Cees Nooteboom è un viandante della letteratura. E non perché una delle sue peculiarità da scrittore è il racconto delle terre che ha visitato, no. È una questione di passo e di approccio a quel campo desolato e caotico che è la scrittura.
Nato a L’Aia nel 1933, Nooteboom perde il padre da ragazzo, un padre che aveva abbandonato la famiglia già da tempo e ne aveva costruita un’altra senza di loro. Un dolore acceso, un segno profondo che influenza l’approccio dello scrittore con la passione letteraria, palliativo ed esplorazione della sofferenza.
È il 1955 quando scrive la sua prima opera, Philip e gli altri, che sembra essere il perfetto precursore dei romanzi della Beat Generation, contenente appunti, riflessioni, annotazioni dei suoi viaggi. Fra i tanti che scriverà negli anni, Verso Santiago, resta una delle prove più liriche e ammirevoli dell’autore, intrisa di spiritualità e passione per una terra di cui è ardito conoscitore.
Verso Santiago è uno straordinario racconto di viaggio attraverso luoghi, suoni e odori di una Spagna profonda, misteriosa e poco conosciuta, lungo percorsi insoliti, attraverso le vie di pellegrinaggio e il labirinto della sua architettura, della sua arte e della sua storia. Ma è anche una cronaca elegante e dettagliata della lunga storia d’amore che Nooteboom intrattiene con il suo secondo paese adottivo: dal Cid a Don Chisciotte, da Velázquez a Zurbarán, da Filippo II a Isabella di Castiglia, da Picasso a García Lorca.
Camaleontico nei generi e malfermo sulle influenze, dopo un passaggio conoscitivo con il nouveau roman, si dedica – alternando e mai scegliendo – alla poesia, ai romanzi, ai reportage.
Al centro di qualsiasi opera di Nooteboom si sente una forte presenza dell’immaginazione, cercatrice del suo intreccio e oppositiva gemella dalla realtà. Nessuna delle due può fermarsi per l’altra, è un testa a testa glorioso e perdente, e lo scrittore lo sa bene. Lo sa soprattutto la sua essenza da poeta.
Senza un’immagine appare una poesia, forma che ancora deve generarsi dal territorio delle parole, ereditata da chi non ho mai conosciuto
Luce ovunque è un'antologia che dà conto, a ritroso nel tempo, di circa cinquant'anni di attività poetica di Nooteboom, dall'ultimo volume del 2012 fino al primo del 1964. Un'ampia rassegna che permette finalmente anche al pubblico italiano di conoscere una delle voci piú importanti della poesia contemporanea.
Ecco, questa polvere che si alza dal «territorio delle parole» è quella che si blocca nella gola mentre si leggono i versi, mentre si inciampa fra le pietre che descrive, fra le strade che sembra aver raccontato affinché tu, lettore, potessi inciamparci, fermarti, destarti, guardare, arricchirti di stupore.
Così, una città non è solo una città, ma è un faro puntato sui suoi sentieri ispidi, è l’odore del vento che si modifica in contatto con la terra, è l’immagine di una belva assimilata all’atto della scrittura, è la legge delle cose che viene piegata alla visionarietà dell’uomo. Come si affronta il tempo? Come si batte la morte, se non con l’altrove che vibra nell’immaginazione?
Il privilegio e la condanna di chi scrive – e questo Nooteboom lo sa bene – sta nell’affaccio sul mondo che è gogna e salvezza, peccato e redenzione. È la ferita di chi sente in maniera diversa e non sa come uscirne, se non, appunto, scrivendo.
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