Illustrazione di Zofia Dzialkowska, 2023, studentessa del Triennio in Graphic Design e Art Direction, NABA, Nuova Accademia di Belle Arti
Ogni nuovo anno compro un’agenda e la compilo tutta. Ci scrivo ricorrenze, compleanni, anniversari. Date che non voglio scordare. Arrivo al 27 gennaio, ci scrivo accanto «Giornata della Memoria» e continuo a compilare. Non mi soffermo, è un automatismo.
Eppure mi è capitato di riprendere in mano Il sistema periodico di Primo Levi (di cui potete anche leggere la nostra recensione qui): cercavo altro, lontano da quello che sto scrivendo ora. Ma mi sono sentita pungere nel vivo, a un certo punto. Ho pensato alla mia agenda e mi sono chiesta se, in fondo, oltre a questo – a una piccola scritta – potessi fare altro. E mi ha fatto rabbia pensare di averla scritta lì, sparsa nel resto, senza fermarmi davanti al foglio – lì, fra le cose che segno per non perderle. Con il rischio di dimenticarle.
Primo Levi ha scritto un racconto intenso e bellissimo, Ferro, in cui delinea la figura di un suo caro amico, Sandro Delmastro, ucciso dai fascisti nel 1944. E si chiude così:
Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie. Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.
Ho pensato alle parole che in ogni momento mastichiamo. Parole come dolore, perdita, guerra, ideologia. Le impastiamo di saliva e poi le sputiamo via. Non c’è il tempo per far sì che vengano digerite. E se non sono le nostre, sono quelle di altri – ne siamo così assuefatti che diventano sottofondo, abitudine, indifferenza. Ho pensato alle mie, a quelle con cui lavoro ogni giorno, al peso che – ancor di più in giorni come questo – sento. Anche per la memoria succede qualcosa di simile. È una parola sola che ha la responsabilità di contenerne così tante. E la si lascia andare, la si lascia gravare sotto il macigno che porta e così rischia di sparire anche lei, fra le altre. La memoria da sola con chi ce l’ha cucita dentro, immersa nell’indifferenza di chi la ignora, di chi l’ha barbaramente destituita.
Come marchiati a fuoco dovrebbero essere il bisogno di raccontare, di non perdere via l’orrore, l’indifferenza, la brutalità cruda di cui tutti siamo capaci – la sua banalità di insediarsi in noi. Dovrebbe essere ancora di più vivo il bisogno di conoscere e di toccare, in qualche modo, quello che non possiamo neanche immaginare.
Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l'indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare
Perché l’immagine di un lager non riesce neppure a entrare nella mia testa, è come quando provi a contenere l’universo in mente ma è troppo grande. E non accetta la concretezza di quello che è accaduto. L’idea di essere portati via da casa propria con la forza o di scavare tutto il giorno con una specie di camicia che ha la pesantezza di un velo, mentre fuori è gelo. Spostare le pietre senza un senso, per l’unico scopo di deperire. Mettersi in fila e aspettare solo che arrivi la fine nei modi più atroci. A volte desiderarla.
E non so e non posso raccontarla, posso solo conoscerla e non sentire mai arrivare le parole giuste. Ché non ci sono, ché non esistono.
Resta nelle celle dell’incomprensibile, dell’inafferrabile e tutto quello che si può fare è sapere, non smettere mai di portare avanti la testimonianza, farla propria. Scendere nei frastagliati anfratti del dolore e della miseria umana, di quella bruttura senza spiegazione che mette uomini contro uomini, che ne riduce alcuni a numeri e altri a brutali calcolatori. E se il mondo riesce ancora a fare questo, se riesce a dare a una persona un numero e non un’identità, si erige a inserirla nella conta comune e a pensarla nella bolgia dell’ignoto, allora ricordare non è solo affibbiare un tempo piccolo nel calendario, è dovere umano.
Probabilmente inizia dall’incontro dell’inconcepibile con la testimonianza di chi un numero non lo può dimenticare più.
Inizia dalla testa bassa, dal tacere, dal solo e attento ascoltare.
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