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Giuseppe Verdi: un compositore classico fuori dagli schemi

Illustrazione di Gayuth Madurapperuma, 2023, studente del Liceo artistico Volta di Pavia. Tecnica mista

Illustrazione di Gayuth Madurapperuma, 2023, studente del Liceo artistico Volta di Pavia. Tecnica mista

A conti fatti, Giuseppe Verdi è uno degli italiani meno rappresentativi della sua patria eppure dai suoi compatrioti, e tutto sommato anche all’estero, il più affettuosamente adorato. Sul fatto che non sia un italiano rappresentativo non ci sono questioni: tanto l’italiano medio è arrangione, cortigiano e incline al compromesso, quanto Verdi era orgoglioso, riservato e tutto d’un pezzo.

In questo condivideva qualcosa con altri italiani atipici, come Dante da lui adoratissimo, ma mentre per Dante, o per Michelangelo o Leonardo, il sentimento generale è di arresa ammirazione, nei confronti di Verdi scatta una sorta di affettuosità parentale, una riconoscenza senza filtri, un sentimento che, persino in coloro che ne hanno auscultato a malapena un’opera, porta a considerarlo una parte di sé stessi, una componente dello spirito, come del resto dimostra la diffusa ambizione a possederne un brandello, una reliquia, fosse anche la testimonianza di un fugace passaggio.

Non si contano in Italia i paesi e paeselli che sostengono che Verdi sia passato di lì, abbia sostato in vacanza, sia stato avvistato con moglie e cilindro (cosa per lo più ovviamente mai accaduta), in una specie d’inconscio tentativo di appropriazione. Tuttora mi capita, e mi si perdoni l’uso dell’io, di incontrare persone che improvvisamente accigliate scuotendo la testa e prendendomi sotto braccio come condolenti a una cerimonia funebre mi chiedono notizie circa l’acquisto della villa di Verdi a Sant’Agata – comune di Villanova d’Arda, provincia di Piacenza: detto per i non pochi che ne parlano e si affliggono senza mai esserci stati – come se dall’esito di quella vicenda passasse un pezzo di felicità collettiva più della riuscita del Pnrr.

È chiaro che un fenomeno del genere si spiega prima di tutto coll’impatto della sua musica tutta pugni e carezze, collocata in un incrocio particolare fra mito risorgimentale, identità collettiva, aneddotica ruspante, dischi dei nonni, cori in osteria. Parte di questo paesaggio, va da sé, è fortemente legato alle sue terre, di cui Verdi conservava fortissimo il senso della concretezza, quello che più gli è stato utile nella vita.

Utile sul lavoro, quando si trattava di imporsi su impresari, pubblico, soprattutto cantanti, per difendere un’idea di melodramma in equilibrio fra innovazione senza traumi e attenzione ai gusti della platea: il segreto di una carriera durata mezzo secolo, grazie al quale alla fine ha plasmato e il melodramma e le platee come e dove voleva lui. Utile nella vita privata, laddove gli ha permesso di mettere a punto i diritti morali e materiali dell’autore, spalancandogli la strada di un benessere ottenuto solo per via delle proprie opere, un benessere concentrato prima di tutto nella terra, che da buon padano concreto era per lui il patrimonio più solido e sicuro: «Un po’ meno di Musicisti, di Avvocati, Medici, etc. etc. e un po’ più di agricoltori: ecco il voto che faccio pel mio Paese...». Questo porre l’agricoltore (che poi significava proprietario terriero) davanti al musicista era un vezzo tutto suo che faceva il paio con il buccinarsi contadino.

Sono stato, sono e sarò sempre un paesano delle Roncole

Illustrazione di Eleonora Mella, 2023, studentessa del Liceo Artistico A. Volta di Pavia. Tecnica mista

Nasceva dal rifiuto delle convenzioni e delle prosopopee, normale per uno che si era fatto da sé, e contribuisce a farlo sembrare uno di noi. La mancata ammissione al Conservatorio di Milano fu per lui una fortuna: fuori dagli schemi cioè, una manna per il suo teatro che aveva in uggia le consuetudini (da qui l’entusiasmo per i personaggi singolari: Rigoletto, Azucena, Violetta, persino Macbeth). Superato il trauma di una moglie amatissima e due figli morti, fu cooptato dal suo primo vero mentore, il soprano Giuseppina Strepponi, l’altra sua grande fortuna: non tanto perché se lo sposò, ma perché diede ordine e saggezza a uno spirito focoso e impulsivo. Sia detto chiaro: senza Giuseppina Strepponi, niente Giuseppe Verdi.

Illustrazione di Benedetta Filetti , 2023, studentessa del Liceo Artistico A. Volta di Pavia. Tecnica mista

La villa di Sant’Agata fu l’approdo definitivo a una tranquillità spesso rinviata causa continue commissioni di opere, l’oasi per leggere libri e osservare il mondo, specie la politica, attraverso i giornali. Un rifugio lontano da tutto, che alimentò la sua fama di misantropo. Al contrario, amava solo selezionati amici, con cui condivideva briscola e biliardo e zuppe, mai discorsi di musica o tentativi di celebrarlo.

La santificazione dopo Aida (1871) e soprattutto Messa da Requiem (1874), con l’unione patriottica al nume manzoniano, ha rafforzato la sua immagine di musicista del Risorgimento, ma è un equivoco: a parte La battaglia di Legnano (1849), scritta per sfruttare il momento, il suo teatro non ha mai incitato a imbracciare il fucile e scacciare lo straniero.

Ha fatto di più: ha infuso la convinzione che solo nella mutua solidarietà dei valori civili e morali si può trovare conforto a una vita consegnata al destino cinico e casuale, così ben rappresentato dal Duca di Mantova, nella quale felicità dei singoli e della collettività spesso sono irrealizzabili insieme, come mostrano i discorsi di Boccanegra, lo strazio di Francesco Foscari, la disperazione degli scozzesi di Macbeth, i dilemmi di Arrigo nei Vespri, il finale di Un ballo in maschera, e certamente la fuga finale di Falstaff.

A duecentodieci anni dalla sua nascita tutto questo è di certo attualissimo, ma non c’è bisogno di scovare di continuo attualità in Verdi: Verdi sarà attuale finché le persone continueranno a cercare la sua musica, a farsi venire il brividino con il suo teatro e a sospirare per la sua villa come fosse casa loro.

 

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