Arrivi e partenze

Il Sogno Bianco di Gabriele Romagnoli

Coloro che dicono: "Stanotte non ho sognato", mentono senza sapere di mentire.
Sogniamo sempre, ma molto spesso di quei sogni ci rimane solo un vago e inafferrabile ricordo: quelli sono i sogni bianchi.

Abbiamo intervistato Gabriele Romagnoli, editorialista di Repubblica e scrittore, in occasione del suo ultimo libro Sogno bianco che è un inno alla natura, quella natura temibile e imponente nella forma di un ghiacciaio, che sotto gli occhi di tre personaggi appartenenti a tre generazioni diverse, ne vedono la dipartita in un presente di grande cambiamento climatico

Sogno bianco
Sogno bianco Di Gabriele Romagnoli;

Un libro che illumina, in un presente scosso da mutamenti spaventosi, ciò che nel passato non abbiamo saputo vedere e quello che nel presente possiamo ancora salvare.

"Sogno bianco" è il tuo nuovo romanzo, pubblicato da Rizzoli. Credo sia la prima volta in Italia che qualcuno dedica interamente un romanzo a un ghiacciaio...

Io ho letto molto, in questi ultimi tempi: ho trovato storie ambientate in montagna che comprendevano il ghiacciaio, ma in nessuna di esse il ghiacciaio era protagonista assoluto...
Ci sono diversi personaggi, nel mio romanzo: ma uno tra questi è sicuramente il ghiacciaio. Credo sia un'esclusiva.

Questo romanzo tratta temi importanti e offre un "controcanto umano" alla profonda modificazione che è in atto nella natura; una modificazione che però, forse, non è troppo tardi per fermare. Come mai hai scelto di trattare questo tema attraverso la forma del romanzo?

È il tema dell'ambientalismo, della protezione dell'ambiente in generale. Qualche anno fa ero al festival di Mantova e c'era Jonathan Safran Foer che spiegava i danni che si fanno mangiando carne e tutti annuivano. Poi, usciti da lì, credo che - tantissimi, se non la maggioranza assoluta - sono andati in un ristorante e hanno ordinato il filetto.

Affrontare temi come questo in forma di saggistica è doveroso, ma secondo me finisce per avere un effetto "entro di qua, esco di là". Io penso che quando vuoi convincere qualcuno, spiegargli qualcosa, fai come con i bambini: fai un esempio. E qual'è l'esempio migliore? "Raccontami una storia".

La narrazione parte in quarta nel 1917, durante la Grande Guerra. Andrea pensa alla sua Maria e il ghiacciaio è il nemico. Il freddo è il nemico. È un momento di grande intensità drammatica, dal quale poi la vicenda prenderà le mosse. Attraverso il corso di un secolo, noi saremo testimoni dei cambiamenti della natura attraverso l'avvicendarsi delle generazioni.
Come hai tratteggiato i protagonisti umani, per così dire, del tuo romanzo in modo da dar più forza alla tesi che nel romanzo è contenuta?

L'idea di partenza era che il ghiacciaio è unico e nel tempo poi va riducendosi. Quando la storia comincia, nel 1917, il ghiacciaio della Marmolada ha uno spessore di oltre 50 metri, oggi inimmaginabile. Nel tempo verrà riducendosi fino a che - presumibilmente nel giro di 15-30 anni - si sarà sciolto completamente.

Ora, per accompagnare questo percorso del ghiacciaio era necessario non utilizzare uno sfondo, cioè un paese, una comunità o un luogo: ci voleva un personaggio che fosse in qualche modo l'avversario del ghiacciaio.
Una stessa persona, quindi... ma nell'arco di 120 anni non ci può essere un unico individuo!
L'espediente narrativo è stato mettere in scena tre generazioni di una stessa famiglia.

Il primo è il soldato del 1917, il secondo è il maestro di sci degli anni 70-80 e poi c'è la figura del futuro che porta lo stesso nome, avendo scelto un nome che può essere maschile o femminile, che è la donna che ci sarà quando invece il ghiacciaio non ci sarà più. Questo è quello che la narrativa può permettersi rispetto alla saggistica: immaginare e ambientare le storie in un futuro estremamente prossimo.

Il tempo stringe, quando si parla di climate change. A volte, però, quel che ci spaventa di più è che ci sono ancora dei margini di manovra. Noi, in quanto specie pigra e viziata da pregiudizi e dall'attaccamento alle proprie abitudini, non saremo comunque in grado di cambiare le cose nonostante i tanti campanelli d'allarme che sentiamo suonare ogni giorno. Sei d'accordo?

Credo che tutti, sotto sotto, preferiscano il fatalismo alla responsabilità e che se le cose sono irreversibili o se non sono controllabili, che ci possiamo fare noi? Io però credo che esista un margine di manovra e sono veramente convinto che basterebbero grandi gesti fatti da un numero limitato di persone o piccoli gesti fatti da un numero illimitato di persone per riuscire a fare qualcosa, se non a fermare, a "dilazionare" la catastrofe in atto. Ma a volte ci accaniamo per salvare una vita e non ci accaniamo per salvare il mondo. Questa è una grossa contraddizione.

Jonathan Gotschall sostiene che l'uomo è una creatura fatta di storie. Sarà anche per questo che, quando raccontiamo la storia di qualcuno cui si possa dare un nome, finiamo per affezionarci di più. Forse in questo senso il tuo romanzo è proprio un tentativo di rendere umano un protagonista che umano non è. Dare una voce al ghiacciaio. È così?

Assolutamente sì.
Ho tentato di contrapporre l'empatia che si può provare per un ragazzo di 20 anni che si sveglia sotto una coltre di ghiaccio, e l'empatia verso quella stessa coltre di ghiaccio che all'inizio ti sembra un gigante invincibile. Per riprodurre tutto questo sono andato a cercare i diari, le lettere, le impressioni, di questi ragazzi del '17 che provenivano anche da regioni dove non avevano mai visto la montagna... figuriamoci un ghiacciaio!
C'è poi il confronto con gli anni '70-'80, con gli sciatori e gli alpinisti, quelli che si divertono sulle spalle del ghiacciaio che si riduce e non fa più paura. Alla fine va addirittura scomparendo e la sua fine si accompagna alla fine di un essere umano.

Di questo passo, tra qualche tempo, potrebbe risultare difficile perfino volare su un semplice elicottero per andare in santa pace a prendersi un aperitivo sul ghiacciaio dell'Adamello...

Qui c'è il senso del titolo Sogno bianco, perché - come spiego - in psicologia sono quei sogni che noi sappiamo di aver fatto, senza ricordarli. Immagina una persona che prenda l'elicottero e venga portata su un punto della montagna per prendere un aperitivo in un rifugio...
Si siede, guarda e qualcuno dice: "Ma qui una volta c'era qualcosa". Ecco, di qui a 50 anni il ghiacciaio sarà come quel sogno che abbiamo fatto, ma non sappiamo chi c'era, cosa c'era che colore aveva quel sogno.
Sappiamo solo che c'è stato.

Forse però ci sarà ancora Instagram a farci vedere le foto degli influencer ai quali accennavamo prima...
Grazie, Gabriele. Hai raccontato una grande storia, che copre un intero secolo come il manto di neve copriva perennemente i luoghi di cui racconti...

Ho cercato di raccontare un secolo: una storia che non si può cancellare. Perché uno dice "ma cosa serve un ghiacciaio?". Be', è servito a tenere in piedi un ecosistema che senza di esso non ci sarà più. Difendere qualcosa non è superfluo, soprattutto qualcosa che ha costruito nel tempo una bellezza e una risorsa, e le due cose messe insieme sono un incrocio quasi magico.

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