi da soli. Spesso è difficile difendersi da una società che ci vorrebbe incasellati in stereotipi pieni di limitazioni e di pregiudizi. Una sola voce fatica a farsi sentire, per questo è importante trovare alleati, costruire comunità, unirsi grazie a valori condivisi per difendere quello che è giusto.
Sanzioni e tabù sono tipici dell’educazione, soprattutto delle ragazze. Simone De Beauvoir diceva: “Donna non si nasce, si diventa”. Ci viene insegnato che il nostro corpo è da aggiustare, smussare, nascondere o mostrare a seconda di regole e divieti. Da giovanissime veniamo ammaestrate alla vergogna. Credo che ogni donna, cis o trans, sappia benissimo che portarsi addosso il proprio corpo sia una lotta continua. Sembra che il diritto di poterlo chiamare “nostro”, senza ingerenze esterne, senza commenti non richiesti, sia qualcosa da doversi conquistare. Ma una società patriarcale, che condanna le divergenze e definisce stereotipi, è un male per tutti, non solo per le donne perché cerca di convincerti che c’è un unico modo per essere “maschio”, ossia la forza e l’impermeabilità alle emozioni, e un solo modo per essere “femmina”, ossia la reticenza e la fragilità. La ricchezza, invece, risiede nella complessità, nell’autenticità. Vale sempre la pena essere sè stessi. Vale sempre la pena far sentire la propria voce.
MM: Un’ultima domanda, che siamo certi sarà l’eco di chi leggerà il tuo incredibile romanzo. Il modo in cui lo concludi non può che far sorgere un’incontenibile curiosità… Torneremo a sentir parlare di Maddalena e Francesca?
BS: Ti accorgi di aver bisogno di continuare una storia quando, dopo un po’ di tempo che l’hai scritta, i personaggi iniziano a mancarti. Quindi credo di sì.
Non vi resta che correre in libreria e conoscere coi vostri occhi La Malnata, l'esordio di Beatrice di cui - ne siamo sicuri - sentiremo a lungo parlare.
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