Giornata mondiale della democrazia: una promessa presente e futura

Quando si guarda allo stato delle cose nel mondo, molti hanno l’impressione che vada tutto male e decisamente peggio di una volta: guerra in Ucraina, crisi energetica, crisi economica, calo dell’euro, Covid, cambiamento climatico.

I primi ventidue anni del ventunesimo secolo, sicuramente, non sono stati facili, a partire dall’attacco terroristico all’America dell’11 settembre 2001, proseguendo con la crisi finanziaria del 2008, la pandemia del 2020 e ora anche un conflitto armato nel cuore dell’Europa. I quattro cavalieri dell’apocalisse. Eppure, se proviamo a guardare all’evoluzione del mondo nel lungo periodo, in particolare con uno sguardo meno eurocentrico, c’è un aspetto che andrebbe celebrato come un importante miglioramento: sempre più gente vive in nazioni democratiche.

Quando nel 1789 con la presa della Bastiglia iniziò la Rivoluzione francese, all’insegna dello slogan «libertà, fraternità, uguaglianza», i Paesi democratici si contavano sulla punta delle dita: soltanto gli Stati Uniti e la Gran Bretagna figuravano in questa categoria. Oggi sulla terra le democrazie sono diventate la maggioranza: circa il 60 per cento del totale. Un’avanzata che ha preso vigore dopo la Prima guerra mondiale, è diminuita fra i due conflitti con l’ascesa di fascismo e nazismo, e ha ripreso forza in Europa orientale dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989.

Naturalmente bisogna distinguere: non tutte le democrazie sono uguali. Poco più di un miliardo di persone vive in quelle che si possono definire “democrazie liberali”, ovvero dotate di pieni diritti. Altri tre miliardi di persone circa vivono in “democrazie elettorali”, in cui vige il pluralismo politico, perlomeno a parole, ma non ci sono ancora pieni diritti civili. Tuttavia, del miliardo e 900 milioni di persone che abitano in autocrazie totalitarie, la maggior parte risiede in Cina.

Queste cifre (ricavate dal sito Our World in Data e dal Pew Center) suggeriscono che si può fare ancora molto per sviluppare una piena democrazia nelle nazioni che lo sono soltanto in parte; e che il grande interrogativo, per la lotta alle autocrazie, è se, come e quando Cina e Russia intraprenderanno un cammino verso la democratizzazione. Cammino che la Russia aveva iniziato nel 1986 con la perestrojka di Mikhail Gorbaciov, quando si chiamava Unione Sovietica, e continuato pur tra errori e problemi negli anni novanta sotto la presidenza del suo successore Boris Eltsin, ma che si è gradualmente interrotto da quando al Cremlino è arrivato Vladimir Putin.

Ciononostante, il progresso democratico negli ultimi due secoli dovrebbe essere motivo di conforto. In Italia siamo abituati a vivere in democrazia, almeno dal 1945: ma è necessario ricordare che per altri popoli questa conquista è stata recente o è ancora da realizzare. Per questo, nella Giornata Mondiale della Democrazia, l’etichetta talvolta vituperata di “Occidente democratico”, sotto la quale rientrano Paesi come ad esempio il Giappone che non sono geograficamente occidentali, dovrebbe essere un motivo di orgoglio e un valore da difendere accanitamente. Certo, la democrazia, anche quella con pieni diritti, non è esente da vizi, limiti, sbagli o difetti: non tutto è perfetto. Ma andrebbe sempre ricordata la massima di Winston Churchill: «La democrazia è la peggior forma di governo, a eccezione di tutte le altre».  

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Enrico Franceschini è scrittore e giornalista. Ha ricoperto il ruolo di corrispondente per il quotidiano “la Repubblica”, nelle sedi di Londra, New York, Washington, Mosca e Gerusalemme. La sua opera Vivere per scrivere è stata finalista al Premio Estense nel 2018. Tra i suoi libri: Londra Babilonia (Laterza, 2011), Vinca il peggiore. La più bella partita di basket della mia vita (66th and 2nd, 2017), L' uomo della Città Vecchia (Feltrinelli, 2017), Vivere per scrivere. 40 romanzieri si raccontano (Laterza, 2018), Bassa marea (Rizzoli, 2019) e Ferragosto (Rizzoli, 2021). Fonte immagine: sito editore Feltrinelli.

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