Arrivi e partenze

Spilli, l'esordio di Greta Olivo

Immagina di essere un giovane scrittore alle prime armi.

Entri in contatto con un agente a cui piace la tua idea, butti giù il romanzo che sembra essere apprezzato… poi Einaudi lo pubblica, e scopri che presto il frutto del tuo lavoro sarà in tutte le librerie. È nato come un’idea, è diventato un libro in “carta e ossa” intitolato Spilli, e lo scrittore del quale hai vestito i panni è in realtà una giovane esordiente di nome Greta Olivo.

Spilli
Spilli Di Greta Olivo;

La nostra vita è costellata di linee d’ombra. Alcune le superiamo quasi senza accorgercene, altre invece rimangono lì per sempre, invalicabili, a ricordarci che abbiamo paura. E se c’è un’età in cui la paura spinge più forte, piena di desiderio, rivoluzioni e soglie da attraversare, è l’adolescenza.

Gli spilli del titolo sono le lettere che ogni persona affetta da miopia è abituato a (non) vedere durante la consueta visita oculistica. Le lettere in questione, sul cartellone a sfondo luminoso, diventano sempre più piccole, fino a ridursi a minuscole capocchie che il paziente prova a indovinare, nel maldestro tentativo di azzeccare almeno una vocale o una consonante dell’alfabeto.

La protagonista di Spilli, che conosciamo bambina (nella prima parte) e ritroviamo adolescente (nella seconda parte del romanzo), si chiama Livia e fin da piccola, appunto, soffre di una forte miopia che la costringe a indossare degli ingombranti occhialoni. In attesa di crescere per poter portare le lenti a contatto, scopriamo però che non si tratta solo di un calo della vista ma di una rara malattia che progressivamente rende ciechi.

Nella vita già complicata di un adolescente alle prese con i primi anni del liceo, il primo amore, i compiti e via dicendo, la retinite pigmentosa giunge come un macigno, un ostacolo insormontabile che limiterà sempre di più il campo visivo di Livia, costringendola al buio e all’isolamento. La paura di non farcela e di privare di ogni significato le esperienze a venire (dal motorino, alle occupazioni a scuola, dallo sport alle feste) sono più che umane: Livia inizialmente rifugge ogni riferimento, evitando di parlarne con compagni o familiari. Col tempo e l’aiuto di un centro per non vedenti, imparerà però a memorizzare, catalogare, toccare e annusare, inseguendo man mano quella luce che affievolisce ogni immagine, per restare ricordo. È un passo verso la crescita, ma anche verso la maturità e l’indipendenza, prima dagli altri, poi dalla paura di non farcela e di non vivere una vita pienamente.

La scrittura di Greta Olivo è chiara, limpida nel suono e nello stile, soprattutto priva di ogni tipo di retorica. Dopo le nostre interviste ad altre scrittrici esordienti, da Beatrice Salvioni con La Malnata (Einaudi), a Stefania Spanò con Nannina (Garzanti), o Monica Acito con Uvaspina (Bompiani), torniamo a conoscere il primo romanzo di una nuova scrittrice attraverso le sue stesse parole.

E io volevo trattenerla la luce, anche se a pensarlo mi sentivo stupida. Volevo trovare la soluzione per conservarne almeno un pochino, così che il mondo non scivolasse via.

Maremosso: Giovane scrittrice, appena esordiente… chi è Greta Olivo? Raccontaci chi sei, da dove vieni e soprattutto, da dove deriva la passione per la scrittura.

Greta Olivo: Ho trent’anni e vengo da Roma, dove vivo da sempre (a parte una parentesi torinese durata tre anni). A Torino ho frequentato il master della Scuola Holden, poi ho lavorato come babysitter, come segretaria in una scuola di danza, e in un’agenzia letteraria. Da piccola leggevo molto, con quella passione totalizzante e pura che si può avere solo da ragazzini. Quando poi sono diventata grande, dopo qualche incertezza e prendendo molto coraggio, ho deciso che avrei provato a scrivere.

MM: Come nasce il tuo rapporto con Einaudi? E come ci si sente a sapere il proprio libro pubblicato da un editore tanto blasonato?

GO: Circa due anni fa ho conosciuto la mia agente. Le ho parlato dell’idea che mi frullava in testa da qualche tempo, le è piaciuta, e da lì ho iniziato a scrivere il romanzo che poi sarebbe diventato Spilli. Arrivata a poco più della metà, l’abbiamo mandato ad alcune case editrici, c’è stata un’asta e alla fine abbiamo scelto Einaudi. Sembra fin troppo semplice, ma in effetti è andata proprio così. In questi due anni ci sono stati molti momenti emozionanti, ma quello che ricorderò sempre credo sia stato quando ho scoperto che avrebbero pubblicato Spilli nella collana dei Supercoralli. Ho dovuto richiamare la mia agente per chiederle se avessi capito bene.

MM: … e adesso, entriamo nel romanzo! Quando e dove nasce la storia di Livia?

GO: Mio nonno materno era un uomo cieco per motivi che non hanno niente a che fare con la malattia di Livia, e aveva anche un carattere che definirei, usando un eufemismo, “difficile”. Per anni sono stata ossessionata da questa figura, anche se non ne afferravo bene il motivo. Tanto che per il progetto finale alla Scuola Holden, insieme alla sua badante, era diventato il protagonista di un tentativo di romanzo.

Poi ho abbandonato quel progetto, e dopo tre anni (durante i quali non ho scritto quasi nulla) sono riuscita a capire la ragione della mia fascinazione verso mio nonno: prima di diventare cieco era molto miope, una miopia grave che io sono stata l’unica a ereditare in famiglia. Dentro di me - ma questo, appunto, l’ho capito solo dopo un po’ di anni - deve esserci sempre stato da qualche parte il sospetto che insieme alla miopia avessi ereditato anche quel carattere ostile, la chiusura verso il mondo, l’incapacità di reagire ai traumi in modo costruttivo. Scrivere questo romanzo è stato a tratti un modo per indagare questo dubbio.

Avevo creduto [...] che la sua vita si limitasse a quello che vedevo io, che fosse tutta racchiusa lí, insieme a me e agli altri. Superava invece le mura del centro e si estendeva oltre Roma e i ciechi e i nostri esercizi interminabili con il braille

MM: Nei ringraziamenti, citi il racconto di Anna Maria Ortese, Un paio di occhiali, dove si parla di una bambina che soffre di problemi alla vista… in che modo il limite con cui deve fare i conti ne plasma il carattere (o la rende più interessante come personaggio)?

GO: In Un paio di occhiali la bambina protagonista, grazie alla correzione della miopia, si rende conto improvvisamente della miseria in cui vive. Il quartiere che per anni è stato per lei sfocato, si rivela in tutta la sua scoraggiante realtà. In questo modo diventa grande, è un passaggio forte verso la consapevolezza. Per Livia avviene lo stesso, ma al contrario. Soprattutto in età adolescenziale, quando è fondamentale vedere tutto ed essere visti (e da questo, da quanto siamo stati invisibili da adolescenti, dipende spesso il modo in cui ci percepiamo poi anche da adulti), il fatto che Livia sappia di dover perdere la vista la porta a rincorrere la luce, a riflettere su cosa in fondo sia importante per lei, a leggere il mondo intorno a sé secondo nuove categorie, che solo lei può decidere. È un percorso verso l’indipendenza, anche, la possibilità di percepirsi autosufficiente e intera, a prescindere da quanto spesso attiri lo sguardo altrui.

MM: Parlaci di Livia, della sua famiglia, dei suoi compagni: a chi ti sei ispirata per la caratterizzazione della protagonista, di Morena, di Lorenzo…? E soprattutto, quanto di te hai travasato dentro Livia e – più in generale – in Spilli?  

GO: Mentre per la parte ambientata nel centro ho dovuto, in un certo senso, inventare tutto di sana pianta, per quella che riguarda gli affetti di Livia, compresi i suoi compagni di classe, ho pescato a piene mani dalla mia vita personale. Lorenzo, Morena, Daniele e gli altri non sono ispirati a nessuno in particolare, ma sono un collage di molte persone che ho osservato mentre ero adolescente e dopo, a cui ho voluto bene o male. Ci sono anche io, in ognuno di loro, anche più di quanto non sia presente in Livia. Per me lei è in un certo senso una versione evoluta di me stessa, quello che avrei voluto essere alla sua età.

MM: Spilli riporta il lettore al tempo delle superiori. Alla difficoltà di assumere un punto di vista adolescenziale, si aggiunge quella di una malattia che progressivamente rende cieca la protagonista: qual è stata la difficoltà più grande, nel parlare di adolescenza e di malattia mantenendo in equilibrio i due binari?

GO: Per la parte della cecità ho fatto molta ricerca: per due anni ho frequentato il centro Sant’Alessio, a Roma, un luogo d’eccellenza che accoglie persone cieche e ipovedenti. Era molto importante per me che i sintomi e il decorso della malattia fossero credibili, che non commettessi errori grossolani. La difficoltà maggiore è stata probabilmente quella di descrivere un’adolescenza romana (raccontata in lungo e in largo da cinema, letteratura, serie TV), provando a non ricadere nei soliti cliché. In questo, la situazione peculiare di Livia mi ha molto aiutato: tutto quello che le succede, anche se tipicamente adolescenziale, deve sempre passare dal suo filtro personale, da quello che le sta accadendo agli occhi e alla vista. La sua malattia, il lento declino verso l’oscurità, è stata per me durante la scrittura un filo rosso. L’occupazione scolastica, il rappresentante d’istituto che la riaccompagna a casa in motorino, i primi tentativi di ribellione, tutti i passaggi verso un’età più adulta, sono anche gli ultimi momenti in cui Livia vede il mondo in modo canonico, con i suoi occhi.

MM: All’interno del romanzo, oltre ai primi scontri con l’amore, le nuove amicizie, i compiti a scuola, corre in filigrana il tema dello sport. Sei una patita dell’atletica?

GO: No, per niente. Cioè, mi piace guardarla quando ci sono le Olimpiadi e da ragazzina correvo anche io allo Stadio dei Marmi, ma con dei risultati assolutamente mediocri. L’ho detto, no? che Livia è quello che avrei voluto essere io alla sua età…

MM: Per concludere, passiamo alle tue influenze letterarie: quali sono gli scrittori che ti ispirano? Quali quelli a cui ritieni più vicino il tuo modo di scrivere?

GO: Non so chi sia più vicino al mio modo di scrivere, ma so sicuramente chi mi ha fatto pensare che questa roba della scrittura fosse una magia che mi sarebbe piaciuto replicare. Paul Auster, Peter Cameron, Miriam Toews, Agota Kristof, Lalla Romano, Veronica Raimo, i primi che mi vengono in mente. Da piccola impazzivo per Eoin Colfer, Astrid Lingdren e Roald Dahl, compresi i suoi racconti cattivissimi.

 

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