The Guardian, il prestigioso quotidiano britannico, riassume in una formula ciò che sta accadendo in Italia, in Europa e nel resto del mondo alla cultura dopo l’invasione russa dell’Ucraina: The show can’t go on.
Uno dei tanti effetti collaterali di questa invasione è quello di colpire anche il mondo delle arti, chiedendo a coloro che ne sono prestigiosi rappresentanti di prendere le distanze dalla politica attuata dalla Russia in Ucraina e ricusandone, in qualche modo, le istituzioni culturali statali. Il rischio, però, è quello di essere "più realisti del Re", come si suol dire, e finire con il censurare tutti, anche i morti. Eccesso di zelo? Lo dimostra, ad esempio, quel che è successo la settimana scorsa allo scrittore Paolo Nori, scrittore che da anni porta avanti una meritoria opera di divulgazione della cultura russa presso i lettori italiani, con passione e competenza.
A Milano, presso l'Università Bicocca, Nori avrebbe dovuto tenere un corso di quattro lezioni sui romanzi di Dostoevskij, in un corso gratuito e aperto a tutti.
Pochi giorni prima della data di inizio prevista per il corso, Nori ha ricevuto una e-mail da parte dell'Università. Ecco il testo, che lo scrittore stesso ha successivamente reso noto: "Caro professore, il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione presa con la rettrice di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione [...]"
La paura e lo stigma della Russia e dei russi stanno dunque sconfinando, per coinvolgere anche autori defunti e che certamente - com'è il caso di Dostoevskij - non avrebbero potuto essere tacciati di "ortodossia" rispetto a qualsiasi "volontà di potenza" imperiale o zarista. Nonostante la Bicocca abbia poi fatto marcia indietro, dichiarandosi ateneo aperto al dialogo e all’ascolto, Nori ha annunciato su Facebook che alla fine il corso non si farà. Probabilmente il professore lo terrà altrove. Ma perché? Perché il corso, riabilitato, avrebbe comunque subito una "ristrutturazione": accanto a un autore russo, Dostoevskij, si sarebbero dovuti trattare anche alcuni autori ucraini. Grottesco.
Il “caso Nori” non è comunque un unicum nel panorama culturale italiano, europeo e mondiale.
A Venezia il curatore del padiglione della Russia alla prossima Biennale si è dimesso per protesta e si sono ritirati anche i due artisti russi protagonisti del Padiglione, Alexandra Sukhareva e Kirill Savchenkov. Si farà di tutto perché l’Ucraina sia presente con i suoi artisti.
In Italia, i casi di esclusione della Russia dal mondo culturale sono sempre più frequenti.
La Children Book Fair, tra poche settimane a Bologna, ha sospeso ogni collaborazione con le organizzazioni ufficiali russe, mantenendo, invece, i rapporti con i singoli illustratori o editori del paese che avranno il permesso di partecipare.
A Reggio Emilia, il Festival Fotografia Europea, in programma da fine aprile a giugno, vedeva come paese ospite proprio la Russia.
Questa partecipazione, parte di un progetto con il museo dell’Ermitage, avrebbe organizzato anche la mostra Sentieri di ghiaccio, con le foto di tre artisti russi. La mostra non si terrà e la ragione sta nell’impossibilità, da parte della Fondazione Magnani Rocca, coordinatrice della rassegna, di avere rapporti con le istituzioni di un paese che allo stato attuale è un aggressore. Esclusi i tre artisti. Anche qui, però, si trova un grande paradosso: uno dei fotografi della mostra, Alexander Gronsky, è stato arrestato e poi rilasciato per protesta contro la guerra. Intervistato riguardo all’esclusione dalla mostra italiana, si è dimostrato comprensivo e ha ribadito la volontà di fermare la guerra.
La Galleria dell’Accademia di Firenze, il Petruzzelli di Bari, la Royal Opera House di Londra. Artisti e opere russe sono annullate.
Si arriva poi a casi che riguardano l'editora libraria, come nel caso della casa editrice Voland, la cui fondatrice ha ricevuto una mail da alcune istituzioni ucraine che invitano la casa editrice a boicottare i libri russi. Daniela Di Sora reagisce e replica sconcertata che il nome “Voland” viene da Bulgakov, nato a Kiev e morto a Mosca, e che il catalogo Voland è pieno di autori russi, ma anche autori ucraini.
Per fortuna, però, a questo generale stigma che sembra mettere sullo stesso piano chi sostiene o avalla ciò che sta accadendo in Ucraina con persone che attraverso la loro arte si sono spese e si spendono per promuovere messaggi di bellezza e fratellanza universale, sono sempre più numerose le eccezioni. Eike Schmidt, direttore degli Uffizi, che ha deciso di non chiudere il Museo delle Icone Russe a Palazzo Pitti. Così anche il Salone del libro di Torino, per il quale Nicola Lagioia ha deciso di non boicottare gli autori russi. Diverso sarà per le istituzioni e gli enti russi che al Salone non saranno presenti. Lo stesso accadrà per la Fiera di Francoforte, la Buchmesse, la London Book Fair.
Ma come ha detto Daniela Di Sora: non dovrebbero la letteratura e la cultura unire invece che dividere?
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