Vincenzo Visco è una persona affabile.
Conversando con lui, nulla lascia intuire la natura "vampiresca" che gli venne attribuita ai tempi in cui - ministro delle finanze nel Governo Prodi - varava una riforma fiscale i cui effetti positivi ancora oggi vengono riconosciuti. Visco è in realtà un economista di grandissima competenza, che ha legato al suo nome alcuni degli interventi strutturali più importanti dell'ultimo quarto di secolo.
Riconoscendo che uno dei mali sistemici da cui l'economia del nostro Paese è affetto è sempre stato il rapporto fra cittadinanza e contribuzione, Visco insiste sul rapporto dialettico e necessario fra pagamento delle tasse e corretto funzionamento del welfare. Ecco perché il libro che ha scritto con la giornalista Giovanna Faggionato, La guerra delle tasse (pubblicato da Laterza nella collana Tempi nuovi) è un utilissimo portolano per capire come il feroce modello neoliberista che ha attecchito in tutto il mondo negli ultimi quarant'anni sia foriero di disuguaglianze disastrose.
Abbiamo raggiunto Visco per farci raccontare qualcosa del suo libro, ricco di informazioni elargite con grande chiarezza espositiva.
Ne è risultata una conversazione che siamo felici di proporre ai lettori di Maremosso, nella speranza di offrire a tutti una riflessione sulla necessità di "seppellire l'ascia di guerra", quella guerra dichiarata alle tasse che è ora di lasciarsi alle spalle per potersi dire, nuovamente, cittadini.
Buona lettura!
Da trent’anni si combatte una guerra, sotterranea e non dichiarata, dagli effetti devastanti: la guerra delle tasse. Vincenzo Visco, ex ministro del Tesoro e maggiore esperto di questioni fiscali in Italia, ce la racconta e spiega perché ora è il momento di cambiare strada
Maremosso: Professore, che noi italiani siamo un popolo dal rapporto travagliato con le imposte, è cosa nota. Ma di lì a pensarci addirittura "in guerra con le tasse" ce ne corre! Eppure lei è molto chiaro e nel suo libro sostiene che da trent'anni è in corso una vera e propria guerra. Ci spiega meglio?
Vincenzo Visco: Quella guerra non riguarda solo l'Italia, è una guerra che riguarda tutto il mondo occidentale ed è un conflitto distributivo, essenzialmente.
Dagli anni '80 del secolo scorso si è creato - più o meno artificialmente- un "clima anti-tasse", uno scontro su quello che bilanci pubblici dovrebbero o non dovrebbero fare.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, tutte le economie occidentali hanno optato per un modello in cui c'era un'alta tassazione che serviva a finanziare un welfare molto diffuso, universale, e quindi venivano garantite ai cittadini istruzione per tutti, la sanità, la previdenza, oltre a beni pubblici come l'ordine pubblico, la difesa nazionale, la giustizia, eccetera… e per fare questo furono appunto aumentate sensibilmente le imposte. Prima della Seconda Guerra Mondiale la pressione tributaria nei nostri paesi era intorno al 20% e nei primi decenni dopo la guerra è passata al 40%, anche al 50%.
In cambio, appunto, c'è lo sviluppo dello Stato Sociale… e questo era qualcosa che le classi abbienti non tolleravano molto. Lo subivano, perché c'era necessità di pace sociale, c'era la concorrenza dei partiti di sinistra, c'era la guerra fredda, l'Unione Sovietica… Insomma, si viveva un contesto che portava ad accettare questa situazione. Venute meno queste preoccupazioni negli anni '80, con il modello Thatcher, si mette in discussione esattamente l'equilibrio che era stato raggiunto. Dopo quei governi comincia a comincia un'altra narrazione, per cui l'intervento dello Stato sull'economia viene contestato in modo sistematico.
Si va verso politiche di privatizzazione, liberalizzazioni, c'è la globalizzazione e il sistema fiscale viene considerato come oppressivo… e quindi si dice "dobbiamo ridurre le tasse, ridurre la spesa pubblica".
Ma la spesa pubblica è fatta in buona misura e in tutti i paesi dalla spesa per il welfare e quindi la guerra è questa ed è ancora in corso: un conflitto distributivo su chi deve pagare e chi deve beneficiare dei servizi pubblici.
Maremosso: Il suo libro è ricco di aneddoti. Su tutti, ne citerei uno che è quello con cui lei introduce la deriva che ci ha appena raccontato. Un momento di svolta verso una concezione violentemente neoliberista - soprattutto in America - viene fatto risalire al momento in cui un consulente di alcuni presidenti disegna sulla tovaglietta di un ristorante un'equazione: una curva che è importante per capire ciò di cui poi andremo a parlare. Qual è il senso della curva di Laffer?
Vincenzo Visco: La cosa è molto semplice. Laffer fece un disegno mentre era al ristorante assieme a politici americani. Nel disegno era esposto il suo ragionamento, che è più o meno questo: se l'aliquota sul reddito è zero, quant'è il gettito? la risposta è ovviamente "zero". Ma poi lui andava avanti: se l'aliquota cresce e arriva al cento per cento - se tutto quello che viene prodotto, cioè, viene confiscato dal fisco - qual è il gettito?
La risposta è ancora zero, perché in questo caso nessuno lavorerebbe più. Quindi - sostiene Laffer - fra questi estremi c'è una sorta di curva a campana, per cui man mano che le tasse vengono aumentate, aumenta il gettito. Poi il gettito arriva a un massimo, per cominciare subito dopo a decrescere fino - appunto - a tendere verso zero. Laffer - che era a pranzo con due uomini politici potenti - sosteneva che noi ci troviamo ora nella parte discendente di questa curva a campana per cui, riducendo le tasse, negli Stati Uniti, il risultato è che il gettito, invece di ridursi, aumenta.
Naturalmente, se uno spiega a un politico che lui può ridurre le tasse e aumentare il gettito, quello si entusiasma e magari ci crede anche…
Solo che poi è stato dimostrato in modo scientificamente corretto che l'effetto Laffer comincia a verificarsi a livelli di tassazione altissima, superiori al 70%.
E dato che nessun paese arriva a quei livelli, l'effetto Laffer non si verifica. E infatti la presidenza di Reagan è ricordata per aver determinato un buco di bilancio molto consistente.
Però dietro a tutti i discorsi sulle Flat Tax e cose del genere, c'è quella convinzione: se riduco le tasse ripartono i consumi, aumentano gli investimenti, eccetera... e crescendo il reddito, aumenta il gettito fiscale e non si ripercuote sui proventi per l'erario, che anzi sono incrementati. E questa è una fake news.
Maremosso: I consumi non ripartono. È lei che denuncia, in linea con le previsioni pessimistiche del Fondo Monetario Internazionale e di Bankitalia, una probabile flessione dell'economia italiana nel prossimo periodo, a dispetto di una riforma fiscale che è stata annunciata dal governo in carica come "copernicana". Mi par di capire da quel che ho letto che lei non è perfettamente d'accordo, però. Ci dice quali sono, a suo avviso, i punti deboli della proposta di riforma avanzata dal governo Meloni?
Vincenzo Visco: Questa delega io l'ho definita poco interessante e poco utile.
Manca di una visione complessiva, cosa che invece sarebbe oltremodo necessaria. Non c'è un modello organico, non si capisce quale tipo di sistema fiscale vogliono.
Anzi, si va verso una ulteriore disgregazione di un sistema già disgregato e verso forme di corporativizzazione delle imposte, per cui ogni cespite, ogni contribuente, ha la sua aliquota, ognuna diversa dall'altra.
Quindi è un sistema privo di ogni interesse scientifico, accademico o anche semplicemente logico. E poi è poco utile perché non serve a risolvere i problemi che ci sono nel fisco di oggi, in particolare in quello italiano. Per esempio, quello che sta succedendo nel mondo, in questi ultimi decenni, è il fatto che i sistemi tributari tradizionali basano il prelievo principalmente su due cespiti, che sono l'imposta sul reddito e i contributi sociali.
Tutti e due gravano prevalentemente - se non esclusivamente - sui redditi da lavoro e si dà il caso che negli ultimi trent'anni il reddito di lavoro, che un tempo rappresentava il 65-70% del reddito prodotto ogni anno, oggi abbia perso molto peso e a stento raggiunge il 50%.
Quindi non c'è da meravigliarsi se i sistemi fiscali sono in crisi, in quei paesi. E allora il problema è come allargare le basi imponibili, come ridurre il prelievo sul lavoro, come aumentare contestualmente il prelievo su altre fonti di reddito… ma di tutto questo nella delega non c'è traccia, anzi: il problema non viene non viene neanche neanche affrontato. E poi si potrebbe continuare: uno dei principali - anzi, il principale problema del fisco italiano - è l'evasione di massa. E allora su questo si fanno degli enunciati - che sono anche giusti, come quello sulla necessità di usare tutte le banche dati disponibili - dopodiché si scopre che queste banche dati si applicherebbero eventualmente a una minoranza di soggetti per i quali poi è previsto un concordato preventivo biennale per cui ci sarebbe un accordo su quanto devono pagare per i due anni successivi... e quindi viene vanificato di fatto il contrasto all'evasione.
Teniamo presente che già adesso, dopo la finanziaria ultima, noi abbiamo un sistema forfettario che riguarda la stragrande maggioranza di lavoratori autonomi che sono poi quei soggetti che in base ai dati rappresentano fra il 65 e il 70% del lavoro e nonostante questo, sul restante 30, 35% che viene dichiarato è assicurato un regime forfettario molto favorevole con un'aliquota del 15%, quindi non c'è da meravigliarsi se poi i dati dicono che l'80-90% del gettito dell'IRPEF deriva da lavoratori dipendenti o da pensioni. Insomma, queste sono le questioni del fisco italiano che non vengono esaminate, anzi vengono esorcizzate. Nascoste.
Maremosso: L'ultima grande riforma fiscale fu battezzata da lei più di vent'anni fa. Quella riforma poggiava quindi su una condizione peculiarmente diversa da quella odierna. Cosa bisognerebbe fare, oggi? Da dove bisognerebbe ripartire?
Vincenzo Visco: Bisognerebbe ripartire ponendosi l'obiettivo di sanare i guasti che sono stati fatti in 25 anni… che poi sono inevitabili: ogni sistema subisce incursioni lobbistiche, interventi spot disorganici, eccetera… e quindi c'è da fare una risistemazione dell'intero sistema. È quello che aveva tentato in certa misura - limitata, peraltro - il governo Draghi che aveva a sua volta proposto una misura la quale prevedeva delle forme di razionalizzazione che potevano andar bene, almeno da un punto di vista sistematico e logico. Quella riforma è stata affossata, essenzialmente fu la Lega a farla saltare. E adesso la Lega, insieme alla nuova maggioranza, ha un altro modello, un'altra visione: quella di frantumare ancora di più il fisco e fare interventi a favore dei propri elettori in maniera esplicita, senza preoccuparsi del fatto che questo possa non esser equo, giusto o efficiente. Perché se c'è distorsione nel sistema, anche il funzionamento dell'economia poi ne viene danneggiato. Se, per esempio, se su ogni prodotto finanziario ho un aliquota diversa, significa che il risparmio non va verso gli impieghi più produttivi, ma va verso gli impieghi meno tassati - che non sono necessariamente migliori - quindi ci sono una serie di effetti negativi che non si vogliono neanche affrontare.
Maremosso: Lei ha detto che Draghi avrebbe avuto bisogno di dieci anni e non dei pochi che ha avuto a disposizione, ma ha aggiunto che il compito che lo avrebbe atteso sarebbe stato comunque improbo.
Nel capitolo che il suo libro dedica a Draghi si fa cenno a un patto nascosto… Ce ne dice qualcosa in più?
Vincenzo Visco: L'Italia ha le sue peculiarità, al di là delle tematiche su come dovrebbero essere costruiti i sistemi fiscali: tematiche generali, che valgono per tutti i paesi.
In Italia ci portiamo appresso dal dopoguerra questo problema: abbiamo avuto sempre un meccanismo politico che ha portato all'esenzione o al trattamento privilegiato dei redditi tipici delle classi abbienti.
Quindi redditi da capitali, profitti societari, redditi dell'agricoltura, e redditi immobiliari… tutti questi hanno sempre beneficiato di un occhio di riguardo. Nello stesso tempo c'era bisogno di sviluppare un sistema di welfare e quindi l'imposizione sul lavoro, fra tasse e contributi sociali, è crescita molto. In cambio cosa c'era? C'era un patto implicito per cui i lavoratori dipendenti avevano un welfare più esteso di altre categorie, le quali invece avevano meno tasse e libertà di evasione. Insomma, questo è stato il patto implicito che oggi bisogna rompere assolutamente. Io penso che non sarebbe difficile ottenere questo, anche a livello di consenso politico, perché siamo arrivati a un punto di trattamento discriminatorio, diseguale, arbitrario, inefficiente… insomma, la cosa è talmente evidente che ci sarebbe un consenso.
Si tratta di vedere se si trova una forza politica che è disposta a farlo, certo. Ma secondo me prenderebbe un sacco di voti.
Maremosso: Evasione ed erosione sono da sempre le bestie nere per qualsiasi governo: è veramente difficile attuare un sistema culturale, prima ancora che giuridico capace di contrastare efficacemente il fenomeno dell'evasione e quello dell'erosione fiscale. Perché?
Vincenzo Visco: Perché gli evasori votano e sono tanti.
Sono alcuni milioni di voti e quindi i partiti politici sono molto sensibili. Inoltre ci sono le lobby, cioè le attività propagandistiche, c'è una pressione sistematica che racconta una realtà completamente diversa.
Soprattutto, è stata recisa ogni consapevolezza del rapporto che esiste tra le tasse e l'impiego che delle tasse viene fatto.
La gente vorrebbe pagare meno tasse, ma nello stesso tempo protesta perché - ad esempio - la sanità italiana attraversa una fase di crisi gravissima e vorrebbe più spese sanitarie, perché non accetterebbe mai che i propri figli non andassero più a una scuola gratuita, perché gli italiani tengono alle proprie pensioni…
Insomma, il problema è spiegare bene a cosa servono le tasse: non è un arbitrio esercitato perché c'è "qualcuno che si diverte a tassare"...
È un modo con cui si tiene insieme una collettività su obiettivi condivisi. Quindi bisogna rendere espliciti questi obiettivi e chiedere una altrettanto esplicita condivisione, dopodiché si vedrà che quelli che non sono d'accordo sono essenzialmente una minoranza di ceti abbienti o evasori fiscali. Ma, appunto, sono una minoranza.
Maremosso: Professore, a che punto siamo col PNRR? Ci prepariamo a spendere bene quei soldi? Oppure siamo in alto mare? Come siamo messi, insomma?
Vincenzo Visco: Non ci sono informazioni sufficienti per capire quello che sta succedendo.
Quando fu varato il PNRR e arrivarono tutti questi soldi io, personalmente, feci delle valutazioni di grande scetticismo, perché chiunque abbia avuto a che fare con la nostra pubblica amministrazione e soprattutto col nostro sistema normativo (e in particolare col diritto amministrativo e con la giurisdizione amministrativa cioè TAR e Consiglio di Stato) sa che da noi è molto difficile spendere. Ci sono ostacoli fortissimi. Quindi io mi auguro che si riesca a spendere quello che si deve spendere, altrimenti sarà un disastro per tutti. Mi pare che il governo, in questi mesi, si sia comportato come se non fosse consapevole della situazione, salvo poi - a un certo punto - trovarsi con questi ritardi… Speriamo riesca a colmarli: c'è l'interesse di tutti. E speriamo si riescano a fare e queste opere per le quali, peraltro, all'inizio mancavano i progetti, mancavano le capacità esecutive… insomma siamo in un bel guaio. Speriamo di venirne fuori.
Maremosso: ... speriamo! Grazie mille, Professor Visco. Arrivederci al prossimo libro.
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