Diario di bordo

Il primo giorno senza Roe v. Wade

Lunedì 27 giugno

Passato lo shock della sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che – dopo 50 anni! - ha abolito il diritto all’aborto, delegando le decisioni da prendere ai singoli stati dell’Unione, faccio un po’ d’ordine nelle cose che ho imparato.
La prima cosa è che la Corte Suprema degli Stati Uniti si è delegittimata da sola.
Solo il 20 per cento della popolazione americana ha fiducia nella sua indipendenza di giudizio e nella sua saggezza imparziale.
La loro sentenza (che – è stato fatto notare - equivale alla restaurazione, per legge, della schiavitù) è figlia di motivazioni ideologiche, inconsistente sul piano del diritto e spaventosa per le sue conseguenze, se dovesse essere attuata.

Leggo dai giornali, un sondaggio CBS: il 60 per cento della popolazione americana è contraria, e di questi i due terzi delle donne.
In America 64 milioni di donne o ragazze sono in età riproduttiva (dai 15 ai 44 anni) e la maggioranza di loro vive in Stati in cui l’aborto è stato già immediatamente vietato. Saranno contente della sentenza della Corte? Difficile pensarlo.

C’è un altro grosso problema, per la Corte.
Le sue decisioni aprono, per gli Stati, diverse opzioni; la destra religiosa fanatica – la vera autrice del colpo di stato – non ha intenzione di fermarsi: chiede la messa al bando dei contraccettivi, delle pillole antiaborto, la punizione dei “complici” e, soprattutto, una legge che vieti per sempre l’aborto su scala nazionale.
I suoi referenti sono naturalmente nel Partito Repubblicano, che oggi ha tre padroni insaziabili: l’industria delle armi, la destra religiosa e Donald Trump.

La mia impressione è che questo trio, più che alla vittoria, lo porterà alla morte.
Prima scadenza: le elezioni di midterm che, fino a ieri, pronosticavano una vittoria repubblicana.
Non è più così; si spera che i dem non si lascino scappare l’occasione di ribaltare il risultato. E questo sì, sarebbe “storico”.

Stamattina sono andato al Gay Pride di San Francisco. C’era praticamente tutta la città.
Giovane, fiduciosa, allegra. Come sempre, forse di più. Da qui, non passano.

Sono tornato a casa, in tempo per apprendere che l’Italia ha imparato a votare bene, e che a Verona ha vinto Damiano Tommasi, candidato del centrosinistra che ha sbaragliato ogni pronostico. E poi mia moglie mi ha mostrato un link del Gay Pride di Londra che è talmente bello che vi invito a guardarlo.

Vi si allargherà il cuore su dove andrà il mondo.

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