Bassa marea

Il numero sul braccio

Quando vivevo in Israele ero sempre sorpreso dalle persone con i numeri sul braccio: i sopravvissuti all’Olocausto.
In un Paese dal clima caldo e dallo stile informale, capitava di incontrare uomini e donne in camicia a maniche corte o maglietta - per tacere dei bagnanti sulla spiaggia di Tel Aviv - con una serie di numeri stampati sul braccio: il modo con cui i nazisti identificavano gli ebrei rinchiusi nei lager, in attesa di sterminarli nelle camere a gas se non li avevano già uccisi il freddo, la fame, la fatica.

Per me, la cosa sorprendente non era soltanto quella di vedere un essere umano “timbrato” come fosse un animale o un pezzo di carta, ma il fatto che quelle persone, a parte il numero sul braccio, sembravano comportarsi in modo assolutamente simile a tutti gli altri: ridevano, sbadigliavano, imprecavano per un ingorgo, mangiavano, prendevano il sole, facevano il bagno...
Eppure venivano dall’orrore. Un incubo impossibile da dimenticare, il peggior crimine nella storia dell’umanità. Vederli ridere o brindare in un ristorante o prendere in braccio con gioia un nipotino mi pareva il segno che, nonostante tutto, la vita continua, la luce filtra tra le tenebre.

Questa settimana nello Stato ebraico ci sono state le ennesime elezioni anticipate, fra ansie, tensioni e incertezze.
Ma io ho ripensato agli israeliani con i numeri sul braccio (li avevano anche 837 ebrei italiani, sui 7579 arrestati e deportati nei lager fra il 1938 e il 1945: gli altri non sono più tornati a casa) leggendo nei giorni scorsi la notizia della morte in Israele, a 93 anni, di Hannah Goslar, una superstite dei campi di sterminio e amica di Anna Frank, l’autrice del “Diario” diventato una delle più struggenti testimonianze della Shoa. Goslar era un’ebrea tedesca, fuggita dalla Germania nel 1933 con la sua famiglia e rifugiatasi ad Amsterdam, dove conobbe Anna a scuola.
Arrestata dalla Gestapo nel 1943, ritrovò Anna nel 1945 nel lager di Bergen-Belsen, in cui la sua amica morì, all’età di 15 anni.

Dopo la guerra, Hannah Goslar è emigrata a Gerusalemme, si è sposata, ha avuto tre figli, undici nipoti e trentuno pronipoti.
“Questa”, ripeteva spesso indicando la sua vasta discendenza, “è la mia risposta a Hitler”.
La luce fra le tenebre, a dispetto di fantasmi del passato e problemi odierni, anche con i numeri sul braccio.

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