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Hand On The Torch degli Us3 compie 30 anni

Il 16 novembre del 1993 usciva, per un marchio storico come Blue Note Records, Hand On The Torch, l'album d'esordio di una band inglese nata appena un anno prima, gli Us3. Il due singoli di lancio, Cantaloop (Flip Fantasia) e Tukka Yoot's Riddim, subito amati dalle radio e dai club, si basavano in maniera esplicita sul campionamento, rispettivamente, di un brano di Herbie Hancock, Cantaloupe Island, e di uno di Grant Green, Sookie Sookie.

Il 18 maggio 1993, invece, uno dei rapper americani più noti dell'epoca, il compianto Guru, voce del gruppo Gang Starr (formato insieme a Dj Premier, cultore dei campionamenti jazz), pubblicava il primo volume di Jazzmatazz in cui figuravano tra gli ospiti non solo suoi omologhi e soul singer ma anche esponenti storici del jazz - o comunque di formazione jazz - come Donald Byrd, Branford Marsalis, Lonnie Liston Smith e Roy Ayers. In entrambi i casi il suono consisteva in una fusione tra hip hop e jazz, e il 1993, non solo per queste due uscite, è stato un anno chiave nella storia dell’incontro tra questi due generi musicali, parte di quello stesso albero genealogico in cui figurano anche blues, soul e funk.   

Il clima dell’epoca era propizio a questo mix sonoro anche perché nel giugno del 1992 era uscito l'ultimo album - postumo - di Miles Davis, Doo-Bop, frutto della collaborazione tra il celeberrimo jazzista e il produttore musicale hip hop Easy Mo Bee: in qualche modo si era trattato di un punto di svolta nella polemica che vedeva molti jazzisti protestare per il "saccheggio" della loro musica, fatto tramite i campionamenti di porzioni di brani su cui la nuova generazione costruiva le basi musicali dei brani rap. Gli Us3 avevano risolto utilizzando tutti campionamenti della loro etichetta, la Blue Note, appunto, ma sempre nel 1993, un altro notevole album d'esordio, Reachin' (A New Refutation of Time and Space), di nuovo un disco rap pieno di campionamenti jazz (ma anche soul e funk), aveva visto gli ingegneri del suono soccorrere i suoi autori, i Digable Planets, suonando in studio delle porzioni di brani noti che avrebbero voluto usare ma per cui non avevano ottenuto l’autorizzazione. 

Questo incontro tra jazz e hip hop non arrivava dal nulla perché, ancora una volta nel 1993, erano già arrivati al terzo album i De La Soul e gli A Tribe Called Quest, due gruppi rap appartenenti al collettivo Native Tongues, fondamentale in questo sodalizio tra i due generi ma ancora di più nel riconoscimento delle proprie radici e nell’elaborazione dei suoni prediletti dalle tre generazioni precedenti di afroamericani (quindi, di nuovo, jazz, soul e funk): i primi avevano pubblicato, a settembre, Buhloone Mindstate mentre i secondi, a novembre, Midnight Marauders 

Il fatto che gli Us3 - a differenza di tutti questi altri artisti citati - non fossero americani ma inglesi, racconta anche come questo stile sonoro si stesse espandendo rapidamente in Europa, complici le commistioni musicali della scena acid jazz, allora già in voga da qualche anno nei club londinesi, dove era nato. Nella stessa Italia, nel 1992, un gruppo hip hop pioniere nel nostro paese, i Radical Stuff, aveva registrato un disco dal vivo rappando in inglese su un tappeto sonoro creato dai Lo Greco Bros: il titolo dell’album descrive questa miscela in maniera esplicita, Jazzy Rap Night Live. Anche in questi ultimi anni, in cui la fusione tra questi suoni si è evoluta, diventando meno “formale”, ci sono esempi italiani, per esempio gli Studio Murena, recenti autori di WadiruM, disco uscito a maggio scorso in cui figura un rapper e, più in generale, con un'attitudine sonora che in qualche modo rimanda agli incroci sonori della nuova scena jazz londinese, quella di artisti nati a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 come Yussef Dayes, Kamaal Williams o Moses Boyd 

Tornando negli Stati Uniti e restando ai tempi odierni, vari artisti continuano a fare da ponte tra questi suoni parenti, come Moor Mother (tra tutti i suoi dischi, in questo ambito, si può partire da Jazz Codes del 2022) o ancora Robert Glasper che ha lavorato, tra gli altri, con Kendrick Lamar per To Pimp a Butterfly che, oltre ad avere varie influenze jazz, si può eleggere come il più importante album hip hop degli ultimi dieci anni senza suscitare troppe polemiche.

Se oltre a questi, oggi, così come nel recente passato, si possono trovare tanti altri artisti musicali che hanno tra i loro riferimenti principali il jazz e l’hip hop, buona parte del merito, insomma, va proprio a quelle uscite del 1993 che hanno sancito una volta per tutte la “legittimità” di questo sodalizio il cui embrione risale addirittura alla fine degli anni ’60, a certi brani dei Last Poets. Insomma, si tratta di un processo di fusione ancora vivo e in continua evoluzione. 

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