Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto
Che poi, Thoreau non viveva proprio nella natura selvaggia. Negli Stati Uniti, la sua, è una delle filosofie più apprezzate, e anche se è nata ad appena due chilometri dalla casa dell’amico Ralph Waldo Emerson, che lo ospitava nella sua tenuta per queste mattane improvvise, Walden, ovvero vita nei boschi rimane uno dei libri più interessanti sul rapporto tra uomo e natura. E nella Giornata mondiale dedicata proprio alla natura selvaggia, non potevamo che partire da lì – partiamo da vicino, certo, come Thoreau, ma vediamo fin dove possiamo arrivare.
Ora, in questa capanna costruita sulle rive del lago Walden, appunto, Thoreau si trovò di fronte a una rivelazione, che a noi pare banale, forse, ma che non lo era fino a pochi – pochissimi – anni fa. Aveva capito, in modo un po’ epicureo, che gli esseri umani non hanno bisogno di grandi città, auto di lusso e smartphone di ultima generazione (questo per rendere l’idea, perché nel 1845 c’era giusto il telegrafo), ma la felicità la si può trovare anche, o per meglio dire, soltanto, quando ci si libera di tutto questo e si ritorna alla propria dimensione selvaggia. E perché questa rivelazione ha avuto tanto seguito? Oggi sappiamo fin troppo bene che lo stress, la nevrosi, l’ansia da prestazione derivano tutti dalle produzioni sociali umane: il lavoro, il desiderio consumistico frustrato, l’ambizione all’eccellenza.
Possiamo riassumere – e semplificare di molto, moltissimo – la questione come segue: fino ad allora, gli esseri umani hanno cercato in ogni modo di piegare la natura al proprio volere. Cioè, in poche parole, la natura era nemica dell’uomo. Sembra l’inizio di qualche racconto biblico, ma non è così, e se ci pensate, vi renderete conto che è qualcosa che si avvicina molto alla verità. Per secoli, abbiamo combattuto disarmati contro animali feroci, calamità naturali ed ecosistemi ostili. Poi, in pochissimo tempo, abbiamo strappato al selvaggio tutto ciò che potevamo: cosa c’è di naturale che all’uomo fa ancora davvero paura? Al di là delle catastrofi sporadiche (oggi non così tanto, a dirla tutta) ma che non costituiscono un pensiero costante, cosa rimane di selvaggio, intorno a noi?
Lo spazio è civilizzato se, anche senza conoscerlo dall’interno, non vi corro rischi
Tutto questo affaccendarsi per allontanare la natura, ovviamente, non ci ha fatto né ci fa granché bene. Con ciò Thoreau – e io con lui – non vuol dire che il progresso e l’innovazione tecnologica non abbiano fatto un lavoro strabiliante nel migliorare molti aspetti delle nostre vite, che in tempi non sospetti finivano per un banale raffreddore. Eppure, per sfuggire a un pericolo che ci inseguiva da un lato, siamo finiti tra le fauci di un’altra belva, che è quella, guarda un po’, dell’assenza più totale del selvaggio nelle nostre esistenze.
La razionalità ha vinto, la società è perfetta nei suoi ingranaggi e tutto, se va come deve andare, funziona a meraviglia. E allora perché percepiamo la mancanza di qualcosa? Anche qui, è colpa di Thoreau: nel suo libro, anche se ci invita a recuperare una vita a contatto con la natura, e lontano dalle costrizioni insensate della società umana, mette in ogni caso l’una contro l’altra. Ovvero, fa quel che si è sempre fatto per secoli, considerare la natura un oggetto affatto diverso dall’umano. Ma se continuiamo a pensarla così, ahinoi, la natura selvaggia rimarrà qualcosa di molto simile alla Gioconda di Leonardo: buona per un selfie quando si è di passaggio per Parigi, ma chiusa dietro una teca e dentro un museo, finita e immobile.
E qui ci viene in aiuto un altro grande autore che ha parlato del nostro rapporto con la natura selvaggia. Che ha detto, in soldoni, che questa benedetta natura non esiste, smettiamola di parlarne come se fosse il boschetto di palme che sta fuori dal nostro villaggio turistico: la natura è noi. Per esprimere questo concetto meglio di quanto sia fatto qui, Baptiste Morizot ha recuperato un termine antico ma efficace: «inforestarsi». Dobbiamo inforestarci, tornare a essere parte di una foresta che sta, per estensione, per quella che fino a ora abbiamo chiamato natura.
E sentite la portata di questo nuovo termine? Ha a che fare con l’immergersi. Quando ci immergiamo nel mare siamo circondati, avvolti dalle onde, non ne siamo in alcun modo fuori, ne siamo parte. Ecco, così è l’inforestarsi. Stare nella natura come parte di essa, una parte fondamentale, anche se un po’ confusa su quel che con la natura deve fare. Nella nostra bibliografia troverete i libri che più di tutti ci hanno fatto capire cosa significa inforestarsi. E sì, troverete anche Thoreau, perché da lì si comincia comunque.
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