Si parla spesso di riportare in vita animali estinti da tempo.
L’ultimo sarebbe il dodo, un uccello columbiforme che viveva alle Isole Mauritius fino alla metà del XVII secolo e sparito a seguito dell’arrivo di olandesi e portoghesi, e soprattutto dei loro cani e maiali.
La questione è spinosa: quanto è sensato, ci si chiede, progettare la “de-estinzione” di specie la cui sopravvivenza dipende da habitat che sono spesso definitivamente compromessi? Il problema non è banale.
Secondo molti studiosi, infatti, saremmo in presenza della Sesta Estinzione, la perdita più consistente di forme di vita dal cosiddetto “evento K-T”, l’estinzione di massa del Cretaceo-Terziario che si verificò quasi 66 milioni di anni fa, quando tre quarti delle specie animali e vegetali allora esistenti sulla Terra furono spazzate via da una cometa o da un asteroide.
La verità è che le estinzioni che colpiscono il mondo vivente (con gli insetti prima di tutto) sono solo un aspetto della crisi a cui la biosfera è sottoposta in questa fase della storia terrestre che chiamiamo “Antropocene”, l’età dell’umano come forza geologica.
Intorno c’è molto altro.
Ci sono le invasioni di specie aliene, l’eccessivo sfruttamento umano delle risorse del pianeta, la distruzione diffusa degli ecosistemi e degli habitat delle altre specie, la vita-non-vita negli allevamenti e nei laboratori di ricerca, c’è l’onda lunghissima del colonialismo che, unita alla globalizzazione, trova del traffico di animali e specie esotiche uno dei suoi marcatori più chiari.
Presi singolarmente, tutti questi fenomeni sono già sufficienti per alterare drasticamente le condizioni degli esseri viventi e degli ambienti terrestri. Combinati insieme, tuttavia, sono proprio loro a mettere in moto una serie amplificata di effetti a cascata, di cui la Sesta Estinzione è solo quello che ci colpisce di più.
Non a caso, l’antropologa americana Anna Tsing e il suo collettivo di ricerca attivo presso l’Università di Århus in Danimarca descrivono l’Antropocene come un paesaggio popolato da “fantasmi” e “mostri”.
I fantasmi sono le ombre proiettate su questo paesaggio dall’estinzione. Con il clima che cambia e lo sconvolgimento degli habitat, tante forme di vita, incastrate a orologeria tra loro non si ritrovano più: e scompaiono, spesso dando luogo ad altre estinzioni, con un effetto a cascata.
I mostri invece sono le nuove presenze che riempiono gli spazi lasciati vuoti da queste vite assenti: specie invasive come meduse e pesci siluro, parassiti, creature ibride i cui geni sono stati danneggiati dalla radioattività e dall’inquinamento, e tutte le forze che si muovono nei perimetri indistinti di una biologia alterata – forze che includono, ovviamente, anche i virus.
In questi paesaggi, che rimandano a territori percorsi da dinamiche di scala sempre più ampia, l’“urbano” e il “rurale” diventano incerti come luoghi e sfuggenti come categorie.
La campagna, per esempio, infiltrata dagli effetti imprevedibili degli scambi planetari, si trasforma spesso nello scenario di una pastorale dark: una piantagione globale dove nuovi (e vecchi) schiavi coltivano dappertutto le stesse cose, o un territorio di conquista per specie aliene, talora impercettibili: insetti o microrganismi che viaggiano con le merci lungo le rotte senza confini del Capitale.
Le città, invece, con le loro rarefatte aree verdi, si trasformano in habitat accidentali per specie selvatiche o in rifugi temporanei per creature e persone marginali.
E, quando la “natura” non è più di casa nelle aree urbane, queste stesse città diventano anche spazi di reclusione o addomesticamento forzato, dove il culturale e il tecnologico si fondono con il biologico in forme e modi problematici.
Questo accade nei laboratori, negli zoo, negli allevamenti industriali e in tutti i luoghi in cui la nostra modernità bio-schizofrenica colloca quegli esseri che considera oggetti di consumo o semplicemente, e irriducibilmente, altri.
La vita nell’Antropocene è spesso, perciò, una vita “alterata” e “alterizzata” dall’intervento umano: una vita modificata nelle sue condizioni biologiche fondamentali e insieme concepita e percepita come radicalmente altra in termini etici, sociali ed esistenziali.
Ed è ironico che, mentre i nostri pets non sono mai stati così numerosi (e così “importanti”, anche in termini di PIL), la vita che ci circonda – e che siamo – sia minacciata da mille angoli.
Di
| BEAT, 2016Di
| Neri Pozza, 2022Di
| Bollati Boringhieri, 2015Di
| Il Mulino, 2023Di
| UTET, 2020Ti potrebbero interessare
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