L’eredità del pensiero di Giuseppe Mazzini è stata rivendicata legittimamente da molte parti spesso irreducibilmente opposte l’una all’altra. Non solo nel vasto arco del pensiero democratico, ma anche oltre quel campo.
Come ci ha ricordato anni fa lo storico Simon Levis Sullam, il pensiero di Mazzini è stato rivendicato o rivisto da più parti: da Francesco Crispi a Gaetano Salvemini, da Benito Mussolini ad Antonio Gramsci. Soprattutto emblematicamente dalle due icone opposte: Gaetano Salvemini, emblema del pensiero democratico e irreducibilmente antifascista, e Giovanni Gentile, il “filosofo in camicia nera” che nel 1923 rivendica al fascismo Giuseppe Mazzini insieme a Vincenzo Gioberti come “profeta della nuova Italia” e su quel binomio costruisce gran parte dell’immaginario italiano del Risorgimento per costruire l’ «Italiano», come storia e come rappresentazione, ovvero l’immagine di una società che è anche la costruzione di un'identità culturale.
Scelgo tre scatti fotografici, che corrispondono anche a tre diversi momenti del suo lungo apprendistato politico, caratterizzato da solitudine e intransigenza (un tratto che anni fa Mario Martone non aveva mancato di cogliere nel suo film Noi credevamo)
Tre ragazzi del sud, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, maturano la decisione di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese come saranno tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche. Sullo sfondo, la storia più sconosciuta della nascita del paese, il Risorgimento, i conflitti implacabili tra i "padri della patria", l'insanabile frattura tra nord e sud, le radici contorte su cui sì è sviluppata l'Italia in cui viviamo.
Il primo scatto è a Pisa, è la scena della morte. Riguarda i mesi che precedono la morte di Mazzini in clandestinità in casa della famiglia Nathan (i nonni materni di Carlo e Nello Rosselli). Mazzini, come lo ha ricostruito Nello Rosselli nel suo Da Mazzini a Bakunin è clandestino in patria, ma soprattutto è un uomo che deve prendere atto della sua sconfitta. Mazzini è consapevole che la sua battaglia è perduta, senza possibilità di appello. Non molla, ma sa che il suo tempo è finito e che si tratta di ricominciare daccapo. Così lo descrive Bakunin – la figura che in quel momento gli contende l’egemonia nel movimento rivoluzionario in Italia. In una lunga lettera a Celso Ceretti, a lungo inedita (l’originale manoscritto si trova in Fondazione Giangiacomo Feltrinelli) il rivoluzionario russo rende l’onore delle armi a Mazzini, raccontando del suo sogno di rivoluzione democratica, della sua irriducibilità e della sua etica politica. Un confronto che dieci anni dopo si riproporrà nello scontro con il giovane movimento socialista: questa volta il ruolo del superato del suo tempo toccherà ai «figli di Bakunin». I fratelli Taviani lo renderanno nel 1972 con il film San Michele aveva un gallo
Il secondo scatto è all’altro capo dell’esistenza politica di Mazzini. Siamo nel 1832, Mazzini sta per fondare la «Giovine Italia» e nello statuto inserisce la clausola che possono entrare nell’organizzazione solo coloro che abbiano meno di 40 anni. C’è da un lato la convinzione che il Risorgimento dell’Italia sia possibile solo se si sintetizza nella lotta tra generazioni, ovvero «giovani» contro «vecchi» (un paradigma che a lungo ha fatto la fortuna di Mazzini, anche oltre la sua morte), ma non è solo questa la motivazione che lo spinge a mettere questa “barriera” legata all’età. Ricostruire la «nuova Italia» e farla giovane, vuol dire soprattutto pensare il futuro a partire da un proprio paradigma: pensare la rivoluzione senza legami con le rivoluzioni del Settecento (quella americana e, soprattutto, quella francese) e progettare il futuro a partire dall’idea che dal passato non si eredita niente. Un’immagine che di nuovo ha molta fortuna nell’immaginario di destra e di sinistra, che è propria di tutte le espressioni politiche che si pensano e si accreditano come «nuove».
Il terzo scatto si colloca tra il 1847 e gli anni ’50 a Londra, dove Mazzini vive da un decennio e che simboleggia la necessità di ripensare una nuova idea di Europa su cui egli riflette a cavallo del 1848 sullo slancio e sull’onda della rivoluzione democratica che sembra avviarsi e poi nel 1849 dopo la fine del processo rivoluzionario, quando tutti i rivoluzionari europei, come Marx e Herzen, ma anche Carlo Pisacane, i rivoluzionari francesi e i democratici polacchi e ungheresi si ritrovano a Londra a tentare di mettere in piedi una qualche idea di futuro. Ogni comunità, come le realtà di esilio che si originano dalla sconfitta, vive separatamente, ma a un certo punto, nel 1851, si tratta di cominciare a parlarsi perché l’Europa di domani, che ciascuno di loro sogna pensando a “casa propria”, si può fare, forse, solo se si pensa “Europa”, ovvero se si va oltre il proprio luogo di nascita, o la propria patria, e si pensa mondo.
Non è forse così anche per noi ora?
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