Per raccontare Napoli ci sono due strade: o ti metti a confutare uno per uno gli stereotipi, oppure semplicemente scegli di affacciarti alla finestra, e descrivere quello che vedi
Vedi Napoli e poi muori.
Ai personaggi dei romanzi di Maurizio de Giovanni capita un po’ troppo spesso, se si considera il tasso di criminalità e omicidi che tiene impegnati i bastardi di Pizzofalcone.
La vittima stavolta è Nando Iaccarino, meccanico dalle mani magiche capace di rimettere in sesto ogni motore, neanche fosse al centro di una canzone di Battisti. Un uomo mite, gentile, apparentemente senza nemici.
Ma con buona pace di Lucifero non c’è angelo che, prima o poi, non rischi di cadere.
“Perché Nando, come tutti, ha un passato” spiega de Giovanni “Possiamo erroneamente ritenerlo concluso, e invece fa ombra al futuro… anche se spesso lo dimentichiamo”.
Con Angeli per i bastardi di Pizzofalcone torna in libreria l’improbabile squadra di poliziotti imperfetti, irregolari e irrimediabilmente privi di scrupoli: ognuno di loro sta vivendo un momento difficile, increspato da angosce, dolori e segreti. Nessuno può fidarsi di nessuno, anche perché i capi della questura li aspettano al varco, e i bastardi sono fin troppo consapevoli che un solo passo falso potrebbe rivelarsi fatale.
Il nostro Pelo e Contropelo a Maurizio de Giovanni parte con il pretesto di chiedergli del suo nuovo libro, ma nella nostra intervista c’è molto di più. Si parla di teatro e capitalismo, del santo forse più caro ai napoletani dopo San Gennaro e del fortunato adattamento televisivo della saga dei “Bastardi” targato Rai1.
Ma prima la domanda delle domande: possiamo avere l’onore di offrire a Maurizio de Giovanni, napoletano DOC, il nostro miglior caffè?
Se proprio dovete infliggermelo… Io quando parto da casa metto una croce sull'argomento, consapevole che fino al mio ritorno non assaggerò più un caffè degno di questo nome
Lo scrittore schiva la nostra offerta con la stessa grazia e agilità con cui Neo schivava i proiettili in Matrix, convinto che quella di voler prendere un caffè a Milano non sia che “una divertente, eccentrica fissazione che per fortuna noi napoletani vi perdoniamo”.
Siamo costretti a credergli sulla parola, anche perché di sicuro il massimo esperto di cultura partenopea è lui: la Napoli che emerge dai suoi romanzi è sincera, viva e vibrante come un coro da stadio. E quando gli chiediamo qual è il modo migliore per cogliere lo zeitgeist della Campania di oggi senza cadere in nessuno stereotipo ci sentiamo rispondere che basta aprire la finestra e descrivere ciò che si vede, perché alla fine “è la scelta più realistica e vera”.
Anche perché Napoli sfugge a ogni gioco di incasellamento. La sua anima cangiante muta in base alla prospettiva dalla quale la si guarda, come spiega bene de Giovanni:
La realtà è che Napoli ospita tutti i punti di vista possibili: è corretto raccontarla come fa “Gomorra”, è corretto raccontarla come fa “L'amica geniale” … ed è altrettanto corretto raccontarla partendo dal centro storico, come faccio io con “I bastardi”, o ricostruendo la città in un'altra epoca, come ho fatto con la saga del commissario Ricciardi
Sempre a Napoli, sul palco del teatro Diana, è stato messo in scena lo spettacolo tratto dalla pièce firmata da Maurizio de Giovanni, Il silenzio grande, poi trasposto anche in forma cinematografica e presentato all’ultimo Festival di Venezia. Una pellicola nella quale emerge l’impronta registica di Alessandro Gassman, già protagonista della serie tv ispirata alla saga dei Bastardi.
“Non è stato il primo progetto che io e Alessandro portiamo avanti insieme, e di sicuro non sarà l’ultimo” promette de Giovanni “Sono convinto che ne seguiranno tanti altri”.
Se lo scrittore non si sbilancia sui pronostici per la stagione calcistica in corso (“non so di cosa parli”, risponde alla domanda), si sbottona invece volentieri quando gli chiediamo un ricordo di Maradona, al quale ha dedicato un toccante omaggio.
Scrivere un pezzo in suo onore è stato facile, perché in realtà lui non se n’è mai andato
In occasione del primo anniversario della scomparsa del campione, de Giovanni ha infatti scritto una lettera pubblica per ricordarne la figura. Un toccante in memoriam del quale ci sentiamo di riproporre un estratto sul finire di questa intervista:
Ti ci volle un attimo per decidere, con assoluta chiarezza, che avresti vinto per noi e che noi avremmo vinto con te. E se ci pensi adesso è strano, perché né tu né noi avevamo vinto mai: e tuttavia fu chiaro che da quel momento cambiava tutto, perché tu avevi trovato la tua aria e la giusta temperatura, e noi avevamo trovato il nostro capitano.
Perché se c’è una cosa che ci resterà, dalla conversazione che abbiamo avuto il piacere di fare con Maurizio de Giovanni, è l’importanza di prenderci cura di ciò che amiamo anche quando il suo ricordo può apparire sgualcito, come un abito passato di mano una volta di troppo.
Vale per i vestiti, ma vale anche per le persone. Perché alla fine, anche se viviamo in una società che spinge e preme e insiste per una continua bulimia d’acquisto e rinnovamento, ci sono alcune cose a cui restiamo legati anche solo per il valore affettivo che rivestono: un vecchio striscione, una maglia, un ricordo.
“Perché molte cose sono riparabili” conclude de Giovanni “basta un po’ di attenzione”
Altri pelo e contropelo
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